Camminavamo nelle tenebre, ora la vera Luce le ha vinte
Siamo proprio noi il popolo che cammina nelle tenebre e che all’improvviso, in questo giorno, anzi, in questa notte, vengono illuminati dal calore di una luce nuova, unica, che illumina coloro che abitavano in una terra tenebrosa, in una terra che non offriva più nessuna speranza, nessun senso vero della vita, perché chiusa all’amore di Dio. È in questa notte, illuminata dalla luce di Cristo, che nasce nei nostri cuori il Figlio di Dio, in cui la nostra speranza diventa tangibile e la vita nuova realizzabile.
«Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse. Hai moltiplicato la gioia, hai aumentato la letizia» (Is 9,1).
Le parole della prima lettura, tratta dal profeta Isaia, ci immergono subito nella gioia, nella letizia, perché si parla di un popolo che camminava nelle tenebre ma che all’improvviso è stato inondato da una grande luce. Non si riferisce solo al popolo eletto e nemmeno soltanto a coloro, pochissimi, che quella notte santa hanno potuto vedere con i propri occhi il Verbo che si è fatto carne. In realtà e soprattutto siamo noi ad essere i protagonisti di questa profezia, perché siamo proprio noi che camminiamo nelle tenebre e che all’improvviso, in questo giorno, anzi, in questa notte, vengono illuminati dal calore di una luce nuova, unica, che illumina coloro che abitavano in una terra tenebrosa, in una terra che non offriva più nessuna speranza, nessun senso vero della vita, perché chiusa all’amore di Dio. È in questa notte, illuminata dalla luce di Cristo, che nasce nei nostri cuori il Figlio di Dio, in cui la nostra speranza diventa tangibile e la vita nuova realizzabile.
Nell’inno natalizio “In nocte Natalis Domini” di s. Ambrogio cantiamo:
“Ormai s’illumina il tuo presepe
e la notte irradia il suo fulgore:
ormai nessuna tenebra l’offuschi
ma di fede indefettibile splenda”.
Facciamo anche noi esperienza concreta della notte nella celebrazione della Messa della Vigilia. Il buio e il freddo della notte lo sperimentiamo prima di arrivare in chiesa, in cui troviamo la luce degli ambienti e il calore delle persone, dei fratelli e delle sorelle nella fede. Sperimentiamo il suono delle campane a festa e la gioia che ci viene inondata dal canto del “Gloria”, non solo gloria a Dio nell’alto dei cieli ma anche pace in terra agli uomini che Dio ama. Troviamo anche il segno che per la nostra tradizione indica il mistero del Natale: il Presepio.
Aldilà delle parole, il presepe manifesta il suo sacro silenzio, rivela l’Ineffabile. È un silenzio casto e saggio che illumina il cuore e la mente; è un silenzio che si trasforma in contatto, essere toccato da un’intuizione che si fa sentire. In ginocchio, in umile adorazione, insieme con Maria, Giuseppe, i pastori, l’asino e il bue inchiniamo la nostra mente al cuore, si fa mansueto e viene al mondo in noi, il Verbo si è fatto carne. Le tenebre diventate luminose, il silenzio fatto luce, apre il cuore per cogliere l‘immensità del suo amore che ama e ama senza perché. Come ci ricordava una felice espressione di Benedetto XVI: “il Logos, la ragione primordiale – è al contempo un amante con tutta la passione di un vero amore”. Il presepe ci introduce in questo mistero che “si conosce perfettamente solo ciò che si ama perfettamente”, s. Agostino (De diversis quaestionibus 35,2)
Nella basilica del nostro monastero, che è anche un santuario mariano frequentatissimo, abbiamo pensato di porre questo segno, così caro ai fedeli, sotto l’altare maggiore. In questo modo non solo tutti possono facilmente vedere la scena della natività, ma plasticamente cogliamo il legame tra Gesù (bambino) rappresentato dal presepe e l’Eucaristia che viene celebrata sull’altare. Due misteri fondamentali della nostra fede, l’incarnazione e l’Eucaristia, colti in un unico sguardo, perché l’Eucaristia è possibile solo perché vi è stata l’incarnazione e l’incarnazione è accaduta in vista dell’Eucaristia. Del resto nel presepe ricordiamo che Gesù è stato posto in una mangiatoia, in qualche modo figura, immagine, del sepolcro che custodirà il suo corpo, ma anche il luogo in cui gli animali mangiano e quindi anticipo del nostro mangiare il suo corpo che è l’Eucaristia.
«Oggi è nato per noi il Salvatore» ci dice l’antifona al salmo responsoriale nella Messa della notte e lo stesso salmo si apre con l’invito a cantare al Signore «un canto nuovo». Non si tratta solo dell’oggi che hanno visto Maria, Giuseppe, i pastori e poi i Magi, lo ripetiamo, ma del nostro oggi. Gesù è il presente perché è per noi, oggi, che viene il Salvatore, per donarci il senso vero della vita che è la comunione con Dio da cui si realizza la comunione tra di noi. Non si tratta dell’oggi come immediatezza della nostra esperienza fattuale per consolarci nelle nostre aspirazioni e appagarci nei nostri desideri subito ma in modo superficiale e, alla fine, frustrante, quanto, invece, farci toccare il futuro di Dio per la pienezza della vita in cui diventiamo radicalmente nuovi: cantate al Signore un canto nuovo.
S. Bernardo di Chiaravalle ci ricorda che sono tre gli avventi del Signore. Il primo è avvenuto nell’umiltà a Betlemme, l’ultimo avverrà nella gloria alla fine dei tempi ma vi è un altro avvento, quello che avviene nel nostro cuore ed è a questo avvento che oggi siamo chiamati per diventare un canto nuovo. Ma potremmo chiederci: come possiamo davvero essere un canto nuovo, essere, cioè nuova creatura, avere il cuore nuovo, se Gesù è lontanissimo nel tempo visto che è nato millenni prima di noi? Questo è realizzabile in pienezza perché siamo nella Chiesa, che è Corpo di Cristo, e soprattutto partecipando ai sacramenti. Infatti, «Il sacramento dal punto di vista del suo contenuto nell’ottica della Scrittura […], è offerto soprattutto dal “mistero” (mystērion) biblico ed indica l’agire salvifico di Dio in Cristo, […] partecipando della dimensione sponsale del rapporto tra Cristo e la Chiesa»[1].
Il Natale più profondo, allora, sarà partecipare al canto dell’amore tra Cristo e la Chiesa, e quindi tra Cristo e ciascuno di noi.
**Abate dell'Abbazia di Nostra Signora del Pilastrello (Lendinara)
[1] R. Nardin, Linee di sacramentaria biblica, in A. Lameri - R. Nardin, Sacramentaria fondamentale, Queriniana, Brescia 2020, 115.