Boris Johnson islamofobo? No, dice quel che scrive l'Onu
Per demolire Boris Johnson, alla vigilia del congresso dei Conservatori che potrebbe incoronarlo premier, il Guardian lo accusa di islamofobia. Perché ha scritto in passato che l'islam ha generato arretratezza. È la stessa analisi che si legge anche nei rapporti Onu
A un passo dalla guida della Gran Bretagna, Boris Johnson è alle prese con le campagne mediatiche del fango. E succede che nei giorni scorsi The Guardian abbia estratto dagli archivi un vecchio scritto di BoJo, l'ex sindaco di Londra e acerrimo nemico degli europeisti, in cui sostanzialmente affermava che l'islam abbia frenato lo sviluppo del mondo arabo.
Nel 2007 pubblicò un'appendice a un suo saggio del 2006 sull'Impero romano - Il sogno di Roma - e per iscritto puntava il dito contro l'inibitore del progresso di quella parte di mondo, la religione islamica. «Ci deve essere qualcosa riguardo l'Islam che di fatto aiuta a spiegare perché non ci sia stata la crescita di una borghesia, nessun capitalismo liberale e quindi nessuna diffusione della democrazia nel mondo musulmano», è una delle esternazioni contro le quali in Gran Bretagna si assiste in queste ore ad una levata di scudi. O, ancora, «È straordinario pensare che sotto l'impero romano/bizantino, la città di Costantinopoli abbia mantenuto accesa la candela della conoscenza per mille anni, e che sotto il dominio ottomano non si vide a Istanbul la prima stampa fino alla metà del XIX Secolo. Qualcosa li ha tenuti letteralmente indietro di secoli».
Oltre che la stampa, il punto di vista di BoJo è stato descritto come sconcertante e problematico da Tell Mama - progetto nazionale inglese che monitora l'odio anti-musulmano - e, ovviamente, l'attivissimo Muslim Council of Britain (MCB).
Eppure se c'è qualcuno contro cui dovrebbero prendersela sono l'Onu e le sue agenzie che da anni certificano il degrado e la mancanza di crescita in ogni ambito dello sviluppo umano dei Paesi arabo-islamici. Lanciato nel 2000, l'Arab Human Development Report (AHDR) ha iniziato a diffondere rapporti non sempre annuali per fornire ai principali studiosi arabi una piattaforma attraverso cui analizzare le sfide e le opportunità per lo sviluppo umano, vista l'urgenza della situazione ancora all'inizio del nuovo millennio.
I vari rapporti AHDR hanno fornito una diagnostica a spettro completo dei fattori che tengono conto di carenze indicando tre principali "deficit di sviluppo": la mancanza di conoscenze, l'arretrata figura della donna e la mancanza di libertà. Il rapporto del 2016 - l'ultimo pubblicato - imputava alle primavere arabe del 2011 l'esasperazione di una crisi annosa e tentava di fornire nuove coordinate di sviluppo. Puntare sui giovani, si leggeva, perché rappresentano la maggioranza della popolazione.
Le statistiche più recenti indicano che i due terzi della popolazione araba hanno meno di 30 anni, la metà dei quali rientra nella fascia di età 15-29 anni. Una massa demografica senza precedenti di giovani ai quali, però, non sono offerte opportunità.
L'assenza di opportunità di lavoro decenti, la riduzione dei salari, l'instabilità politica nella regione portano molti giovani dai paesi arabi ad emigrare. E già nel primo capitolo del rapporto l'agenzia Onu sostiene che quella dell'emigrazione sia la scelta per liberarsi dalle difficoltà e dalle responsabilità politiche e sociali.
I limiti economici, che nei vari rapporti sono sempre bene chiariti, riconducono anche al vecchio dibattito sul rapporto tra islam e modernità che in gran parte dipende, a sua volta, dal rapporto tra islam e libertà. E se è vero che nella tradizione islamica si constata l’assenza di un concetto forte di libertà, per lo storico marocchino Abdallah Laroui ciò che manca è il contesto che rende la libertà politica (in senso moderno) necessaria, come la mancanza di una borghesia produttiva, di una "classe media". Il primo rapporto del 2002 e tutti gli altri affrontano pertanto anche la questione dell'islam politico per non dimenticare come la democrazia islamica sia fondata sul primato della sharī‘a, a cui legislatori e governanti devono attenersi.
A seguire si trovano intere sezioni sulla condizione delle donne nei paesi arabi-islamici costrette a subire discriminazioni che vanno dalle libertà individuali all'abbigliamento. Si tratta di imposizioni, conferma l'AHDR, tutte islamiche. Mentre dal punto di vista dello sviluppo economico il dito è puntato contro la corruzione, l'incapacità di gestione delle risorse, e la dipendenza da "posizioni di rendita", si legge. E il riferimento è al modello imperfetto di crescita troppo dipendente da "finanziamenti, aiuti e forme inefficienti di intervento e ridistribuzione che vengono soprannominate il peccato originale delle economie arabe".
Ancora al capitolo 1, il rapporto del 2016, riportando i dati raccolti dalla pubblicazione del 2004, cita la religione come fattore capace di giocare un ruolo importante nella vita dei cittadini. Perché, si legge, colpisce "il senso di identità delle persone e le loro ideologie e gli orientamenti intellettuali. Influenza i loro valori e modella i loro atteggiamenti nei confronti della società e della famiglia". Mentre nel 2005 l'AHDR affermava come il potere politico "non potesse ignorare il fatto che la religione islamica, fosse un elemento cruciale nel settore culturale e la composizione spirituale del popolo arabo". Tant'è vero che i partiti politici usano l'interpretazione religiosa per sostenere i loro programmi politici.
Intanto sia i rapporti sullo sviluppo del mondo arabo che quelli sullo sviluppo globale certificano che "nessun paese arabo ha registrato una crescita del Pil pro capite superiore al 3% durante l'ultimo mezzo secolo". Anzi, soprattutto per quel che riguarda i rapporti dell'UNDP, per tutti i paesi della Lega Araba e anche per quelli che non ne fanno parte e che sono di matrice islamica, c'è sempre, anno dopo anno, la palma della "non crescita" - non solo prettamente economica. Sessantacinque milioni di adulti, dei quali due terzi donne, non sanno né leggere né scrivere e ben 10 milioni di bambini non sono scolarizzati. Si tratta di dati pressoché invariati negli ultimi anni. Solo lo 0,5% ha una connessione Internet. Il tasso di disoccupazione è il più elevato di tutti i paesi in via di sviluppo e circa un arabo su cinque continua a vivere con meno di 2 dollari al giorno.
La regione araba ha oggi il più basso indice di libertà del mondo e "si trova al di sotto di ogni altro paese per ciò che riguarda la libertà di espressione e la responsabilità pubblica", decretò il rapporto UNDP 2003 e da allora le cose sono cambiate davvero poco.
Così come non mancano le sezioni dedicate all'istruzione e alla "dimensione culturale" piuttosto drammatica. In passato su al-Hayat sono comparsi alcuni articoli in cui si sottolineava come gli arabi siano completamente isolati sul piano scientifico, tecnologico, industriale, agricolo, filosofico e letterario. In realtà il probabile futuro premier inglese anni fa ha sostanzialmente scritto quello che l'Onu certifica ogni anno. O quasi.