Brexit, una prospettiva salutare
Verso il Referendum di giugno. In fondo c’è da chiedersi se anche adesso la Gran Bretagna sia davvero nell’Unione. Una sua uscita dal perimetro europeo potrebbe anche essere uno shock salutare: le conseguenze sul piano economico infatti non sarebbero così drammatiche come si vuol far credere.
Casca il mondo se il referendum popolare in programma in Gran Bretagna il 23 giugno prossimo sancirà l’uscita di Londra dall’Unione Europea? E’ il caso di cominciare a domandarselo visto che non è affatto certo che il popolo segua in proposito le indicazioni delle élites. Tra l’altro siamo in un frangente storico in cui, da una parte all’altra del globo, tesi e candidati “impresentabili” proprio per questo piacciono alla gente comune. Quello del successo di Donald Trump nella campagna per le candidature alle elezioni presidenziali in Usa è il caso più noto, ma non certo l’unico.
E in fondo c’è da chiedersi se anche adesso la Gran Bretagna sia davvero nell’Unione, e comunque in quale misura. Se infatti si vanno a vedere tutte le eccezioni che ha chiesto e ottenuto ufficialmente agli impegni stabiliti nei trattati europei, e tutte quelle che ci ha aggiunto di fatto, ci si accorge che la sua è sempre stata, e tanto più è oggi, un’adesione…a statuto speciale.
D’altra parte basta andare in Inghilterra anche per pochi giorni per rendersi conto di quanto i suoi legami con i Paesi anglosassoni di lingua inglese - che negli anni del suo grande impero marittimo disseminò nel mondo, a partire dagli Stati Uniti – sono forti e spontanei; molto più forti e spontanei di quelli che ha con l’Europa continentale. Ciò vale in modo del tutto particolare nel caso dell’America del Nord, che le è molto più vicina di quanto sia a noi, ma non solo. Per un popolo infatti come quello britannico gli oceani – cosa per noi non facile da capire - suscitano in ogni caso sentimenti più di prossimità che di distanza, più di apertura che di chiusura. Non a caso in inglese “estero” si dice “abroad”, ossia letteralmente “al largo”.
Da quando nel 1973 la Gran Bretagna entrò nelle istituzioni europee tutto questo si è scontrato con la pretesa, sostanzialmente di origine francese, che tali istituzioni fossero una realtà con un carattere e con una traiettoria di sviluppo intoccabili, cui si poteva soltanto aderire. E’ la dottrina del (droit) acquis communautaire ovvero del "(diritto) acquisito comunitario": il complesso di obblighi giuridici e degli obiettivi politici già prestabiliti che devono venire accolti senza riserve dai paesi che vogliano entrare a far parte dell’Unione.
I paesi candidati devono accettare l'acquis per poter aderire all'Unione europea e accoglierlo senza fiatare nei loro rispettivi ordinamenti nazionali, adattandoli e riformandoli in funzione di esso. Una pretesa in realtà sempre meno sostenibile da quando, con l’ingresso della Gran Bretagna, l’originario perimetro sia culturale che geo-politico delle istituzioni europee cambiò radicalmente, e tanto più ne fu mutato dall‘ingresso dei Paesi dell’Est seguito alla caduta del muro di Berlino e quindi alla fine della Guerra fredda.
In tale quadro la dottrina dell’acquis, e tutto ciò che essa significa sul piano generale e non solo giuridico, è divenuta un anacronismo non più sostenibile. Se si vuole che continui, l’Unione Europea va ripensata e rifondata. E’ questo uno sviluppo indispensabile anche se certamente arduo, dal momento che tenacemente vi si oppone la…”Confederazione renana” costituita in primo luogo dalla Francia e dalla Germania di cui, dopo la fine della Guerra fredda e la riunificazione tedesca, Berlino è divenuto il primo motore.
In tale prospettiva l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione potrebbe anche essere uno shock salutare, tanto più che le sue conseguenze sul piano economico non sarebbero a nostro avviso così drammatiche come si vuol far credere. Nel mondo globalizzato in cui ormai viviamo l’Unione Europea non è più principalmente quel Mercato Comune per costruire il quale in origine la si volle. Oggi l’intero mondo è un solo grande mercato; e lo è più che mai per quanto concerne i servizi finanziari e le borse delle materie prime di cui Londra è la maggior piazza mondiale. Stando così le cose, che Londra sia dentro o fuori dell’Unione conterà forse sul piano psicologico, ma ben poco nei fatti.