Carestia nel corno d'Africa, l'Occidente aiuta più di tutti
La carestia nel corno d'Africa (Somalia, Eritrea ed Etiopia) sta già mietendo vittime e potrebbe essere la peggiore dal 2011. L'Onu lamenta disattenzione da parte della comunità internazionale. Ghebreyesus (Oms) punta il dito sull'indifferenza occidentale. Ma Usa ed Europa hanno già donato più di tutti. Semmai dove sono finiti quegli aiuti?
Le Nazioni Unite il 5 settembre hanno indetto una conferenza stampa a Mogadiscio, la capitale della Somalia, durante la quale il sottosegretario Onu per le questioni umanitarie Martin Griffiths ha annunciato che nelle regioni centro-meridionali del paese quasi sicuramente verrà dichiarato lo stato di carestia a partire dal mese di ottobre a causa della siccità persistente. Lo scorso aprile l’Ufficio Onu per il coordinamento degli interventi umanitari (Ocha) aveva lanciato un primo allarme prevedendo un ulteriore deterioramento della situazione già allora molto preoccupante. Adesso si teme una crisi alimentare grave come quelle del 1992 e del 2011 che causarono almeno un quarto di milione di morti ciascuna. I bambini malnutriti sono 1,4 milioni. Ma il problema non è solo la fame. A causa della siccità le famiglie si disperdono: gli uomini emigrano nelle città per cercare di che vivere mentre le donne e i bambini si trasferiscono in prossimità dei centri di assistenza, sperando in un aiuto. Il 70% degli studenti non vanno a scuola. Aumentano i matrimoni precoci con cui le famiglie si disfano delle figlie bambine per avere una bocca in meno da sfamare.
Oltre alla Somalia, la siccità colpisce anche alcune regioni del Kenya e dell’Etiopia. Il Programma alimentare mondiale dell’Onu (Pam) stima che complessivamente le persone a rischio siano circa 22 milioni. L’organizzazione umanitaria International Rescue Committee in risposta alla dichiarazione di Griffiths replica che la gente sta già morendo di fame e che la dichiarazione dello stato di carestia arriverà troppo tardi, come è successo nel 2011, dice, quando metà dei decessi si sono verificati prima che l’emergenza venisse riconosciuta.
Ma i principali donatori internazionali hanno intensificato da tempo gli interventi umanitari per far fronte alla crisi attuale. Dall’inizio dell’anno l’Usaid, l’agenzia Usa per lo sviluppo internazionale, ha avviato programmi straordinari di aiuto per il Corno d’Africa. Ha fornito assistenza alla Somalia per quasi 707 milioni di dollari e all’Etiopia per 488 milioni, che si aggiungono a più di un miliardo corrisposto nel 2021. Anche l’Unione Europea e i suoi paesi membri, che assistono costantemente le popolazioni della regione, hanno moltiplicato gli aiuti. Dal settembre 2021 è in funzione un ponte aereo co-gestito da Ue, Francia e Italia che porta generi di prima necessità in Etiopia. La Commissione europea a luglio ha stanziato nuovi fondi per 81 milioni di euro destinati ad Addis Abeba. Un altro ponte aereo è stato attivato dall’Ue a partire dal 6 luglio per soccorrere la Somalia. L’iniziativa rafforza quelle avviate in precedenza, con finanziamenti per il valore di 18,5 milioni di euro nel dicembre 2021 e di 61,5 milioni dall’inizio del 2022.
Tuttavia sembra che i fondi stanziati non bastino a far fronte alle necessità delle popolazioni in difficoltà, soprattutto in Somalia, paese che dipende del tutto dagli aiuti internazionali e che sconta la totale inerzia del proprio governo. Occorre più denaro. Ci si aspetterebbe che l’Onu, per ottenerne di più, ringraziasse i grandi donatori – gli Stati Uniti, l’Ue e gli altri paesi occidentali – e chiedesse al resto della comunità internazionale di seguirne l’esempio. Invece accusa chi ha già dato di non fare abbastanza. Il presidente dell’Oms, l’etiope Tedros Adhanom Ghebreyesus, il 13 aprile si è lamentato del fatto che le crisi in corso nel mondo non ricevono neanche un frammento dell’attenzione dedicata all’Ucraina. “Le vite nere e quelle bianche hanno lo stesso valore quando si verifica una emergenza umanitaria? – si è domandato retoricamente durante una conferenza stampa indetta per sollecitare aiuti all’Etiopia – Voglio essere franco e onesto, il mondo non tratta l’umanità tutta allo stesso modo. Alcuni sono più uguali di altri”.
Ghebreyesus il 17 agosto è ritornato sull’argomento. “Forse il motivo del minore interesse per le popolazioni africane alla fame è il colore della pelle” ha detto parlando con la stampa il 17 agosto. Nella stessa occasione il direttore dell’Oms per le emergenze Mike Ryan ha aggiunto: “sembra che tutti se ne freghino di quel che sta succedendo nel Corno d’Africa”.
Ma le Nazioni Unite e le loro agenzie, una volta tanto, dovrebbero preoccuparsi della fine che fanno gli aiuti umanitari – denaro, generi alimentari, medicinali e altri articoli di prima necessità generosamente offerti – prima di reclamarne altri. In Etiopia si combatte da quasi due anni, da quando cioè i leader dell’etnia tigrina hanno dichiarato guerra al governo con l’obiettivo, per ora fallito, di riconquistare il potere detenuto per quasi 30 anni e perso nel 2018. Assistere la popolazione spesso è impossibile perché troppo pericoloso e perché i contendenti – tigrini e governo – come arma di guerra usano anche il blocco dei convogli umanitari. In Somalia il gruppo jihadista al Shabaab controlla estesi territori nel centro sud del paese, mette a segno continui attentati nel cuore della capitale Mogadiscio, nelle scorse settimane è penetrato ripetutamente per decine di chilometri in territorio etiope attaccando dei villaggi e una città. Il 3 settembre un commando al Shabaab ha attaccato un convoglio di generi alimentari destinati agli abitanti di due città. I jihadisti hanno dato fuoco agli autocarri. Il cibo che trasportavano è andato perduto. Nello scontro sono state uccise almeno 20 persone e altre sono state ferite in modo grave.