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NICOLO' PISANU

Cannabis, quanto poco ne conosciamo gli effetti

"Se noi garantiamo l’uso corretto e monitorato della sostanza, che effettivamente può avere effetti benefici ciò è eticamente positivo, perché la salute della persona è un principio inderogabile". Ma "concedendo questa possibilità si apre un meccanismo che ha anche delle ipoteche, sia sulla salute della persona stessa, sia sulla società". Parla Nicolò Pisanu, Università Pontificia Salesiana, Roma.

Creato 05_02_2015
Cannabis terapeutica

A partire da aprile, in Toscana, la cannabis potrà essere prescritta dai medici di famiglia ad uso terapeutico. L’annuncio è stato dato dal governatore regionale, Enrico Rossi, che ha inoltre annunciato che entro l’anno la sostanza sarà coltivata presso lo stabilimento chimico farmaceutico militare di Firenze. Una decisione che tuttavia suscita forti perplessità: la mancanza di chiarezza sul concetto stesso di “cannabis terapeutica” può indurre all’uso improprio della sostanza, ed inoltre l’assenza di un monitoraggio sugli effetti a lungo termine dei prodotti a base di cannabinoidi può esporre i pazienti a gravi rischi per la salute, fisica e psicologica. Si evidenzia un vuoto legislativo che richiede un intervento definitivo e uniformante. Ne abbiamo parlato con il Prof. Nicolò Pisanu, Preside dell’istituto Superiore Universitario “Progetto Uomo”, presso l’Università Pontificia Salesiana di Roma. 

Professor Pisanu, partiamo dalle parole usate per raccontare la vicenda: si parla di “cannabis terapeutica, ma non si rischia di fare confusione tra una sostanza estratta dalle foglie e l’uso di queste come droga?

Il rischio c’è sicuramente: è chiaro che si tratta di principi attivi estratti dalla cannabis, come accade per il discorso della morfina. Il decreto approvato dalla Regione Toscana cita il delta-9 e il trans-delta-9, che sono appunto principi attivi di sintesi. 

C’è evidenza scientifica, incontrovertibile, circa gli effetti positivi dell’uso terapeutico della cannabis?

In realtà mancano studi di monitoraggio a lungo termine dell’uso di queste sostanze e sugli effetti che esse hanno sul corpo e sulla psiche della persona. Come è accaduto in altri casi, non è escluso che tali sostanze possano slatentizzare a lungo termine delle patologie o dei comportamenti patologici, perché vanno a combinarsi con recettori e altri componenti del corpo e possono provocare effetti indesiderati o sconosciuti al momento. In altre parole, non sappiamo quali potrebbero essere gli effetti, per esempio fra cinque o dieci anni, dell’uso quotidiano di queste sostanze. So di un farmaco utilizzato per la cura del parkinson che a lungo termine rende la persona vulnerabile alla dipendenza da gioco, perché interagisce con determinati recettori neuronali, ma questo lo si sta scoprendo solo ora mentre il farmaco è usato da anni. 

Sugli effetti della cannabis ci sono diverse teorie e correnti di pensiero, accanto a chi sottolinea il rischio di dipendenza, incidenti alla guida, conseguenze psicosociali negative, c’è chi parla di effetti benefici. Serve un chiarimento definitivo... 

Ci sono teorie, correnti di pensiero, e soprattutto – e questo fa male quando si tratta di querelle come questa – c’è un uso ideologico e politico della questione. Un atteggiamento del quale dovremmo invece svestirci per lasciare la parola allo studio scientifico e clinico. A livello teorico è accettabile che i derivati della cannabis possano alleviare il dolore ed essere dei coadiuvanti terapeutici, ma, in coscienza devo dire che a livello pratico manca un monitoraggio scientifico degli effetti a lungo termine.

In Italia da anni è legale utilizzare prodotti farmaceutici a base di cannabinoidi, anche se in molti casi la mancanza di protocolli attuativi nelle singole Regioni ne ha ritardato l’impiego. Secondo la legge, in quali condizioni di controllo si possono usare? 

