Bibbiano, la sofferenza di una bimba svela l'ideologia gay
Chiusa l'inchiesta Angeli & demoni. L'inquietante vicenda delle lesbiche accusate di maltrattamenti svela il risvolto ideologico del Caso Bibbiano. La Procura rileva la militanza Lgbt della Anghinolfi e delle affidatarie. La bambina loro affidata vittima di una “sessualizzazione latente” fatta di “sogni pornografici”, nudità e baci saffici.
25 indagati più uno avviato al patteggiamento, 108 capi di imputazione tra cui violenza, minaccia a pubblico ufficiale, depistaggio, maltrattamenti in famiglia, violenza privata e lesioni dolose gravissime, un quadro probatorio integrato rispetto alla fase cautelare di questa estate quando il caso Bibbiano è esploso. Sono solo alcuni dei numeri che delineano l’inchiesta della Procura di Reggio Emilia Angeli & demoni sul sistema illecito di affidi minorili del comprensorio della Val d’Enza.
Nella corposa documentazione che costituisce l’avviso di fine indagini (415 bis) emergono elementi che la Procura ritiene probanti nel delineare il disegno criminoso messo in atto dalle strutture pubbliche di Bibbiano, in particolare la casa La Cura e il rapporto con la Hansel & Gretel, nell’inventarsi falsi abusi sessuali per togliere i bambini alle famiglie naturali.
Come detto, il quadro che emerge su Bibbiano è a più livelli: anzitutto politico, perché le strutture e le assistenti sociali agivano in forza di un mandato sul quale la politica, il sindaco di Bibbiano in particolare, anch’egli indagato, aveva il compito di vigilare, poi giudiziario e saranno ora le memorie dei difensori e poi il futuro processo a delineare le responsabilità.
Ma c’è anche un aspetto ideologico che viaggia sotto traccia negli atti giudiziari e che emerge come filo conduttore di una vicenda che mostra una pericolosa ideologia antifamilista in cui le figure paterne sono sempre criminalizzate e un filo conduttore nel vedere l’aspetto sessuale in ogni angolo di vita dei minori coinvolti.
Dietro questa costante c’è l’ideologia LGBT che sembra essere stata utilizzata come grimaldello per “sperimentare” un sistema di affidamento di minori da parte di coppie omosessuali che, alla luce dei fatti emersi, si è dimostrato, invece che un porto sicuro per bambini forzatamente sottratti alle famiglie, un vero e proprio inferno.
E sempre questo dato oggettivo risulta con inquietante chiarezza dagli atti depositati e firmati dal Procuratore della Repubblica Marco Mescolini e dal pm Valentina Salvi e che merita di essere raccontato ora che sulla base di queste accuse gli imputati eccellenti di questa inchiesta dovranno difendersi.
Al centro di tutto il sistema, è stato più volte detto, c’è Federica Anghinolfi, responsabile dei servizi sociali della Val d’Enza. E nelle carte dell’indagine, tra i vari capi d’imputazione su più casi a lei attribuiti, emerge anche la storia di una bambina che viene affidata a Fadia Bassmaji e Daniela Bedogni, due donne lesbiche. Una delle due, in passato, ha anche avuto con la Anghinolfi una relazione. In generale, le tre vengono tutte descritte come amiche.
Dalla ricostruzione accusatoria risulta che questa amicizia è ricondotta alla causa omosessualista: le due affidatarie infatti «omettevano di riferire al perito del pregresso e intenso rapporto di amicizia sussistente tra la Bassmaji e la Anghinolfi, della condivisione comune di iniziative relative alla difesa dei diritti LGBT anche con riguardo alla specifica materia degli affidi a coppie omosessuali».
Questo è il contesto in cui si trovano ad accogliere la piccola le due donne: un contesto di militanza ideologica omosessualista in cui l’assistente sociale favorisce una coppia di omosessuali ritenendo che possa svolgere funzioni genitoriali, ma creandole, invece da quanto emerso, notevoli disagi.
Ora le due lesbiche sono indagate per maltrattamenti in famiglia o a conviventi (articolo 572 cp).
Nelle risultanze emerse dalle indagini il quadro è inquietante: le donne ad esempio «raccontavano al perito di aver udito provenire dal bagno della loro abitazione gemiti di piacere da parte della minore», invece, come poi emerso dai racconti e dal diario della piccola, la bambina si stava soltanto lamentando in bagno per un problema intestinale. Le due donne hanno sostenuto come la piccola fosse terrorizzata che i genitori potessero rapirla, ma di questo non c’è nessuna traccia.
Emerge un contesto domestico dove le donne «omettevano di riferire particolari rilevanti relativi alla vita della bambina presso le affidatarie che avrebbe potuto fornire una valutazione alternativa all'asserita e/o latente sessualizzazione della bambina». In poche parole: gli abusi mai dimostrati - secondo loro - sarebbero stati causa della sua latente sessualizzazione. Invece il pm porta nuove chiavi di lettura: ci sono disegni, acquisiti dagli inquirenti, nei quali la piccola raffigurava le affidatarie mano nella mano accompagnate da un fumetto: “Vai via perché se ci sei tu non possiamo fare l’amore”. In altre raffigurazioni, la bambina si vede come “un escremento” mentre le due affidatarie vanno a “sposarsi”: “Mi sono sentita lontana e distante, una cacchetta”.
Lontano dai genitori accusati - ingiustamente - di abusarla e catapultata in un falso contesto famigliare in cui - è la tesi dell’accusa - veniva maltrattata, la bambina affida così ai disegni il suo stato d’animo e ciò che la spaventa o la disgusta: “Ieri mi ha dato fastidio quando la Fadia mi ha dato la buonanotte nuda”, oppure “mi ha disgustata vedere la Dani (la Bedogni ndr) che ha leccato il collo della Fadia che le ha morso l’orecchio sessualmente”.
Nei fogli manoscritti della piccola ci sono anche i racconti dei sogni che faceva. In uno le affidatarie mettevano in scena spettacoli pornografici con “peni finti” e nelle sue considerazioni ammetteva che era da loro che temeva di subire violenze e non dai genitori, come invece le affidatarie cercavano di convincerla «sottoponendola a costanti pressioni psicologiche».
Quello della pornografia però non è soltanto un sogno: dagli atti emerge che lei stessa aveva avuto accesso a contenuti pornografici attraverso alcuni giornali, circostanza riferita dalla piccola alle donne, ma che non hanno comunicato al perito. Così come non avevano mai riferito che gli incubi della bambina “non erano correlati a situazioni traumatiche vissute in passato, ma all’uso dell’I-pad e alla visione di alcuni cartoni animati”.
La Bassmaji e la Bedogni, in sostanza, «denigravano sistematicamente le figure genitoriali ingenerando sensi di colpa nella bambina» e «inculcando nella minore la convinzione di essere stata abbandonata e maltrattata presso la famiglia di origine».
Già noti gli episodi di ira nei suoi confronti, con il famoso “non ti voglio più” urlato dalla Bedogni alla piccola sotto la pioggia battente, la bambina sarebbe stata sottoposta a sensi di paura e angoscia rispetto al comportamento dei genitori che avrebbero potuto rapirla e costretta a redigere un diario in cui liberarsi dei ricordi brutti. Tutto falso.
Tutto pesantemente condizionato da un contesto sessualmente disordinato e impossibile da accettare in ottica educativa con l’ideologia Lgbt a fare da retroterra culturale e militante.
Su questo inquietante quadro probatorio ora la parola spetta ai giudici.