Blinken in Medio Oriente. Intanto Israele occupa mezza Cisgiordania
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Il segretario di Stato Usa Antony Blinken ha incontrato il premier israeliano Netanyahu. Per ora nulla di deciso sul cessate il fuoco. Ma intanto Israele occupa altri terreni in Cisgiordania.
Il viaggio a Gerusalemme non era stato programmato, ma Antony Blinken, segretario di Stato americano, all'improvviso ha deciso di incontrare il primo ministro Benjamin Netanyahu. È il sesto viaggio di Blinken in pochi mesi, in Medio Oriente, dall’inizio della guerra tra Israele e Hamas del 7 ottobre scorso. In un post su X, il rappresentante del governo americano ha dichiarato di aver discusso della crisi umanitaria a Gaza negli incontri con il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman e col ministro degli Esteri, il principe Faisal bin Farhan a Gedda. Il faccia a faccia tra Blinken e Netanyahu è avvenuto a Tel Aviv, nel Quartiere generale dell'esercito, noto come la "Kirya".
Al termine del colloquio è apparso un Blinken fiducioso: «I negoziati per lo scambio dei prigionieri e una tregua a Gaza stanno andando avanti, ci dovrebbero essere progressi. Faremo del nostro meglio per riportare gli ostaggi a casa, i negoziatori stanno lavorando alacremente». Mentre Netanyahu, più rigido nelle sue posizioni, ha scritto su X: «L'unico modo per sconfiggere Hamas è andare a Rafah ed eliminare il resto dei battaglioni. Lo faremo con il sostegno degli Stati Uniti, ma se sarà necessario, lo faremo anche da soli», incurante della manifestazione di migliaia di israeliani nei pressi del Quartiere generale dell'esercito.
Sul fronte delle ostilità, il primo ministro israeliano non ha ancora dato ufficialmente l'ordine di invadere Rafah. È stato solamente approvato il piano di occupazione predisposto dai vertici dell'IDF, l'esercito israeliano. L'intero Gabinetto di guerra, dal giorno, dopo quel tragico e drammatico attacco di Hamas, si trova tra l'incudine e il martello: da una parte i falchi, i ministri ultraortodossi che spingono ad invadere Gaza e raderla al suolo, dall'altra le “colombe”, i membri del governo che sperano in un accordo per evitare quella che si prospetta come una vera e propria carneficina, la più cruenta dalla fine della Seconda guerra mondiale.
Stati Uniti d’America ed Europa stanno esercitando tutte le pressioni diplomatiche possibili in loro potere per fermare quella che sarà una sicura ecatombe. Oltre a Gaza, affamata e allo stremo, anche la Cisgiordania sta attraversando un periodo molto buio. Morti, feriti e arresti sono all'ordine del giorno. E oltre alle incursioni aeree, vengono utilizzati i droni per distruggere le case di quanti l'esercito israeliano ritieni terroristi. Ieri, è stata resa nota la denuncia della Palestina della confisca di 8000 dunam di terreno (800 ettari) nella Valle del Giordano, da parte del Governo israeliano col chiaro obiettivo di espandere l'insediamento di Pavit, nei pressi del villaggio palestinese di Fasayel. Lo scopo è quello di realizzare centinaia di nuove unità abitative e la creazione di una zona industriale e commerciale. L'operazione è stata condotta dalla Direzione degli insediamenti del Ministero della Sicurezza, sotto la responsabilità del ministro, Bezalel Smotrich. «In un momento in cui il mondo intero sta cercando di minare il nostro essere ebrei, è nostro diritto - ha detto Smotrich - proseguire il lavoro già avviato nel creare nuovi insediamenti che siano strategici e duraturi nel tempo».
Dura la reazione dell'Autorità Palestinese, Riyaḍ al-Maliki ha accusato Israele di aver intrapreso una corsa contro il tempo per annettere più territorio possibile della Cisgiordania, eliminando così la possibilità di uno Stato palestinese. «Se gli Stati liberi non faranno nulla per bloccare Israele dal portare a compimento questo crimine, il governo guidato da Netanyahu proseguirà nel completare il massacro e lo sterminio del nostro popolo e a perseverare nella sottrazione della nostra terra, costringendo la popolazione a lasciare la Palestina in modo definitivo». C'è rabbia e odio tra la popolazione palestinese anche per le esecuzioni dei militari israeliani.
Al-Araqib, nel deserto del Naqab (Negev), nel sud d’Israele, era un villaggio beduino. È stato completamente demolito dalle ruspe israeliane. Senza alcun motivo. Anzi, con il solo obiettivo di impadronirsi di quel territorio. Ci abitavano 22 famiglie. A Jenin, a Nur al-Shams e a Tulkarem, nel nord della Palestina, da mesi si susseguono violente incursioni militari, che oltre ad ammazzare gli abitanti, distruggono strade, infrastrutture e abitazioni private.
Dal 7 ottobre sono stati uccisi in Cisgiordania ben 449 palestinesi. Uomini, donne, bambini. Giovedì scorso un'altra persona è stata assassinata senza alcun motivo. Aveva 63 anni e si chiamava Samah Zaytoun. È stato ammazzato, con le braccia alzate, da un militare riservista, che poco prima l’aveva perquisito senza avergli trovato nulla. Ma il militare l'ha freddato ugualmente. Viveva a sud di Betlemme, vicino alla colonia di Elazar nel blocco di insediamenti. L'esercito ha aperto l'ennesima indagine interna, ammettendo che Zaytoun non rappresentava alcun pericolo. C'è solamente un particolare: il militare coinvolto nel fatto fa parte del battaglione Hagmar, composto di coloni ultraortodossi e utilizzato in Cisgiordania proprio a difesa degli insediamenti.
Dal 7 ottobre ad oggi sono state arrestate preventivamente oltre 7mila e 500 palestinesi. E nelle carceri israeliane la situazione è drammatica secondo quanto denuncia la Commissione per gli Affari dei prigionieri e degli ex-prigionieri e il Club dei prigionieri palestinesi. Quest’ultimo, in un comunicato, rende noto che tra le numerose prigioniere, ventotto sono madri, alle quali sono negati i contatti sia con la famiglia, che con i figli in tenera età. L'atto di accusa risale al giorno dedicato alla donna, ma è stato diffuso solamente lo scorso giovedì. «Dopo il 7 ottobre - si legge nel documento - molte donne, madri e nonne, sono state rinchiuse nella prigione di Damoun. Le donne – è riportato nella denuncia - sono tenute ostaggi nelle carceri per fare pressioni sui mariti, sui padri e sui figli in modo da poter estorcere delle informazioni». Il testo reso pubblico si conclude rivolgendo un appello a tutte le donne del mondo per fare pressione su Israele, affinché rispetti la dignità della persona umana.
Nel secondo venerdì di Ramadan, migliaia di poliziotti hanno impedito ai musulmani di recarsi nella moschea di al-Aqsa. Le forze di polizia hanno intensificato i controlli ai posti di blocco di Qalandiya, a nord di Gerusalemme, a Zaytouna e a Betlemme, respingendo centinaia di fedeli con il pretesto che i loro permessi non erano in regola.