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GRANDI CAPOLAVORI CRISTIANI/4

Calvino, quando nella vita accade l'imprevisto

Calvino tra i grandi  capolavori cristiani? Una scelta coraggiosa, ma non azzardata perché la grande letteratura rifugge da schemi e rivela sempre lo spirito di un autore spalancato sulla realtà. Questo è Calvino che andremo scoprire, un razionalista che si trasforma però in un critico implacabile dei limiti della ragione. 

Cultura 12_06_2016
Italo Calvino

Potrà sorprendere molti il fatto che affronteremo oggi un’opera di Calvino tra i grandi  capolavori cristiani. Nessuno considera Calvino come autore cristiano, lui che è stato intellettuale engagé, iscritto al Partito comunista. Questo dimostra, però, che la grande letteratura rifugge da schemi e facili classificazioni e rivela sempre lo spirito di un autore aperto e spalancato sulla realtà. Questo dimostra altresì che, purtroppo, il canone letterario del Novecento ha spesso selezionato autori e opere secondo un certo tipo di interpretazione ideologica, tralasciando altri testi che fuoriescono dagli schemi.

Italo Calvino (1923-1985) è senz’altro uno degli scrittori italiani del Novecento più letti nelle scuole e più venduti nelle librerie. Però, nel ciclo della primaria di lui si propongono spesso le novelle (chi non ricorda la raccolta Marcovaldo) mentre alle superiori si sottopongono all’attenzione dei ragazzi la trilogia degli antenati (Il cavaliere inesistente, Il visconte dimezzato o Il barone rampante) e i romanzi dedicati alla Seconda guerra mondiale e alla lotta partigiana (Il sentiero dei nidi di ragno e Ultimo viene il corvo). Non accade mai, o assai di rado, che di lui si proponga la lettura de La giornata di uno scrutatore.

La sua sterminata produzione è prova di una vena di grande affabulatore. Fin da piccolo Calvino «è stato affascinato da tutto ciò che lo faceva assistere a una storia: libri illustrati, film, racconti. E presto si è accinto a raccontare delle storie a se stesso e ha provato il desiderio di comunicarle agli altri. Storie, vale a dire momenti che si concatenano, avvenimenti che si dispongono nella durata, che fanno apparire e scomparire personaggi, ai quali capita di sentire, di volere, d’agire, di subire tutto ciò che l’immaginazione o la realtà possono assegnare a esseri come siamo noi. Leggere una storia è concedere una fede provvisoria a un passato che chiede di essere creduto sulla parola» (Jean Starobinski).  

In Calvino vivo è anche l’interesse per lo sperimentalismo. Egli si serve «materialmente di più tavoli, sui quali» riversa «una padronanza dei mezzi espressivi» (Claudio Milanini) e tenta «nel medesimo tempo delle narrazioni che in apparenza» dovrebbero «escludersi a vicenda» (Pietro Citati). Nella narrazione, lo scrittore risente dei dibattiti aperti negli anni Cinquanta e Sessanta (La speculazione edilizia e La nuvola di smog) oltre che delle suggestioni dello strutturalismo e della semiologia (Il castello dei destini incrociati) e del fascino delle scienze (Le cosmicomiche, Ti con zero, ). Se il testo Italo Calvino racconta l’Orlando furioso rivela l’amore che l’autore ha per il mondo cavalleresco e per il capolavoro ariostesco, in Se una notte d’inverno un viaggiatore (1979) Calvino si sofferma sulla riflessione letteraria (metanarrativa) ipotizzando differenti incipit per un romanzo.

Negli anni in cui va di moda l’intellettuale engagé, specialmente di sinistra, sia in Europa (si pensi a Camus o a Sartre) sia in Italia (basti citare Moravia), in seguito ai gravi fatti di Budapest (1956) il 7 agosto 1957 Calvino si dimette dal Pci scrivendo: «Cari compagni, devo comunicarvi la mia decisione ponderata e dolorosa di dimettermi dal partito […]. Credo che nel momento presente quel particolare tipo di partecipazione alla vita democratica che può dare uno scrittore e un uomo d'opinione non direttamente impegnato nell'attività politica sia più efficace fuori dal partito che dentro». 

Proprio in quegli anni accade qualcosa che tocca profondamente la sua persona. Nel 1953, anno di elezioni politiche, Calvino è segretario di seggio al Cottolengo e ci dà testimonianza di quanto gli accade in un testo datato 1963, che non è certo tra i più noti e pubblicizzati dello scrittore: La giornata di uno scrutatore. Racconta Calvino: «Posso dire che, per scrivere una cosa così breve, ci ho messo dieci anni, più di quanto avessi impiegato per ogni altro mio lavoro. […] Ero candidato del Partito comunista […]. Così assistetti a una discussione in un seggio elettorale del Cottolengo tra democristiani e comunisti sul tipo di quella che è al centro del mio racconto (anzi, uguale, almeno in alcune battute). E fu lì che mi venne l’idea del racconto, anzi il suo disegno ideale era già allora quasi compiuto come l’ho scritto adesso: la storia d’uno scrutatore comunista che si trova lì, ecc. Provai a scriverlo, ma non ci riuscivo. Al Cottolengo ero stato pochi minuti appena […]. L’occasione di farmi nominare scrutatore al Cottolengo mi si presentò con le amministrative del ’61 ». 

Così, «il razionalista Calvino, abituato a diffidare dei sentimenti e degli «abissi interiori», si trasforma in un critico implacabile dei limiti della ragione, mette a nudo le contraddizioni da cui è abitata ogni pretesa forma di razionalità assoluta, pone in risalto la precarietà di ogni codice etico legato a presupposti astratti, rivela apertamente quanto sia profondo il senso di vertigine da cui è attanagliato dinanzi ai misteri dell’universo» (C. Milanini). Nel Cottolengo Calvino «si trova davanti ad una realtà razionalmente irredimibile, che può essere affrontata solo nei termini dell’amore e della carità» (E. Gioanola). Così, dopo quattro anni di silenzio letterario, Calvino scrive il «suo racconto più pensoso» (come si legge in copertina alla prima edizione uscita il 28 febbraio del 1963) che «non viene a interrompere davvero quel silenzio» (Bruno Falcetto), proprio perché è opera piena di domande e di interrogativi. È significativo che Calvino si sia così espresso al riguardo: «In questo libro do solo notizie sul mio silenzio» (intervista ad Andrea Barbato, pubblicata su L’Espresso, 10 marzo 1963, p. 11). 

Terminata l’opera, Calvino scrive a Lanfranco Caretti nella speranza che il racconto gli piaccia o, per lo meno, gli interessi. Il timore è che possa nuocere al testo la «sovrastruttura saggistica solo in parte risolta in narrazione poetica». Il risultato finale è, a detta dello stesso Calvino, a un tempo un reportage sulle elezioni, un pamphlet «contro uno degli aspetti più assurdi della nostra democrazia», una meditazione filosofica sul diritto di voto esteso a tutti e una riflessione personale di un intellettuale di partito. La giornata di uno scrutatore è “un’opera carciofo”, specchio della complessità del mondo. Così si esprime Calvino: «La realtà del mondo si presenta ai nostri occhi multipla, spinosa, a strati fittamente sovrapposti. Come un carciofo. Ciò che conta per noi nell’opera letteraria è la possibilità di continuare a sfogliarla come un carciofo infinito, scoprendo dimensioni di lettura sempre nuove» (Il mondo è un carciofo in Perché leggere i classici, Mondadori, Milano 1991, p. 244). La prossima volta ci addentreremo nel romanzo di Calvino.