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DROGHE

Cannabis, riparte il circo degli spinellati

Chi oggi torna alla carica per la liberalizzazione delle droghe cosiddette "leggere", ripropone vecchi luoghi comuni ampiamente smentiti dai fatti. In realtà la distinzione fra droghe pesanti e droghe leggere è falsa.

Cronaca 10_01_2014
Cannabis

Il dibattito politico-mediatico è periodicamente attraversato da “argomenti-zombi”, cioè da tematiche che nel magma del post '68 sono poste a scadenze ricorrenti al centro dell’attenzione: quando sembra che le ragioni di ordine logico, scientifico e giuridico abbiano la meglio, anche nella traduzione in legge, e che la questione possa ritenersi finalmente archiviata, da qualche anfratto lo “zombi” torna in superficie, con i medesimi luoghi comuni di dieci, o venti, o trenta anni prima.  

Sulla legalizzazione della marijuana le espressioni-chiave, ascoltate, riascoltate, e già contraddette, sono le seguenti:

- l’“erba” non fa male, anzi aiuta a “socializzare”, certamente a passare una serata in spensieratezza;

- ci sono gli spacciatori poveri e gli spacciatori ricchi; i primi sono buoni, svolgono quasi una funzione sociale, i secondi sono cattivi, e con la “canna di Stato” saranno finalmente sconfitti;

- ognuno decide della propria salute, è libero di farsi del male a piacimento (ammesso che ci sia del male) senza intromissioni da parte dello Stato.

Oggi, come nei decenni passati, anzi più che nei decenni passati, grazie a conferme sempre più accurate che provengono dalla scienza e dalla medicina, è agevole ribadire che: 

- la distinzione fra droghe pesanti e droghe leggere è falsa; la “leggerezza” di alcune droghe semplicemente non esiste. Un quarto di secolo fa le perizie sui derivati della cannabis che circolava fra gli assuntori individuavano il thc, acronimo di delta9tetraidrocannabinolo, il principio attivo di tale sostanza, quello che provoca l’effetto stupefacente, mediamente nell’1-1,5%. Da tempo non è più così: è frequente trovare “spinelli” con principio attivo equivalente anche al 15-20-25%. Con effetti devastanti e progressivamente irreversibili sulla psiche e sul fisico;

- lo spaccio, anche se svolto sotto la spinta della dipendenza da sostanze stupefacenti e per procurare a sé delle altre quantità, provoca sempre danni gravi per l’intera comunità. Nessuno però è mai andato in carcere per la semplice detenzione o assunzione di uno spinello. Nessuna legalizzazione peraltro potrà mai essere completa, a meno di non immaginare che un bambino possa recarsi tranquillamente in una tabaccheria e acquistare tutta l’“erba” che vuole: ogni legalizzazione avrà dei limiti, di età e di quantità. Quelle organizzazioni criminali che la legalizzazione dovrebbe sconfiggere opereranno oltre il superamento dei limiti che verranno fissati!

- sulla libertà di farsi male senza che lo Stato si intrometta, nessuno ha mai contestato il principio ispiratore della legge che impone il casco alla guida delle motociclette: eppure, in caso di incidente, il danno potenziale riguarda esclusivamente il soggetto che viola la norma. Nessuno lo ha mai contestato perché la Costituzione, ma prima ancora il buon senso, pongono alla base della convivenza il principio di solidarietà, che si articola in diritti – quelli, per es., di ricevere cura e assistenza in caso di difficoltà – e in doveri: nel momento in cui io ledo la mia salute a seguito di miei comportamenti, mi sottraggo all’adempimento dei quei doveri, e costringo le istituzioni a impiegare risorse ed energie per soccorrermi. Perché l’identica logica non dovrebbe valere anche per la diffusione e per l’uso degli stupefacenti? 

