Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
INTERCETTAZIONI

Caso Cecchettin, non giornalisti ma sciacalli del gossip

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La pubblicazione del primo colloquio in carcere tra Filippo Turetta, assassino di Giulia Cecchettin, e i suoi genitori è un gravissimo atto di voyeurismo giornalistico che viola la dignità delle persone.

Editoriali 29_07_2024
La casa dei Cecchettin, con i fiocchi in ricordo di Giulia

Quando il giornalismo si accanisce sui protagonisti dei fatti continuando a gettare benzina sul fuoco cessa di essere servizio pubblico e diventa pornografia del dolore, spettacolarizzazione della sofferenza. Il caso Cecchettin rappresenta un esempio eclatante di questa degenerazione che il mondo dei media sta cavalcando da mesi per tenere desta l’attenzione sul dramma di due famiglie: quella di Giulia Cecchettin, assassinata l’11 novembre scorso per mano del suo fidanzato, e quella del suo assassino, Filippo Turetta che non si rassegnava all’idea della fine della relazione con Giulia e ha deciso di ucciderla, con spietatezza e premeditazione.

I genitori di Filippo vanno a trovarlo in carcere e il loro dramma va rispettato tanto quanto quello dei famigliari di Giulia, che hanno reagito in maniera completamente diversa a quella tragedia, intraprendendo una battaglia contro il cosiddetto “patriarcato”, che sarebbe alla base del tragico e brutale assassinio della 22enne.

Ma non è questo il punto. Fosse solo questo, dovremmo semplicemente commentare due reazioni diverse a un episodio infinitamente doloroso che ha distrutto la vita di due famiglie. Il nodo della questione, però, è un altro e riguarda la narrazione che di questa tragedia è stata fatta dal mondo dei media e che, nelle ultime ore, sta vivendo un’altra pagina di immenso squallore umano e professionale.

Sono infatti state diffuse nei circuiti mediatici le intercettazioni relative al primo colloquio in carcere tra Filippo Turetta e i suoi genitori. Sono trascorsi quasi otto mesi da quel 3 dicembre, quando il padre e la madre dell’assassino di Giulia Cecchettin hanno varcato la soglia della casa di reclusione di Montorio per parlare col figlio per la prima volta dopo il delitto.

In quell’occasione i genitori, temendo probabilmente che il figlio potesse decidere di togliersi la vita (lo avevano già temuto nei giorni in cui era fuggito in Germania, facendo perdere le sue tracce), provano a rincuorarlo. Il padre gli dice: «Hai fatto qualcosa, però non sei un mafioso, non sei uno che ammazza le persone, hai avuto un momento di debolezza. Non sei un terrorista. Devi farti forza. Non sei l'unico... Ci sono stati parecchi altri... Però ti devi laureare. Ci sono altri 200 femminicidi! Poi avrai i permessi per uscire, per andare al lavoro, la libertà condizionale. Non sei stato te, non ti devi dare colpe perché tu non potevi controllarti».

La conversazione, intercettata dagli investigatori, fa riesplodere la polemica sul “patriarcato”; la sorella di Giulia Cecchettin torna a scrivere su Instagram che è ancora in atto una «normalizzazione sistematica della violenza».

Ma per fortuna c’è anche chi infila il dito nella piaga della barbarie mediatica. «Crocifiggere queste persone che stanno vivendo una tragedia è immorale. La pubblicazione delle intercettazioni dei genitori di Turetta è un fatto grave. Non aggiunge nulla alle indagini né alla cronaca, si tratta solo di voyeurismo fuori luogo che rischia peraltro di mettere a repentaglio la stessa incolumità di due persone che, non solo non hanno commesso alcun reato, ma si trovano a vivere un'atroce sofferenza». Così il segretario dell'Unione Camere Penali, Rinaldo Romanelli, commenta la pubblicazione di quelle intercettazioni.

Condanna anche da parte del capogruppo di Forza Italia in Commissione Giustizia a Palazzo Madama, Pierantonio Zanettin che sollecita Nordio a «iniziative ispettive per verificare possibili violazioni di legge». «Cui prodest? Qual è l'utilità dello sbattere ancora una volta l'imputato in prima pagina, nel suo primo incontro con i genitori dopo l'arresto per l'assassinio di Giulia Cecchettin? – si chiede Marco Vincenzi, coordinatore di Verona Radicale –. Non intendiamo esprimerci sui contenuti della conversazione, ma poniamo all'attenzione le distorsioni di un sistema giudiziario in cui, ancora una volta, un colloquio privato viene intercettato e finisce in pasto all'opinione pubblica. E tutto questo sembra normale».

Stupisce che i vertici della categoria dei giornalisti non si indignino di fronte a questi abusi del diritto di cronaca, che calpestano la dignità delle persone coinvolte, aggiungendo sale sulle ferite di una tragica vicenda. Tante norme deontologiche impongono a chi fa informazione alcuni elementari obblighi come quello di non alimentare processi mediatici e di tutelare la privacy dei protagonisti dei fatti, ancor più se sottoposti a limitazione della libertà personale.

La gogna mediatica è il contrario della buona informazione e veicola sentimenti distruttivi che esasperano il clima d’odio sociale e allontanano la prospettiva di una riconciliazione tra posizioni distanti o opposte. Sembra sempre che i giornalisti debbano combattere battaglie di parte, quando invece nel loro dna dovrebbero avere soltanto l’amore per la verità e il rispetto dei diritti fondamentali della persona, anche dei genitori di un assassino. Gli sciacalli del gossip non dovrebbero appartenere allo stesso Ordine professionale dei cronisti attenti e scrupolosi.



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