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IL DISCORSO DI ADDIO

Biden saluta l'America, mettendo in guardia dall'abuso di potere (non il suo)

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Un discorso di addio che suona come un monito. Biden conclude la sua amministrazione mettendo in guardia dall'abuso di potere e l'oligarchia tecnologica. Che hanno caratterizzato proprio la sua amministrazione.

Esteri 17_01_2025
Joe Biden (La Presse)

L’immagine della Statua della Libertà è il cuore del discorso di addio di Joe Biden, l’ultimo tenuto dalla Studio Ovale della Casa Bianca, trasmesso in televisione il 15 gennaio. È la sua metafora per descrivere l’America. Si tratta di una statua in movimento, che si muove “un passetto alla volta” in avanti. È stata costruita apposta per resistere al vento e alle tempeste. Ed è stata edificata da esponenti di più popoli, dunque è un simbolo di unità, del melting pot americano e dell’accoglienza degli emigranti, la prima cosa che vedevano arrivando nel nuovo mondo.

L’immagine della Statua della Libertà ricorre ancora verso la fine del discorso del presidente uscente, quando ricorda la figura del volontario che regolarmente si prendeva il compito di pulire la fiaccola che la donna tiene in mano. Immagine molto evocativa: la fiamma della libertà e il nostro compito di tenerla al sicuro, di tenerla accesa. Lungi dall’essere un argomento unitario, rivolto a tutti gli americani, la maggioranza dei quali ha votato per Donald Trump, l’evocazione della Statua della Libertà, nelle parole del presidente, suona come un monito. “Attenti, perché state perdendo la libertà”: questo, in estrema sintesi, il succo del suo discorso.

Biden, infatti, dedica solo un’attenzione minore ai successi della sua amministrazione. Rivendica: crescita record dell’occupazione e crescita economica, l’introduzione di innovazioni tecnologiche come i semiconduttori più piccoli del mondo, la riforma medicare, la legge per la protezione delle famiglie, un maggior controllo sulle armi, la tutela dei veterani. Ritiene che gli effetti di queste riforme e di queste politiche si vedranno negli anni, che sia ancora troppo presto per apprezzarli. E in effetti così è stato: gli americani non hanno affatto apprezzato, alla domanda se stessero meglio oggi o quattro anni fa, hanno scelto il presidente che avevano fino a quattro anni fa.

Rivendica molto brevemente, quasi di sfuggita, i successi della politica estera: la Nato è ora più forte, l’Ucraina è ancora indipendente, è iniziato sul piede giusto il confronto con la Cina. Ma nessun accenno all’Afghanistan. In un discorso precedente, tuttavia, aveva rivendicato anche la scelta di ritirarsi dal paese (ora nelle mani dei Talebani), per “porre fine alle guerre infinite”. In questi giorni è stata concordata, pare definitivamente (il condizionale è ancora d’obbligo) la tregua fra Hamas e Israele, che pone fine alla guerra a Gaza per un periodo indefinito di tempo e Biden ha, in separata sede, rivendicato questo risultato diplomatico. Un risultato, positivo o negativo lo si vedrà, che è quantomeno condiviso con Trump, il quale ha mandato Steve Witkoff (prossimo inviato Usa nel Medio Oriente), a negoziare con Benjamin Netanyahu a Gerusalemme.

Ma quel che interessa veramente a Joe Biden è mettere in guardia gli americani. Da cosa? Dal pericolo della dittatura. Non afferma mai, a chiare lettere che teme una dittatura di Trump. Ma lo fa capire, praticamente, in tutta la parte centrale del suo discorso: «La conservazione del potere nelle mani di poche persone ha conseguenze pericolose, se l’abuso di potere resta incontrollato».

Lancia un messaggio che è chiaramente rivolto a Elon Musk, quando afferma: «Oggi, negli Stati Uniti si sta delineando un’oligarchia di estrema ricchezza, potere e influenza che letteralmente minaccia la democrazia stessa, i nostri diritti e libertà fondamentali, e la possibilità per tutti di avere una possibilità di successo. Ne abbiamo visto le conseguenze in tutta l’America e come l’abbiamo già visto in passato. Più di un secolo fa, gli americani si sono ribellati ai “baroni rapinatori” di allora e hanno fatto saltare i loro monopoli. Non hanno punito i ricchi, ma hanno semplicemente fatto sì che i ricchi rispettassero le regole - come tutti gli altri». Verrebbe da dire “senti da che pulpito viene la predica”. Al momento dell’elezione di Joe Biden, nel 2020, tutti i più grandi imprenditori americani, da Bill Gates a Jeff Bezos, da George Soros a Mark Zuckerberg e allo stesso Elon Musk, tutti nessuno escluso, hanno finanziato la campagna democratica. Attualmente solo Elon Musk è fuori dal coro, solo dal 2022. E qualcun altro, come Mark Zuckerberg dimostra di volersi scuotere di dosso il sistema monopolizzato, sinora, dai Democratici.

Si rivolge sempre a Elon Musk, ma anche alla svolta di Zuckerberg quando afferma: «Sono ugualmente preoccupato per la potenziale ascesa di un complesso tecnologico-industriale che può rappresentare seri pericoli anche per il nostro Paese. Gli americani stanno venendo seppelliti da una valanga di disinformazione e di propaganda che consente l’abuso di potere. La stampa libera sta crollando. Gli editori stanno scomparendo. I social media stanno rinunciando al fact checking. La verità viene soffocata dalle bugie, dette per potere e per profitto. Dobbiamo rendere le piattaforme social responsabili per proteggere i nostri figli, le nostre famiglie e la nostra stessa democrazia dall'abuso di potere». Leggasi: finora i social network seguivano le regole dei Democratici. Regole imposte anche brutalmente, secondo la testimonianza dello stesso Zuckerberg: dettavano chi poteva parlare e chi no. La novità è che i social network lasceranno più libertà di parola a tutti ed è questo che fa disperare il presidente uscente.

La presidenza “non è un potere assoluto, non deve esserlo”, è il monito rivolto a Trump. Biden, nello stesso discorso, rivendica e rilancia la necessità di riformare la Corte Suprema, limitando la durata del mandato dei giudici supremi (attualmente è una carica a vita) e quindi aumentando il potere presidenziale di nomina di nuovi magistrati: un passo verso l’assolutismo della presidenza, ma la sua, non quella di Trump.

Biden pare che abbia scritto un discorso contro la sua stessa presidenza. I pericoli che elenca a dai quali mette in guardia i cittadini americani, sono esattamente quelli che lui ha cercato di mettere in pratica: concentrazione di potere in poche mani, nascita di una vera oligarchia economica democratica, meno libertà di espressione. E anche più bugie, a partire da quelle sulla fragilità fisica e mentale di Biden, un segreto conservato maldestramente da tutti i principali media, fino al suo crollo più evidente nel primo dibattito presidenziale. Chiunque, constatando ciò che era sotto gli occhi di tutti, ritenesse che Biden non fosse in grado di ricandidarsi era accusato di rendersi complice di una fantomatica “operazione di guerra non lineare” russa. Insomma: disinformazione, propaganda, abuso di potere, armi tipiche della passata amministrazione.