Bonus mania. Anche Meloni promette mancette elettorali
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Anche Giorgia Meloni casca nella bonus-mania: promette sgravi e indennità per chi assume lavoratori svantaggiati. Cerca consensi facili, quando potrebbe farne a meno.
La storia si ripete. Cambia il colore politico ma l’andazzo è sempre lo stesso: quando si avvicinano le elezioni, chi ha in mano le leve del potere non resiste alla tentazione di lusingare i suoi potenziali elettori promettendo le classiche mancette. A prescindere dal fatto che poi vengano effettivamente erogate, intanto determinano uno spostamento di voti e fanno credere a molti cittadini che la parte politica al governo abbia effettivamente a cuore le sorti della collettività anziché inseguire un proprio tornaconto. Qualcuno ci casca, insomma.
In un Paese come il nostro, però, fortemente indebitato e in cui i servizi principali ai cittadini, da quelli scolastici a quelli sanitari, risentono fortemente della penuria di fondi pubblici, il gioco delle mancette può perfino rivelarsi pericoloso perché fondamentalmente consiste nel giocare con i soldi dei contribuenti per compiacere determinate fasce sociali a scapito di altre.
Anche Giorgia Meloni, che certamente non avrebbe bisogno di questi espedienti per governare, si è convertita alla logica delle mancette e nei giorni scorsi ha preso una decisione apparentemente generosa nei confronti dei cittadini: bonus per le assunzioni di giovani, donne e lavoratori svantaggiati, con sgravi per due anni e un’indennità di 100 euro a gennaio prossimo per i dipendenti con redditi fino a 28mila euro e con almeno un figlio a carico. Il premier ha annunciato queste misure alla vigilia della festa dei lavoratori, anche per lanciare un segnale ai sindacati, che si sentono messi sempre più nell’angolo visto che il governo è forte, ha i numeri in Parlamento e non è spaventato dalle minacce di Cgil, Cisl e Uil.
La prima versione del provvedimento, comparsa nella bozza della scorsa settimana, prevedeva un’erogazione da ottanta euro sulla tredicesima per tutti i dipendenti con reddito fino a 15mila euro, poi trasformata in un’indennità “fino a cento euro” da corrispondere ai lavoratori con reddito fino a 28mila euro e con coniuge e almeno un figlio a carico. L’intervento costa cento milioni, una somma quasi trascurabile rispetto al bilancio dello Stato: eppure la settimana scorsa l’arrivo in Consiglio dei ministri del decreto è slittato per la necessità di approfondimenti sulle “compatibilità finanziarie”, cioè per la difficoltà di trovare le coperture, il che dà l’idea della drammaticità dei conti pubblici italiani. Così alla fine la mancetta è stata spostata a gennaio 2025, per non gravare sul bilancio di quest’anno. «Questo provvedimento rientra nel più ampio lavoro che il Governo ha portato avanti finora per difendere il potere d’acquisto delle famiglie e dei lavoratori, segnatamente quelli più esposti», ha rivendicato la Meloni.
L’obiettivo, come rimarcato da Meloni al tavolo con i sindacati, è quello di continuare a sostenere la crescita dell’occupazione, la riduzione della disoccupazione e degli inattivi, ovvero di coloro che non hanno un lavoro e neppure lo cercano, per farli rientrare nel mercato. E anche di difendere il potere d’acquisto delle famiglie e dei lavoratori, “segnatamente quelli più esposti”. Una promessa che, a prima vista, potrebbe sembrare un gesto di solidarietà nei confronti delle fasce più deboli della società, ma che in realtà si rivela essere un calcolo cinico e demagogico.
Innanzitutto, è fondamentale ribadirlo, tale misura non è altro che un tentativo palese di guadagnare consensi in vista delle prossime elezioni, in questo caso le europee di giugno. Proporre una misura del genere a pochi mesi dal voto è un classico espediente utilizzato da molti politici per cercare di convincere gli elettori con l'illusione di un beneficio immediato. In secondo luogo, va sottolineato che si tratta di un importo lordo, il che significa che, una volta considerate le imposte e le altre detrazioni fiscali, l'importo effettivo che arriverà nelle tasche delle famiglie sarà notevolmente inferiore. Quindi, ci troviamo di fronte a una promessa che, anche se mantenuta, avrà un impatto molto più limitato di quanto annunciato. Fumo negli occhi, insomma.
Peraltro con un’impronta diseducativa. La logica delle mancette spinge gli elettori a scegliere i loro rappresentanti, non già, come dovrebbe essere, per le loro competenze, idee e per la loro onestà comportamentale, bensì per le mancette.
Ma la Meloni è solo l’ultima della serie. Basti pensare agli 80 euro promessi da Renzi prima delle elezioni europee del 2014. Anche in quel caso si trattava di una mossa populista, finalizzata a conquistare voti a breve termine senza preoccuparsi delle conseguenze a lungo termine. In quel caso, però, l’allora leader del Pd ne ricavò un forte vantaggio perché il suo partito superò il 40% dei voti. In questo caso l’onda elettorale di Giorgia sembra infrangersi sugli scogli di un modesto risultato elettorale, visto che gli ultimi sondaggi inchiodano Fratelli d’Italia al 27%, nonostante la discesa in campo in prima persona del premier.
La Meloni, potendo contare su una stabile maggioranza, avrebbe potuto dare il buon esempio e varare misure di lungo periodo, senza pretendere di raccogliere ora i frutti elettorali. Misure strutturali per contrastare precarietà e povertà e per rilanciare l’economia anche con un approccio più liberale potrebbero davvero essere un toccasana per il Paese, invece anche l’attuale premier sembra affetta dalla sindrome elettoralistica che porta a ragionare in funzione di un dividendo immediato a scapito delle nuove generazioni cioè di chi, prima o poi, quel debito accumulato in tanti decenni dallo Stato italiano dovrà pagarlo.