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Case "Green", una frenata all'ubriacatura ecologista dell'Ue

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La direttiva europea sulle "case green" ci obbligherà ad adeguare le nostre abitazioni a classi energetiche sempre superiori, con gran dispendio di energie e soldi. La scadenza è il 2033. Ma nel voto di ieri il Parlamento europeo è risultato molto frammentato. E si va verso un compromesso di buon senso. Ferma opposizione dell'Italia.

Creato 15_03_2023
Restauro a una facciata

L’esito finale della ‘Direttiva Ue sul rendimento energetico degli edifici’ (Epbd), a seguito del voto di ieri che ha spaccato a metà il Parlamento, è tutt’altro che scontato. Dopo l’ampia approvazione in Commissione industria lo scorso febbraio di un emendamento interamente sostitutivo, il voto di ieri ha visto approvare lo stesso testo solo con una risicata maggioranza di 343 voti favorevoli, 216 contrari e 78 astensioni. Un voto che è l’ennesimo segnale di rinsavimento, dopo il rinvio ‘sine die’ deciso dai governi europei lo scorso 7 marzo, della proposta della Commissione e del Parlamento sul blocco delle auto alimentate a benzina/diesel dal 2035. Un clima di buon senso confermato anche dall'opposizione, nei giorni scorsi, di 11 paesi alla insensata ed ennesima proposta della Commissione sull’obbligo di una nuova produzione di motori per veicoli con emissioni ulteriormente ridotte (Euro7).

La Direttiva Epbd è attualmente in fase di revisione nel tentativo di ridurre il consumo energetico degli edifici in Europa e di allinearla agli obiettivi climatici più ambiziosi dell'Ue, ma gli effetti delle proposte potrebbero avere un impatto devastante sui proprietari di abitazioni e sugli stessi governi europei, come ben illustrato da LaBussola lo scorso gennaio. Dopo la proposta della Commissione del dicembre 2021 di introdurre standard minimi di rendimento energetico per il 15% degli edifici con le peggiori prestazioni ed entro il 2050 l’obbligo per l'intero settore edilizio di esser privo di emissioni, già alla riunione dei ministri dell’ambiente ed industria europei del 25 ottobre 2022 era emerso un compromesso fragile sulla direttiva, divisioni nette tra i grandi paesi che chiedevano più ambizione (Germania, Francia e Paesi Bassi) e quelli che insistevano su obiettivi flessibili al punto da non essere vincolanti. Una "coalizione della flessibilità", composta per lo più da 17 Stati (Cipro, Slovenia, Grecia, Slovacchia, Croazia, Lettonia, Lituania, Estonia, Finlandia, Romania, Portogallo, Ungheria, Svezia, Bulgaria, Malta, Italia e Polonia) con la Polonia e l'Italia alla guida per chiedere più buon senso e realismo.

Lunedì 13 marzo a confermare la posizione italiana era stato il Ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini volato a Strasburgo, dopo il voto della settimana scorsa al Parlamento italiano che bocciava la direttiva, per incontrare diversi parlamentari e confermare la ferma opposizione alla Epbd, “come governo e coalizione ma soprattutto come italiani". Nella plenaria di martedì, i parlamentari dell'Ue hanno votato un testo simile in larga parte a quello negoziato dall'eurodeputato verde Ciarán Cuffe, dove si aumentavano le ambizioni di rinnovamento degli edifici, introducendo l’obbligo di standard minimi di risparmio energetico per gli edifici meno ‘green’.

Il gruppo di Identità e Democrazia (Id) si è opposto fermamente alla direttiva Epbd, affermando che l'intera proposta doveva essere rinegoziata da zero e ha indicato 22 modifiche emendative. Sulla stessa linea d'onda i Conservatori e Riformisti Europei (Ecr), su proposta dei polacchi del PiS. I Liberali tedeschi si sono opposti anch’essi, trascinandosi dietro una parte di colleghi liberali di altri paesi e un gruppo consistente dei Popolari Europei, tutti a chiedere che i Paesi dell'Ue potessero chiedere un'esenzione temporanea dagli standard minimi e anche esenzioni illimitate per i Paesi dell'Ue in caso di ristrutturazioni. Tutti gli emendamenti di questa natura sono stati bocciati mentre ad essere approvati solo   4 emendamenti: il n.6 gli Stati membri possono «decidere» di non applicare i requisiti agli edifici ufficialmente protetti, il n.29 estende agli «edifici del patrimonio» la possibilità di essere esclusi dalle nuove regole, il n. 67 sul teleriscaldamento efficiente, il n. 54 che chiede alla Commissione una relazione biennale e il n.5 sulle colonnine elettriche che si dovranno predisporre negli edifici.

Il voto finale di ieri conferma la frantumazione del Parlamento, nei gruppi politici, nelle delegazioni nazionali e anche una crescente opposizione verso la Direttiva europea. Nella conferenza stampa del relatore parlamentare Cuffe, seguita al voto favorevole (seppur di misura), nessun ‘mea culpa’, piuttosto è stato confermato che tutti i nuovi edifici dovranno essere ad emissioni zero dal 2028, la scadenza per i nuovi edifici occupati, gestiti o di proprietà delle autorità pubbliche è fissata al 2026. Tutti i nuovi edifici dovranno essere dotati di tecnologie solari entro il 2028, mentre gli edifici residenziali sottoposti a ristrutturazioni importanti avranno tempo fino al 2032.

Gli edifici residenziali dovranno raggiungere, come minimo, la classe di prestazione energetica E entro il 2030 e la D entro il 2033, quelli non residenziali e quelli pubblici dovranno raggiungere le stesse valutazioni rispettivamente entro il 2027 e il 2030. Si è assicurato che molti danari arriveranno dall’Europa, secondo piani nazionali approvati, condivisi con la Commissione, ci saranno esenzioni (edifici religiosi, case vacanze, abitazioni sino a 55mq ecc.). Tuttavia proprio il voto di ieri e le posizioni dei governi nazionali dimostrano che il testo finale che emergerà dal ‘trilogo’ (confronto tra Parlamento, Commissione e Consiglio), introdurrà meno obblighi e maggior buon senso.