Canone Rai, tra Lega e Forza Italia lo scontro è identitario
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Spaccati sull'imposta tv, Carroccio e azzurri sono divisi anche dalla contesa per il secondo posto nella maggioranza e dal rapporto con i rispettivi elettorati. Ma a chi conviene mettere in difficoltà l'esecutivo agli occhi del Paese?
Tra Lega e Forza Italia ormai volano i coltelli. Non è un mistero, vista la nota rivalità tra i due partiti, che si contendono il secondo posto nella coalizione di centrodestra. Lo scontro in atto, però, si sta consumando su questioni anche apparentemente frivole, ma che in realtà servono sia al Carroccio che agli azzurri per preservare e consolidare il rapporto con i rispettivi elettorati. Quello leghista, soprattutto al nord, si aspetta una concreta riduzione delle tasse; quello azzurro è ancora molto legato al ricordo di Silvio Berlusconi. Ecco perché le opposte posizioni di Lega e Forza Italia sulla questione del canone Rai sono riconducibili ad aspetti identitari: la Lega vuole compiacere quella sua parte di popolo che ha sempre considerato la Rai un carrozzone romanocentrico e dunque preme per l’ulteriore riduzione del canone; Forza Italia è vincolata agli interessi di Mediaset, che vedrebbe ridotto il suo monte pubblicitario se la Rai dovesse assorbire più pubblicità per compensare i minori introiti del canone.
Ecco perché due giorni fa il governo si è spaccato e il partito guidato da Antonio Tajani ha perfino disertato il consiglio dei ministri. In commissione bilancio, al Senato, è stato bocciato proprio l’emendamento del Carroccio che proponeva un taglio del canone Rai da 90 a 70 euro. Su quell’emendamento Forza Italia aveva preso apertamente una posizione contraria, ma il governo – tramite la sottosegretaria all'economia Lucia Albano – aveva comunque dato parere favorevole. Al momento della conta, i due senatori forzisti si sono schierati contro, votando con i partiti di sinistra e dunque portando alla sconfitta della proposta.
Il taglio del canone Rai era una misura già varata lo scorso anno e, anche se per le casse dello Stato significava una perdita di circa 430 milioni di euro, per i leghisti era una "bandiera" su cui puntare, dato che più volte il leader Salvini ha promesso di arrivare addirittura ad azzerare il canone. E d'altra parte, in questa manovra, le altre promesse storiche della Lega – la flat tax e Quota 41, ad esempio – si sono decisamente allontanate e dunque era necessario, almeno sul canone, forse la partita più semplice e di immediato impatto per le tasche di tutti i contribuenti, puntare i piedi, cosa che Salvini e soci hanno fatto.
Per Forza Italia invece la misura era insensata perché avrebbe obbligato lo Stato a «dare 400 milioni di risparmi alla Rai», come ha chiosato il capogruppo al Senato Maurizio Gasparri. La verità è che il taglio del canone sarebbe anche stato sgradito a Mediaset, perché – come abbiamo accennato – avrebbe potuto portare ad alzare la quota pubblicitaria che la Rai può incassare, aumentando quindi la concorrenza.
Debole la reazione di Giorgia Meloni, che si è limitata a commentare che «non giova a nessuno» un episodio del genere. Ai tempi dei governi Berlusconi, di fronte a divisioni tra alleati anche più aspre di questa, bastava un vertice ad Arcore per far tornare il sereno e per ricomporre le fratture.
Il premier è tra l’incudine e il martello: da una parte non deve lasciare a Salvini il monopolio della battaglia per la riduzione delle tasse, quindi anche dell’odiato canone Rai, dall’altra non deve incrinare l’asse con Mediaset per evitare che le tv private più importanti d’Italia si mettano di traverso ostacolando l’azione dell’esecutivo.
Ma al di là del canone Rai si sono registrate altre divisioni nei giorni scorsi, sempre nella commissione bilancio del Senato, dove è stata bocciata dai leghisti, proprio per ripicca verso Forza Italia e Fratelli d’Italia, una proposta di Claudio Lotito sulla sanità in Calabria.
Sullo sfondo il tema del rimpasto, che Meloni vuole rinviare sine die per impedire di toccare pedine fondamentali e di far franare l’intero edificio del governo. Tuttavia Forza Italia, che non riesce ancora ad ottenere la presidenza Rai con Simona Agnes (ennesima fumata nera), scalpita per avere altre poltrone e schiacciare ancora di più la Lega. E poi ci sono annose questioni come la tassa sugli extraprofitti delle banche e la riforma della cittadinanza sulle quali davvero nel centrodestra si parlano linguaggi molto diversi.
Meloni forse dovrebbe farsi ascoltare di più, visto che la sua leadership è fuori discussione, e frenare per tempo queste spinte centrifughe che rischiano di minare a lungo andare la tenuta del suo esecutivo. Forza Italia si sente ormai secondo partito, come confermato peraltro dall’esito delle ultime regionali. Però in Parlamento i numeri sono altri: i parlamentari leghisti sono 94, quelli forzisti 68. Di qui le costanti frizioni e i mal di pancia in casa azzurra.
E poi una domanda è quanto mai opportuna: perché non trovare prima la quadra sui provvedimenti in consiglio dei ministri anziché arrivare in aula, litigare, dividersi e finire sui giornali come una coalizione rissosa? Sia il dibattito sulla riduzione del canone che gli altri punti della manovra finanziaria erano già stati ampiamente discussi tra i ministri, che portano alle Camere un testo di solito blindato. Perché allora è scoppiata la bagarre nelle commissioni parlamentari? A qualcuno della maggioranza forse conviene mettere in difficoltà platealmente l’esecutivo agli occhi del Paese?
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