Biden tende la mano all'Iran, che però non ricambia
Biden sta rapidamente distruggendo il rapporto speciale di alleanza con l'Arabia Saudita a favore di un riavvicinamento con l'Iran. Ma l'ayatollah Khamenei non ricambia, pronunciando un discorso in cui non esclude più tassativamente lo sviluppo di armi atomiche. Mentre le milizie sciite passano all'attacco sia in Yemen che in Iraq.
Se l’obiettivo dell’amministrazione Biden è, prima di tutto, quello di invertire la rotta rispetto a Trump, allora si spiega anche l’inversione a U nella politica del Medio Oriente. In appena un mese, il governo democratico statunitense ha infatti scaricato l’Arabia Saudita e i suoi alleati minori conservatori sauditi e fatto passi di riconciliazione con la Repubblica Islamica dell’Iran. Da questo punto di vista, i raid di venerdì contro basi di due gruppi armati sciiti, legati all’Iran, in territorio siriano, costituiscono un’eccezione in un percorso di riavvicinamento a Teheran ormai molto visibile. Il punto, però, è un altro: Teheran, dal canto suo, ha intenzione di riavvicinarsi agli Usa? Dai primi indizi si direbbe proprio di no.
Innanzitutto è bene elencare le mosse che stanno, molto rapidamente, portando alla fine del rapporto speciale di alleanza degli Usa con l’Arabia Saudita. Venerdì, Biden rendeva pubblico il rapporto della Cia del 2018 sull’assassinio del giornalista saudita Jamal Khashoggi. Il delitto era avvenuto nel consolato saudita a Istanbul, dove il giornalista oppositore si era recato per ottenere documenti in vista del suo matrimonio. Non era mai stata stabilita una connessione diretta fra i vertici della monarchia saudita e l’omicidio, mentre il rapporto rivela che il principale Mohammed bin Salman ha autorizzato un’azione per “catturare o uccidere” l’oppositore. Il giornalista, vicino alla Fratellanza Musulmana, ma noto anche negli Usa come collaboratore ed editorialista del Washington Post, era ritenuto pericoloso dal principe e (di fatto) reggente saudita, la cui ascesa improvvisa era la causa del suo esilio volontario. Il rapporto indica anche altri 21 complici. Trattandosi di un dossier del 2018, la sua pubblicazione ha anche una certa importanza nella politica interna: Biden dimostra che, per coprire gli alleati sauditi, Trump abbia nascosto un crimine. Ma è soprattutto a Teheran che il messaggio è rivolto: l’alleanza fra Usa e Arabia Saudita non è scontata.
Lo si deduce anche dalle azioni che hanno preceduto la divulgazione del rapporto. In poche settimane di presidenza, infatti, Biden ha sospeso la vendita di armi all’Arabia Saudita, cessato il sostegno alla guerra di una coalizione sunnita (sempre a guida saudita) contro gli Houti (sciiti, filo-Iran) in Yemen, ha eliminato gli Houti dalla lista nera delle organizzazioni terroriste, ha infine rifiutato di trattare direttamente con Mohammed bin Salman, non riconoscendone l’autorità di reggente e preferendo dialogare solo con il re, Salman, che a causa della sua salute malferma aveva ceduto parte delle sue funzioni al figlio, appunto. Assieme all’Arabia Saudita, Biden ha subito raffreddato i rapporti con Israele, sempre per lanciare un chiaro segnale di amicizia all’Iran: ha ritardato di ben un mese la prima telefonata al premier Netanyahu. Infine, per riallacciare direttamente i rapporti con Teheran, Biden sta negoziando con la Corea del Sud per ottenere lo sblocco di conti iraniani pari a 1 miliardo di dollari.
Ma l’Iran ricambia? No, a giudicare da molti fattori. Il primo è nelle azioni delle milizie filo-iraniane in Yemen e Iraq. Nello Yemen, dopo la loro cancellazione dalla lista nera delle organizzazione terroriste, gli Houthi hanno “ringraziato” rilanciando la loro offensiva nel Sud dello Yemen e hanno anche bombardato un aeroporto civile in territorio saudita. Il raid statunitense alle basi delle milizie sciite in Siria, inoltre, è motivato proprio da un attacco subito da una base statunitense in Iraq. Da metà febbraio, insomma, si nota una crescente attività delle milizie sponsorizzate da Teheran contro obiettivi sauditi, yemeniti e americani. Considerando lo stretto legame fra queste milizie e la Guardia Rivoluzionaria, non è da escludere affatto che gli ordini siano partiti direttamente da Teheran.
Oltre ai fatti, dovrebbero preoccupare anche le parole dei vertici iraniani. L’ayatollah Alì Khamenei sta infatti cambiando la narrazione sul programma nucleare. La Guida Suprema, infatti, ha sempre negato di voler dotare la Repubblica Islamica di armi atomiche e a riprova di questa sua volontà ha citato in ogni occasione una sua fatwa che vieta espressamente le armi di distruzione di massa nucleari. Anche se, questa fatwa, nessuno l’ha vista: non è pubblicata neppure nel suo sito ufficiale. Con un suo discorso, contro Israele, del 22 febbraio, Khamenei confonde ulteriormente le acque. Infatti nega ancora di voler costruire la bomba, ma al tempo stesso, in tono di sfida, manda a dire a Netanyahu: “Se volessimo ottenere armi nucleari, voi non sareste in grado di fermarci, né potrebbero quelli più grandi di voi”, evidente riferimento agli Usa. Khamenei aggiunge che la Repubblica Islamica, in ogni caso, non vorrebbe mai dotarsi di armi atomiche, ma ha in programma di superare il limite fissato dall’accordo sul nucleare sul grado di arricchimento dell’uranio. Quindi un discorso molto ambiguo: no alle armi nucleari, ma se vogliamo non sarete certo voi a impedircelo, non le vogliamo costruire, però ci stiamo procurando il materiale (uranio arricchito) per farlo.
A queste dichiarazioni, già abbastanza contorte e inquietanti, si aggiungono quelle, contemporanee, dell’Assemblea degli Esperti (l’organo che elegge la Guida Suprema) secondo la quale il programma missilistico “non è negoziabile”. Queste tre prese di posizione dell’ayatollah Khamenei, hanno senso solo se le si considera una risposta alla mano tesa di Biden. Sono infatti tre le condizioni che gli Usa chiedono per eliminare le sanzioni e rientrare negli accordi sul nucleare con l’Iran: stop all’attività militare delle milizie sciite nel Medio Oriente, congelamento del programma atomico e sospensione di quello missilistico. Teheran ha appena detto “no” a queste tre condizioni. Che lo faccia per alzare il prezzo nelle prossime trattative, o perché vuole veramente la guerra, non si può ancora sapere. Lo si vedrà solo con il nuovo presidente, di prossima elezione in Iran.
Certo è che la politica di Biden sta già creando uno scenario rischioso e potenzialmente destabilizzante. Sta infatti portando ad un nuovo allontanamento fra gli Usa e i suoi tradizionali alleati mediorientali (Israele e Arabia Saudita) in cambio di un incerto rapporto con l’Iran. E rischia di compromettere gli accordi di Abramo, perché l’unico vero collante che aveva permesso a Israele di firmare trattati di normalizzazione delle relazioni con Emirati Arabi Uniti e Bahrein, entrambi alleati dell’Arabia Saudita, era proprio la comune inimicizia con l’Iran.