Anche qui serve maggiore chiarezza. Il legislatore deve essere molto attento nel disciplinare l’uso dei derivati della cannabis: è necessario fare una diagnosi molto chiara dei casi da trattare con queste sostanze; assicurare il controllo della distribuzione e della vendita; chiarire in quali condizioni di salute la sostanza può essere somministrata,  e quali garanzie prevedere per il malato, per il medico e il farmacista; chiarire come prevenire che si aprano le porte oscure del mercato clandestino o di quello di internet, dove si vende di tutto. E’ necessario che si creino le maggiori garanzie di salvaguardia per la salute della persona e della società. L’esempio migliore al riguardo viene dall’uso della morfina, che è un potente analgesico, anch’essa è un derivato, ed è disciplinato molto severamente e con molta chiarezza nell’uso e nelle distribuzione, al punto che non si conoscono mercati clandestini.

La Regione Toscana ha annunciato che la sostanza potrà essere prescritta dal medico di famiglia a partire da aprile. Consentire ai medici di base di prescrivere in ambulatorio la sostanza, senza controllo sull’assunzione, può comportare dei rischi per la persona?  

Certamente si, come per la morfina, questi farmaci vanno distribuiti con molta cautela. Innanzitutto il medico di base deve avere piena coscienza del motivo della prescrizione e del soggetto a cui la prescrive, e poi, visto che manca a livello scientifico, dovrebbe monitorare l’andamento di questa terapia che lui ha permesso.

Lei si occupa di terapia della dipendenza da droghe da anni. C’è la possibilità che l’abuso di tali sostanze provochi dipendenza o altri effetti collaterali? 

Il rischio c’è, come esiste nel caso della morfina per i morfinomani. Per questo ci vuole una particolare oculatezza da parte del medico di base, e per questo mi chiedo se deve essere proprio il medico di base a fare queste prescrizioni, o magari potrebbe essere un presidio ospedaliero che offrirebbe la garanzia di prestare maggiore attenzione. Faccio un esempio: siamo molto attenti nella distribuzione dei farmaci abortivi, e allora non vedo perché dovremmo essere meno attenti con altri farmaci altrettanto ricchi di ambivalenze e pericoli per la persona, come nel caso dei derivati della cannabis che sono estratti da una sostanza che a tutti gli effetti è una droga.

Sotto il profilo etico che impatto avrebbe un’apertura di questo tipo? 

Dal punto di vista etico, se noi garantiamo l’uso corretto e monitorato della sostanza, che effettivamente può avere effetti benefici e alleviare le sofferenze di malati affetti da patologie devastanti, allora tutto ciò che va per la salute dell’uomo, secondo me, è eticamente positivo, perché la salute della persona è un principio inderogabile. Tuttavia, sia il legislatore che l’uomo comune, che sono giustamente attenti alla salute e al benessere della persona e sono dunque spinti da un fine encomiabile, devono tenere presente che concedendo una possibilità che dovrebbe aiutare la persona, aprono un meccanismo che ha anche delle ipoteche, sia sulla salute della persona stessa, sia sulla società. Sappiamo benissimo che come uomini siamo tutti deboli e possiamo abusare di certe sostanze. Questo significa che non è la sostanza a dover preoccupare ma come viene utilizzata, e dunque serve un monitoraggio a lungo termine e garanzie per tutti.

Dal punto di vista educativo, come favorire un approccio corretto all’uso di queste sostanze? 

E’ necessario spiegare al cittadino, appartenente a qualsiasi partito politico e di qualunque ideologia, che certe scelte non possono essere fatte per ragioni ideologiche o per partito preso, ma vanno misurate sul benessere globale della persona. Stato e cittadino devono concorrere alla salute del cittadino e della comunità più ampia. 

Insieme alla Toscana, altre Regioni hanno legiferato sull’impiego dei cannabinoidi per scopi terapeutici: la parziale autonomia delle Regioni in fatto di politiche sanitarie offre questa possibilità. Secondo lei, sarebbe auspicabile uniformare il sistema sanitario nazionale almeno su temi sensibili come questo?

Penso che sui temi fondamentali e sui principi etici e educativi una nazione dovrebbe avere una riflessione unica, la regionalizzazione non ha senso, deve esserci un’unica tavola di confronto. Altrimenti accade che ci sono Regioni dove i cittadini stanno male e altre dove stanno bene, accade che la cannabis fa bene in Toscana e fa male in un’altra Regione.