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L'EDITORIALE

Blasfemia, urge moratoria

In Pakistan c’è un nuovo caso di un cristiano vittima di false accuse di blasfemia. L’agenzia Fides, citando la sua storia, rilancia la proposta di una moratoria sull’applicazione di questa legge.

Editoriali 11_04_2011

In Pakistan c’è un nuovo caso di un cristiano vittima di false accuse di blasfemia. Si chiama Arif Masih, e l’agenzia Fides, citando la sua storia, rilancia la proposta di una moratoria sull’applicazione di questa norma. Paul Bhatti, Consigliere speciale del primo ministro per gli affari delle minoranze religiose del Pakistan, accogliendo la proposta che circola nella società civile pakistana, intende portare avanti l’idea della moratoria che sta trovando l’appoggio di intellettuali, editorialisti e studiosi, attivisti per i diritti umani.

Queste le parole che Bhatti ha consegnato a Fides: «Urge trovare una soluzione per impedire gli abusi della legge. Si può partire da una moratoria o pensare a delle modifiche. Ma occorre anche lavorare per cambiare la mentalità e la cultura: vi sono in Pakistan individui e organizzazioni che usano questa legge per creare disarmonia e tensione sociale».

Vale la pena di ricordare, come ha fatto Mehdi Hasan, presidente della Commissione per i diritti umani del Pakistan, che prima del 1986 non vi erano nel Paese denunce di blasfemia, mentre negli anni successivi si sono verificati circa mille casi. E ben settanta persone, accusate solo di questo reato, sono state vittime di esecuzioni sommarie senza varcare la soglia di un tribunale.

Non si deve dimenticare che chi si oppone alla legge sulla blasfemia rischia a sua volta la vita in quanto considerato blasfemo. La moratoria potrebbe rappresentare un primo passo per fermare le strumentalizzazioni della legge da parte dei fondamentalisti.

Tra le proposte concrete, per evitare gli abusi all’ordine del giorno, c’è quella di affidare l’incarico di registrare le eventuali denunce di blasfemia ad agenti di polizia di alto grado e di stabilire la competenza sui processi direttamente all’Alta Corte, saltando così i tribunali di primo grado, troppo esposti alle pressioni dei gruppi fondamentalisti.

Le tristi storie di Asia Bibi e ora di Arif Masih ci interpellano. Ci invitano a non dimenticare la loro situazione e a chiedere che i singoli Stati e la comunità internazionale nel suo insieme faccia il possibile per convincere il governo pakistano ad abolire una legge che di fatto serve a coprire ogni genere di attacchi e di persecuzioni contro le minoranze religiose e in particolare contro i cristiani. O almeno a cominciare, come primo passo, con una moratoria.