Prima della legge di riforma del 2006, l’ordinamento era al tempo stesso lassista e inutilmente rigorista. Lassista nel momento del contatto con la droga da parte del potenziale consumatore: anche la detenzione di quantitativi considerevoli di stupefacenti, che non fosse accompagnata da gesti univoci di cessione a terzi, era penalmente irrilevante: la giurisprudenza era giunta a ritenere non punibile la detenzione di decine di grammi di eroina, e perfino la cessione finalizzata al "consumo di gruppo"; se mancava la prova della predisposizione per lo spaccio, non vi era alcun limite di illiceità per la detenzione. Inutilmente rigorista sul fronte del recupero; capitava di incontrare in comunità persone che vi erano entrate agli arresti domiciliari, che avevano affrontato con successo la terapia al punto da diventare educatori, e che però erano in procinto di finire in carcere perché nel frattempo erano maturate le condanne per i reati commessi a causa della tossicodipendenza.

Con la riforma del 2006 è stata eliminata ogni fuorviante distinzione fra droghe leggere e droghe pesanti: i danni dei derivati della cannabis (hashish e marijuana), più volte illustrati da documenti del Consiglio superiore di sanità, hanno dimostrato la frequente progressione all’uso di altre droghe, la riduzione delle capacità cognitive, di memoria e psicomotorie, oltre che schizofrenia, depressione e ansietà. La riforma ha fissato la linea di confine fra la detenzione che rappresenta illecito amministrativo e la detenzione che costituisce illecito penale. Il confine è stato stabilito in modo oggettivo da una tabella; oltre il limite che la tabella indica per ogni sostanza stupefacente vi è una presunzione di pericolosità anche nella detenzione. Se la droga detenuta oltrepassa quel limite, operano le sanzioni penali; se è al di sotto di quel limite operano le sanzioni amministrative.

Le sanzioni amministrative sono: sospensione della patente di guida, del porto d’armi, del passaporto, del permesso di soggiorno per motivi turistici, e fermo amministrativo del ciclomotore in uso. Sono disposte dal prefetto che, se ne ricorrono le condizioni, propone un programma di recupero. Le sanzioni penali, oltre il limite oggettivo di cui si è detto, non sono state aumentate, e seguono criteri di gradualità: resta, per le ipotesi meno gravi, la diminuente del fatto di lieve entità. Dunque, è falso che, in base alla legge attuale, chi fuma uno spinello va in carcere. Sull’applicazione di sanzioni amministrative simili a quelle già in vigore, è bieco proibizionismo sospendere la patente di guida a chi fa uso di droga? Siamo tranquilli se apprendiamo che l’autista del pulmino che accompagna i nostri bambini a scuola è un allegro spinellatore? 

Con la riforma del 2006 il carcere viene evitato se si accetta il recupero, in comunità o col servizio pubblico; e può essere evitato, anche da parte di chi rifiuta un recupero concordato, se ci si impegna in un lavoro sostitutivo, per un periodo pari a quello della reclusione. In presenza di un programma, si può sospendere con maggiore larghezza l’esecuzione della pena detentiva irrogata in via definitiva: mentre prima il limite di pena che consentiva la sospensione era di 4 anni di reclusione, il nuovo limite è stato elevato a 6 anni di reclusione. In questo modo si è permesso a una fascia più ampia di tossicodipendenti di affrontare con maggiore fiducia il percorso di riabilitazione. A fianco a queste, altre disposizioni – che spesso hanno il limite di venire sabotate nella concreta applicazione – riguardano l’attività di prevenzione nelle scuole e la valorizzazione del ruolo delle comunità.

La legge in vigore non è né proibizionista né antiproibizionista. L’antiproibizionismo aggrava il dramma della droga, favorendone la più ampia diffusione; il proibizionismo in sé non risolve nulla, dal momento che la questione droga non può ridursi a un problema di diritto penale. Quella che è stata introdotta dal 2006 è una via diversa, che investe sulla prevenzione e spinge con tutta la forza possibile verso il recupero. Nella consapevolezza che la legge dello Stato è un tassello importante, ma non è la bacchetta magica: si inserisce, e per certi aspetti promuove, una strategia più ampia, che dovrebbe coinvolgere le famiglie, il volontariato, le comunità, la scuola, e i tanti giovani e meno giovani che vogliono essere aiutati a uscire da quella dipendenza che stronca una vita dignitosa. In uno sforzo comune per l’affermazione della libertà dalla droga. La libertà della droga è già stata sperimentata, ha fallito, e non può tornare come “zombi” e pretendere credibilità.