Cardinal Dolan: cattolici abbandonati dai Democratici
Il cardinal Timothy Dolan, arcivescovo di New York e già presidente della Conferenza episcopale cattolica degli Usa, con un editoriale scritto per il Wall Street Journal, afferma quel che era sempre più evidente. Che i cattolici non trovano più posto, né ascolto nel Partito Democratico, ormai ricettacolo di laicisti e abortisti.
Nel 2005, David Carlin, a lungo esponente di punta del Partito Democratico del Rhode Island e oggi professore di Sociologia, pubblicò un libro nel suo “piccolo” sensazionale, Can a Catholic Be a Democrat? How the Party I Loved Became the Enemy of My Religion (Sophia Institute Press, Bedford [New Hampshire]). Tredici anni dopo, il cardinal Timothy M. Dolan, arcivescovo di New York e già presidente della Conferenza episcopale cattolica degli Stati Uniti d’America, spazza il punto interrogativo (retorico) di Carlin con una presa di posizione netta: The Democrats Abandon Catholics, che è il titolo di un suo articolo pubblicato venerdì 23 marzo su The Wall Street Journal.
Dico il “WSJ”: non, con tutto il rispetto, il bollettino della diocesi, che è strumento evidentemente nobilissimo e pure lettissimo, ma pur sempre “per cattolici”. Il fatto che mons. Dolan pubblichi sul quotidiano finanziario più influente del mondo, quindi su una delle testate più importanti del globo a cui sono sensibili anche i “poteri forti”, nella pagina degli editoriali, significa due cose. Che il porporato non ha alcuna intenzione di “predicare al coro” e che il “WSJ” lo ritiene autorevole. Certo, in novembre ci sono le elezioni “di medio termine”, il “WSJ” non parteggia per i Democratici e Dolan neppure. Ma come spiegazione non basta. Non è infatti indolore né per il “WSJ” ospitare il card. Dolan su un argomento partitico, né lo è per il card. Dolan bocciare apertamente un partito sul “WSJ”. A farlo, ci si fa criticare: il “WSJ” dai liberali che guardano di sottecchi la Chiesa Cattolica, in specie i suoi esponenti tranchant sulla morale, e il card. Dolan da quelli che gli rinfacceranno di fare comunella con “i libberali”. Fortunatamente, né il “WSJ” né il card. Dolan ascoltano i rumori di fondo.
Dice il porporato che il motivo per cui i cattolici hanno storicamente ingrossato le fila dei Democratici è che questi sono stati il partito dei “diritti civili”, delle minoranze etniche immigrate (spesso cattoliche), dei poveri (spesso cattolici di seconda, terza e quarta immigrazione), dunque della vita umana nascente (minacciata dall’aborto di preferenza fra i poveri e gl’immigrati, quindi tra i cattolici). Peraltro curiosamente - va aggiunto -, visto che i Democratici sono stati il partito del Sud schiavista, come non manca di ricordare, in maniera puntuta, Wrong on Race: The Democratic Party’s Buried Past di Bruce Bartlett (St. Martin’s Griffin, New York 2009), osservatore e analista che scrive su molte testate, tra cui lo stesso “WSJ”. Ma quello era il passato: e mentre i Democratici si sono rifatti una verginità, i Repubblicani, originariamente il partito progressista degli abolizionisti, sono diventati il partito dell’arroganza wasp capace persino di calpestare la dignità umana in nome del profitto. Scrive il card. Dolan (sul giornale che per ampia parte può bene ricordare l’arroganza wasp di quei Repubblicani): «Ricordo mia nonna sussurrarmi: “Noi cattolici non ci fidiamo di quei Repubblicani”». Ma «non è più così, cosa triste per molti cattolici, me compreso». I Democratici non sono cioè più (da tempo) il partito dei poveri bisognosi e dei bambini uccisi nel ventre materno.
«Uno stimato Democratico pro-life dell’Illinois, il deputato Dan Lipinski», spiega il cardinale, «è stato di fatto epurato dal proprio stesso partito». In vista delle elezioni per il Congresso di novembre, Lipinski, in carica dal 2004, martedì 20 marzo ha vinto le primarie contro Marie Newman, sfidante appartenente all’ala radicale dei Democratici appoggiata da tutto l’establishment del partito e dal gotha dell’abortismo. Assieme ai deputati Henry Cuellar (cattolico) e Collin C. Peterson (luterano), nonché ai senatori Joseph Donnelly, Robert Casey Jr. e Joseph Manchin (tutti e tre cattolici), Lipinski appartiene allo sparuto gruppo dei Democratici che sulla tutela della vita in Congresso votano assieme ai Repubblicani: una “specie in via di estinzione”, come dicono i media americani.
