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COSTA CONCORDIA

Capitani (forse) coraggiosi

La tragedia del'Isola del Giglio
riporta alla mente vicende analoghe
di comandanti che, pur facendo scelte differenti, sono rimasti comunque vittime del naufragio.

Attualità 19_01_2012
Capitano

Il Titanic era lungo 269 metri e largo 28, aveva una stazza di 46.328 tonnellate e l'altezza del ponte sulla linea di galleggiamento era di 18 metri (53 metri l'altezza totale). Nel drammatico affondamento, dovuto all’impatto con l’iceberg, nella notte tra il 14 e il 15 aprile 1912  persero la vita 1523 dei 2223 passeggeri imbarcati compresi gli 800 uomini dell'equipaggio (in totale erano imbarcate 3023 persone).

Si può confrontare il Titanic con la nave: “Costa Concordia” della compagnia genovese Costa Crociere. Quest’ultima è più grande e trasporta più passeggeri: ha una stazza lorda  di 114.147 tonnellate, lunghezza  di 292 m, larghezza 35,50 m ed altezza  52 m. Trasporta 1100 membri dell’equipaggio ed al massimo 3780 passeggeri. Erano in 4200 sulla Costa Crociere Concordia quando è avvenuto il disastro presso l’isola del Giglio.

Tra tante accuse e ore di “processi” televisivi occorre ricordare anche quanto affermato dalla moglie del Comandante:“Restiamo in attesa dell’accertamento della verità, che avverra’ nei tempi necessari e nelle sedi opportune, e perciò invitiamo intanto accoratamente i media al rispetto massimo delle persone coinvolte in questa immane tragedia, evitando che la caccia alla notizia sensazionale calpesti la dignita’ umana”. Giuseppe Menna, comandante della Capitaneria di porto di Castellammare di Stabia, ha dichiarato: “Bisogna stare cauti a dare giudizi. C’è una cosa che non è mai stata detta: è vero che primario dovere di un comandante è quello di lasciare per ultimo la nave, ma il comandante Schettino non avrebbe potuto lanciare l’allarme nell’immediatezza dell’urto, poichè dovere del comandante è anche quello di non creare e di non diffondere panico a bordo. Se Schettino avesse lanciato l’allarme dicendo che la nave stava per affondare, avrebbe creato panico e quindi le operazioni di soccorso a bordo sarebbero state rallentate”.

I giudici ed ispettori che saranno competenti ed a conoscenza di tutte le informazioni, testimonianze e registrazioni oggettive disponibili potranno giudicare in futuro sulle eventuali colpe e/o cause, va ricordato però anche che i più esperti in mare possono sbagliare come accadde nell’aprile 1997 quando l’ammiraglia della Marina Militare italiana per la missione Alba, la nave Vittorio Venteo, si arenò “incredibilmente” davanti le coste albanesi (clicca qui o qui).

Per quanto riguarda le storie dei Comandanti famosi, si può ricordare che la notte del 25 luglio 1956 il transatlantico italiano Andrea Doria e la nave svedese Stockholm si scontrarono al largo delle coste statunitensi. Morirono 46 persone e 1660 furono portate in salvo in una delle più grandi operazioni di salvataggio della storia. La colpa fu data al Comandante Calamai e la sua carriera stroncata, da quel momento visse rinchiuso in casa in una sorta di depressione causata dagli eventi. Non ebbe nessun altro incarico e morì senza mai conoscere la verità: lui non aveva nessuna colpa. In seguito fu provato che l'Andrea Doria non era responsabile dell'incidente, anzi il suo comportamento era stato esemplare. Oggi il suo ritratto è fra quello di altri grandi Comandanti che hanno fatto la Storia della Marina nella Scuola della Marina Militare degli Stati Uniti d'America (tratto da  "Andrea Doria, la verità tradita").

Per quanto riguarda il Comandante accusato di aver abbandonato il suo equipaggio, forse il caso più famoso riguarda Umberto Nobile durante il tragico tentativo di trasvolata dell’Artico a bordo del dirigibile “Italia”.  Mentre aveva compiuto quasi tutto il tragitto l'Italia finì con uno schianto sul ghiaccio durante una violenta tempesta. Dieci uomini vennero sbalzati dall'urto sul ghiaccio mentre il dirigibile riprendeva quota portando con sé gli altri sei membri dell'equipaggio destinati a scomparire per sempre.

I superstiti, fortunatamente, si trovarono circondati di materiali caduti con l'impatto o gettati
eroicamente dall'aeronave tra i quali cibo, una radio e la famosa Tenda Rossa (in realtà di color argento, colorata di rosso con dell'anilina, sostanza usata per le rilevazioni altimetriche) entro la quale si adattarono a vivere per sette settimane. Dall'incidente scaturì la prima spedizione internazionale di soccorso polare e un mese dopo Nobile venne portato in salvo con un piccolo aereo svedese comandato dal tenente svedese Lundborg.

Nobile non voleva essere salvato per primo poiché uno del gruppo, Cecioni, aveva una gamba fratturata ma il pilota svedese su precisi ordini fu irremovibile nell'ordinare al generale di essere salvato per primo. Quando il pilota ritornò a prendere gli altri, precipitò egli stesso rimanendo a sua volta imprigionato tra i ghiacci. Mentre tutte le forze internazionali di soccorso si erano mobilitate per salvare i superstiti, la sola nazione che rimase inerte fu proprio l'Italia. La nave appoggio Città di Milano comandata dal capitano Romagna rimase alla fonda nella Baia del Re su precisi ordini di Roma. Una volta che Nobile vi salì a bordo vi rimase da prigioniero, impossibilitato a fornire utili indicazioni per il salvataggio mentre la stampa su pressione del movimento fascista lo tacciava di vigliaccheria. Solo il 12 luglio 1928 il rompighiaccio russo Krasin raggiunse i superstiti e li trasse in salvo.

Nobile fu accusato di aver abbandonato i suoi uomini e fu costretto a dimettersi da tutte le cariche. Di fatto, il governo dell'epoca lo abbandonò al suo destino e solo dopo la fine della seconda guerra mondiale il giudizio della commissione d'inchiesta fu sovvertito e Nobile venne riabilitato e promosso al grado di generale.

Ogni evento è un caso unico e non può essere accomunato ad altri, però la storia insegna che per giudicare è bene sempre che l’onda emotiva passi e tutte le informazioni siano raccolte. Talvolta però le curiose coincidenze della storia ci sorprendono,  come non notare che il nipote del Generale Umberto Nobile si chiamava “Umberto Nobile Schettino”.