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Blasfemia anti-islam: Svezia a ferro e fuoco

La Svezia è letteralmente in fiamme. Intere città con stazioni e auto della polizia bruciano per “vendicare il Corano”. La provocazione di un politico di destra, Rasmus Paludan, che brucia copie del Corano in pubblico, ha scatenato i manifestanti islamici in tutte le città del paese scandinavo. Molti i feriti e gli arrestati. 

Libertà religiosa 21_04_2022
Corano

La Svezia è letteralmente in fiamme. Intere città con  stazioni e auto della polizia bruciano per “vendicare il Corano”. Siamo in Europa, ma sembra di essere in Pakistan, quando per l’accusa di aver strappato un volantino che parlava di islam, un cristiano è stato linciato dalla folla. O come quando Asia Bibi, veniva arrestata dopo essere stata accusata di blasfemia per aver bevuto alla fonte sbagliata. 

Tutto è iniziato lo scorso giovedì, quando Rasmus Paludan, un avvocato con la doppia cittadinanza svedese e danese che dal 2017 si è dato alla politica, ha annunciato una serie di manifestazioni per il Paese. È bastato questo per accendere la miccia. Paludan è un personaggio abbastanza controverso nel panorama politico internazionale per via del partito che fondato, Stram Kurs - linea dura, contro l’immigrzione e l’islam. A Norrköping, nell’Östergötland avrebbe dovuto bruciare il Corano, come aveva già fatto in passato. Paludan, noto per i comizi anti-islamici, è infatti famoso anche per l’atto di bruciare il Corano in pubblico: gesto a cui dà il significato di un “tributo alla libertà di parola che il libro sacro dell’islam e la shari’a negano. Ma soprattuto per dimostrare quando i musulmani siano violenti”. Sebbene questa volta il Corano non sia stato bruciato, la Svezia è finita in una spirale di violenza senza precedenti. 

Sabato a Malmö, il leader di Stram Kurs, è stato vittima di una pioggia di sassi, mentre teneva un comizio, che ha sfiorato il linciaggio anche di qualche agente. Assediato da un gruppo inferocito di islamici, ha, in quella occasione, annunciato che avrebbe annullato tutte le manifestazioni per i giorni a seguire, perché, come ha scritto anche sulla sua pagina Facebook, le autorità svedesi “hanno dimostrato di essere assolutamente incapaci di salvaguardare se stesse e me”. Ciò non è bastato a fermare le violente rivolte islamiche che stanno incendiando tutta la Svezia, e che in Paludan hanno trovato il capro espiatorio per colpire la polizia come già fatto in più occasioni negli ulti anni. Nei giorni di Pasqua, il Paese è diventato così ostaggio dell’islam che ha voluto dimostrare chi comanda. Tant’è che il commissario della polizia, Anders Thronberg, e il comandante della polizia nazionale, Jonas Hysing, hanno voluto precisare che si tratta di “rivolte che hanno come unico obiettivo la polizia e la società svedese, non Paludan - visto da molti svedesi semplicemente come un provocatore”. 

La più violenta rivolta è stata a Örebro, dove sono stati feriti 12 poliziotti, diverse auto di pattuglia sono state date alle fiamme, due dimostranti sono finiti in manette e un passante è stato colpito da una pietra. Violenze a Rinkeby, il famoso sobborgo di Stoccolma ad alta densità di musulmani, dove sono state arrestate otto persone. A Malmö, la terza città più grande della Svezia, dove una folla inferocita di giovani ha dato fuoco a pneumatici, bidoni della spazzatura e ad un autobus nel distretto di Rosengard. Medesima scena a Landskrona, con tanto di strade interrotte al traffico con muri di pneumatici a fare da avamposto contro gli agenti tra un “Allah Akbar” e un altro. In più di 200 sono stati coinvolti nelle violenze e più 40 sono stati arrestati. Almeno 26 agenti di polizia e 14 cittadini estranei ai fatti sono rimasti feriti, oltre 20 auto della polizia sono state incendiate. I video e le foto pubblicate sui social mostrano le auto della polizia in fiamme e le bande di immigrati musulmani che lanciano pietre e pneumatici contro agenti di polizia in tenuta antisommossa gridando “Allah Akbhar”. Da qualche giorno i negozi a Örebro sono chiusi e la gente non esce di casa.

I media locali, ma anche internazionali, hanno rilanciato per giorni una nota dell’agenzia di stampa svedese “TT” in cui si scriveva che un copia del Corano era stata bruciata, ma ciò non è mai accaduto come confermano anche Le Figaro e il Washington Post: è la prima volta che un tale caos venga scatenato in protesta delle sole intenzioni di un gesto contro l’islam. E non solo le rivolte per tutto il Paese, ma anche la condanna di Iran - con dozzine di studenti sono riuniti presso l'ambasciata svedese per protestare con i tradizionali cori,  “chi insulta il Corano deve essere condannato!” e “Morte all’America!”, “Morte a Israele!”, e poi Pakistan, Iraq, Indonesia, Arabia Saudita e Turchia che hanno condannato direttamente il governo svedese per lasciare Paludan libero di organizzare manifestazioni.

Il primo ministro svedese, Magdalena Andersson, ha risposto rivendicando il diritto in Svezia di  “esprimere le proprie opinioni, anche quelle di cattivo gusto: è parte della nostra democrazia. È la violenza che accetteremo mai”. Il governo non si è voluto scusare, ma ha anche criticato Paludan perché avrebbe potuto evitare di innescare la tensione.

Era già successo nell’estate del 2020, a Malmö, quando manifestanti islamici misero a ferro e fuoco la città, dopo che Rasmus Paludan aveva promosso manifestazioni anti-islamiche a Stoccolma e in altre città svedesi dove vennero bruciate copie del Corano. 

È passato molto tempo da quando la Svezia era quell’oasi felice in cui tutti volevano andare a vivere. Oggi è in cima alla classifica europea per le sparatorie per regolamento di conti. L’85% dei protagonisti delle stesse sono stranieri e un terzo di tutte le donne uccise nel Paese è vittima dei delitti d’onore islamici. In Svezia i musulmani costituiscono circa l’8% della popolazione. Molti sono arrivati dall’Iraq, dalla Siria e dall’Afghanistan nel bel mezzo della crisi migratoria del 2016. Le no-go-zone proliferano, i cristiani sono terrorizzati, i salafiti imperano ovunque avendo operato un’influente azione di controllo, nel corso degli anni, a cominciare dalle moschee nascoste nei seminterrati. Rinkeby è il quartiere simbolo: il 98% della popolazione è islamica ed ha la “polizia morale” che stabilisce come ci si deve comportare senza infrangere la shari’a. Sempre più spesso gl’insegnanti di tutto il Paese raccontano di non sapere come comportarsi quando i bambini chiedono di mangiare e bere durante il Ramadan quando i genitori hanno ordinato loro di farli digiunare. A Malmö un undicenne, l’anno scorso, è stato aggredito da una banda di sconosciuti che lo hanno definito un “maiale bastardo”, perché indossava il crocifisso. Ed è capitato spesso che le chiese venissero profanate e diverse statute di Gesù distrutte in più occasioni.

La violazione e profanazione consapevole di una fede non è mai sintomo d’intelligenza, né qualcosa che va giustificato. Eppure oggi la Svezia fa i conti con qualcosa in più. Quella che va in scena oggi è una feroce guerra culturale e di religione che sta minando le basi della normale convivenza. È il fallimento del modello multiculturale. Il sogno del multiculturalismo è diventato un vero e proprio incubo. E nello scontro c’è una parte che sta avendo la meglio sull’altra a mani basse.