Cappato assolto, dignità della persona condannata a morte
Mentre col Natale si festeggia la nascita della Vita, il leader Radicale Cappato viene assolto dal reato di aiuto al suicidio per il caso Fabo. È la logica conseguenza della sentenza della Corte Costituzionale di settembre. Le modalità per praticare l’eutanasia nel nostro Paese si ampliano ancora di più: dopo la morte di una persona che non si sottopone a terapie salvavita, la loro interruzione o la sedazione profonda prolungata, ora si aggiunge un’altra metodica: l’aiuto al suicidio. E le modifiche parlamentari non faranno altro che allargare il raggio. Così si condanna a morte la dignità della persona.
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Mentre si festeggia la nascita della Vita nel piccolo Gesù, ecco che ieri a Milano alcuni giudici hanno prestato culto alla dea morte. Marco Cappato, leader radicale che aveva aiutato DJ Fabo a morire portandolo in Svizzera, è stato assolto dal reato di aiuto al suicidio perché, ha così indicato la Corte di Assise di Milano, «il fatto non sussiste». In punta di diritto nulla quaestio. Infatti la Corte costituzionale nel settembre scorso aveva indicato i criteri nel rispetto dei quali l’aiuto al suicidio d’ora in avanti non doveva essere più considerato un reato, ma un diritto: paziente «pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli», sottoposto a trattamenti salvavita e presenza di patologie irreversibili che causano sofferenze fisiche e psicologiche.
Inoltre aveva aggiunto che i processi in corso per tale reato si dovevano riferire a questi criteri per comprendere se l’imputato fosse innocente o colpevole. Il caso Cappato rispettava puntualmente queste condizioni e quindi la condotta del leader radicale non doveva essere considerata penalmente rilevante. E infatti il pm Tiziana Siciliano ha affermato che Dj Fabo era afflitto da «una patologia irreversibile che gli procurava gravi sofferenze fisiche e psicologiche», «dipendeva dalle macchine che lo tenevano in vita» e ha preso «una decisione libera e consapevole» di morire. Dunque il fatto non sussiste perché – ha spiegato sempre in aula la Siciliano che da pubblica accusa si è trasformata in avvocato difensore di Cappato - «la fattispecie incriminatrice da sovrapporre alla norma astratta prevista non corrisponde agli elementi fattuali di cui siamo in possesso. […] il fatto di reato così contestato non sussiste».
E quindi le modalità per praticare l’eutanasia nel nostro Paese si ampliano ancora di più. Già la legge 219 permette di provocare la morte di una persona non sottoponendosi a terapie salvavita, oppure interrompendo le stesse oppure praticando la sedazione profonda prolungata. Ora si aggiunge un’altra metodica: l’aiuto al suicidio. Questa è la prima sentenza che conferma che aiutare a morire qualcuno non è più un delitto, ma un diritto.
In Parlamento ci sono più disegni di legge per modificare la normativa vigente secondo le indicazioni della Consulta, ma a ben vedere, limitatamente alla pratica dell’aiuto al suicidio, i giudici, come testimoniato dalla sentenza di ieri, se la cavano benissimo anche senza una legge ad hoc. Le modifiche legislative che il Parlamento partorirà serviranno invece ad ampliare ulteriormente il raggio di azione delle pratiche eutanasiche, ad esempio legittimando anche l’iniezione letale. È ciò che tra le righe si può leggere in una dichiarazione rilasciata a caldo dalla stessa Siciliano appena letta la sentenza: «È una giornata storica e un grande risultato perchè la decisione della Corte realizza pienamente il significato dell'articolo due della Costituzione che mette l'uomo al centro della vita sociale e non anche lo Stato. Ora è compito del legislatore colmare le lacune che ancora ci sono».
Ecco la solita parolina magica: lacune. Nel nostro ordinamento giuridico non esistevano lacune in merito all’aiuto al suicidio, semplicemente questa condotta era vietata. Parimenti il nostro ordinamento non è lacunoso in merito all’iniezione letale, semplicemente la vieta. Insomma si chiama lacuna ciò che non piace. Detto ciò appare evidente che anche l’iniezione letale diventerà legittima, perché introdotto il principio che puoi uccidere una persona innocente, tutte le modalità per attuare questo stesso principio devono essere permesse.
Un appunto riferito a quanto diceva la Siciliano in merito all’art. 2 della Costituzione che così recita nella sua parte inziale: «La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo». Nella prospettiva liberista e fondata su un erroneo principio di autodeterminazione sposata dal duo Cappato-Siciliano esisterebbe il diritto ad uccidersi. Nella visione dei padri costituenti questo diritto è invece inesistente perché non si può predicare il diritto a compiere un male morale. Anche per i padri costituenti l’uomo non è assoluto signore di se stesso, non ha il pieno e illimitato dominio della propria persona, ma quest’ultima conserva sempre in sé quella preziosità intrinseca che esige il suo rispetto in ogni frangente, anche quando le condizioni di salute fossero disperate e irreversibili ed anche quando il diretto interessato volesse morire.
La notizia vera quindi non è l’assoluzione di Cappato, bensì la condanna a morte della dignità della persona.