In più, prosegue il card. Dolan, «l’anno sorso, il presidente del Comitato Nazionale Democratico [l’organo direttivo del partito], Tom Perez, ha fatto di tutto affinché i candidati pro-life non trovassero posto nel Partito Democratico attuale di oggi», imponendo clamorosamente loro l’obbedienza abortista. E nessuno ha mai scordato il vecchio “caso Casey”, quando nel 1992 il partito impedì all’ex governatore Democratico della Pennsylvania Robert P. Casey, Jr. (1932-2000), il padre dell’omonimo attuale senatore Democratico antiabortista, di prendere la parola durante la Convention nazionale che laureò Bill Clinton candidato presidenziale della Sinistra giacché avrebbe difeso pubblicamente la vita.
«In anni recenti», continua il cardinale, «alcuni Democratici dell’assemblea legislativa dello Stato di New York hanno ripetutamente bloccato le proposte di legge sui crediti d’imposta scolastici che avrebbero aiutato le famiglie dei ceti medio e basso a scegliere scuole cattoliche o altre scuole non statali per i propri figli. L’avere contrastato quelle norme ha ridotto la capacità di certe buone scuole cattoliche dello Stato di New York di proseguire la missione di servizio ai poveri, molti dei quali immigrati». Non è finita. «Un fattore che fa ancora più riflettere è che quella che già è la più radicale tra leggi sull’aborto di tutto il Paese potrebbe presto diventare ancora più morbosamente permissiva. Per esempio, con la proposta di legge Reproductive Health Act, ai medici non verrebbe più imposto di prendersi cura del bambino che sopravvivesse a un aborto. Il neonato verrebbe lasciato semplicemente morire senz’alcuna altra implicazione giuridica. E diventerebbe legale praticare l’aborto sino al momento della nascita».
Per questo la diaspora è in corso da tempo. Se il senatore della Pennsylvania Arlen Specter (1930-2012) abbandonò il Partito Repubblicano facendosi Democratico dopo 44 anni di militanza ai massimi livelli perché non poteva più sopportarne l’orientamento oramai fattosi pro life - quello che documenta Phyllis S. Schlafly (1924-2016) in How the Republican Party Became Pro-Life (Dunrobin Publishing, s.l. 2016) -, Annafi Wahed, una ragazza che ha fatto parte dello staff di Hillary Clinton, ha recentemente scritto sullo stesso “WSJ” «[...] dell’esperienza fatta partecipando alla Conservative Political Action Conference», il meeting annuale di tutto il mondo conservatore. «Si è congratulata con il pubblico dei conservatori», riassume il porporato, «sottolineando come la maggior parte di loro l’abbia fatta sentire accolta. Hanno ascoltato attentamente il suo punto di vista: cortesia questa - ha ammesso la ragazza - che non sarebbe stata loro riservata se avessero preso parte a un incontro di politici liberal»
Ora, dice il card. Dolan, «io sono un pastore, non un politico, e ho avuto diverbi e ricevuto delusioni dai politici di entrambi i partiti americani maggiori. Però m’intristisce, e indebolisce la democrazia che milioni di americani tanto apprezzano, vedere il partito che un tempo abbracciava i cattolici sbatterci adesso la porta in faccia». Chiudendo così: «Mi spiace dover scrivere queste cose», e, rivolto idealmente ai grandi fari del cattolicesimo sociale di New York, ecclesiastici e laici, per la ragioni sopra ricordate vicini al Partito Democratico o persino attivi in esso, aggiunge: «Ma la mia tristezza non è paragonabile alla vostra che sapete bene quanto tutto ciò sia vero».
Certo, ci sono le elezioni a novembre. Certo che i Repubblicani - non più il partito dell’arroganza wasp - debbono vincerle. Certo che hanno bisogno di aiuto, stante le loro difficoltà attuali. Il card. Dolan lo sa benissimo ed è per questo che dice ai cattolici di abbandonare il Partito Democratico giacché il Partito Democratico ha abbandonato i cattolici. Da non politico, il cardinal interviene nel mondo più nobilmente politico. Lascia i politicanti giocare coi loro giochini e ricorda ciò che in politica non è negoziabile. Verrà strumentalizzato dai Repubblicani? Ovvio, altrimenti il “WSJ” non lo avrebbe accolto sulle proprie pagine. Il primo a saperlo è proprio lui; per questo ha preso carta a penna. Si vuol fare strumentalizzare, il cardinale, vuole essere lo strumento della verità inderogabile anche in politica.