Bombe in Uganda, il jihad nell'Africa centrale
Due attentati suicidi hanno colpito Kampala, la capitale dell'Uganda (Africa centrale). L'autore è noto: è l'Adf, gruppo armato jihadista, legato all'Isis dal 2019. Opera principalmente fra Uganda e Congo dove ha condotto numerosi attentati e raid negli ultimi anni. È l'ulteriore dimostrazione di come il jihad continui a penetrare in Africa
Due nuovi attentati dinamitardi suicidi hanno colpito la capitale dell’Uganda, Kampala, il 16 novembre. Sono stati messi a segno da tre terroristi che hanno raggiunto il centro cittadino a bordo di motociclette. Le esplosioni si sono verificate a tre minuti una dall’altra, la prima vicino alla stazione centrale di polizia, la seconda a pochissima distanza dalla sede del parlamento. Tre persone, oltre agli attentatori, sono morte, i feriti sono 33, cinque dei quali versano in gravi condizioni.
I sospetti sono subito caduti sulle Forze democratiche alleate (Adf), un gruppo jihadista costituitosi in Uganda nel 1995 e poi trasferitosi nella Repubblica democratica del Congo, nelle regioni orientali confinanti con l’Uganda dove le sue vittime si contano a migliaia. Dal 2019 l’Adf è affiliato all’Isis, lo Stato Islamico che, poche ore dopo le esplosioni, tramite la sua “agenzia di stampa” Amaq, ha rivendicato come propri gli attentati, così come aveva già fatto in altre occasioni. La prima volta è successo l’8 ottobre quando una bomba è esplosa, per fortuna senza causare vittime, nella periferia della capitale, vicino a una stazione di polizia. Il secondo attentato attribuito all’Adf e rivendicato dall’Isis risale al 23 ottobre. Alla periferia di Kampala una bomba, probabilmente piazzata sotto un tavolo da tre terroristi presentatisi come clienti, è esplosa in un noto locale che serve carne di maiale e birra, uccidendo una cameriera e ferendo sette persone. Poi il 25 ottobre un attentatore suicida è saltato in aria a bordo di un pullman di linea. Un passeggero è morto e molti altri sono rimasti feriti. Infine l’11 novembre una esplosione ha ucciso una persona e ne ha ferite altre due in una cittadina del distretto di Nakaseke, a circa 70 chilometri da Kampala.
Nel rivendicare gli attentati, l’Isis ha dichiarato di aver colpito l’Uganda perché è “uno dei Paesi che partecipano alla guerra contro i combattenti dello Stato Islamico in Africa centrale”. Il presidente della repubblica Yoweri Museveni, nel condannare gli attacchi, ha a sua volta commentato sprezzantemente che sono stati eseguiti da “nipoti confusi”.
Ma la minaccia è seria. Dall’inizio del 2021 l’Adf ha intensificato anche in Congo l’attività che consiste soprattutto in attacchi notturni a villaggi indifesi. Il più recente risale al 20 ottobre quando i jihadisti hanno ucciso 16 persone e hanno dato fuoco a molte abitazioni del villaggio di Kalembo, nella provincia del Nord Kivu. Nel 2019 l’esercito congolese aveva lanciato una operazione su vasta scala contro l’Adf che però aveva reagito con rinnovata violenza. A quell’anno risale la sua affiliazione all’Isis.
All’inizio di ottobre inoltre le forze di sicurezza del Rwanda, che confina con l’Uganda e con il Congo, hanno arrestato 13 persone che stavano progettando attacchi terroristici nella capitale Kigali. Le autorità rwandesi ritengono che si trattasse di una cellula jihadista collegata all’Adf. Altri sospetti terroristi erano già stati arrestati ad agosto e a settembre. In questo caso si ritiene che gli attentati sventati siano da mettere in relazione con il fatto che lo scorso luglio il Rwanda ha inviato delle truppe in Mozambico: circa mille unità che affiancano l’esercito mozambicano e i militari della Comunità di sviluppo dell’Africa meridionale nella lotta contro i jihadisti al Shabaab, anch’essi affiliati all’Isis, che dal 2017 devastano la provincia settentrionale di Cabo Delgado a maggioranza islamica.
Gli attentati dell’Adf in Uganda confermano che il jihad, sia esso affiliato all’Isis o ad Al Qaeda, continua a penetrare e a radicarsi in Africa sub sahariana, capace di creare reti e collegamenti transnazionali, di costituire basi militari in aree remote dove lo stato e le sue istituzioni sono assenti, di controllare estesi territori e persino grossi centri urbani, come è successo in Nigeria, Somalia, Mali e adesso anche in Mozambico, di insediare cellule terroristiche nelle principali città di molti stati.
La misura della minaccia rappresentata dall’Adf è la notizia che a Kampala all’inizio di novembre la polizia aveva intercettato e disinnescato 47 bombe e altre ne aveva rinvenute inesplose in diversi quartieri. Lo ricorda all’agenzia Fides madre Lilly Driciru, delle suore missionarie di Maria Madre della Chiesa, direttrice della Conferenza delle persone consacrate in Uganda. “La gente ripone speranza nelle forze di sicurezza – dice suor Lilly – e nella capacità di riportare a breve la situazione sotto controllo, ma allo stesso tempo i cittadini si domandano cosa stia succedendo e come sia stato possibile che un attentato così grave avvenga proprio sotto gli occhi della polizia e davanti al Parlamento”. La paura è palpabile, aggiunge: “la situazione è molto tesa, è stato chiesto ai residenti di evitare il centro della città e restare possibilmente a casa. Le forze di sicurezza stanno cercando di riprendere il controllo della situazione, ma si sta diffondendo il timore che si alzi il livello dello scontro e si possa scatenare un bagno di sangue”.