Berlusconi, Feltri, Pascale: il triangolo dei diritti
All'inizio parlò Francesca Pascale, fidanzata di Silvio e nuova first lady di Palazzo Grazioli. Poi, giunse Vittorio Feltri, maestro di penna imbattibile nel fiutare l'aria che tira. Infine Berlusconi a confermare e sigillare il patto con l'Arcigay: il matrimonio omosex è un diritto irrinunciabile che va difeso, una battaglia di libertà. Se ne facciano una ragione i cattolici del centrodestra.
A chi andrà la Tessera d’Oro dell’Arcigay, quella riservata soci “non praticanti” ma che si sono distinti nel diffondere e difendere la gaia compagnia Lgbt? Al gran Cavaliere di Arcore Silvio Berlusconi o al direttore emerito Vittorio Feltri?.
La gara è aperta, ma non è detto che vinca il migliore. “In un Paese davvero moderno e democratico”, ha sentenziato Silvio, “dovrebbe essere un impegno di tutti”. Lo strappo è indiscutibile e mai fino ad oggi, nel campo del centrodestra (per definizione omofobo e sessista), qualche leader s’era spinto a tanto. Eppure, il dubbio a chi attribuire la Gay Honoris Causa, non è sciolto, anche perché nella partita tra la storica coppia di fatto s’è infilata la candidatura di una terza aspirante all’onorificenza omo: quella di Francesca Pascale, fidanzata del capo e first lady in pectore. In un’intervista, il 14 giugno, al Corriere della Sera, bruciò sul tempo gli altri due discesisti sulla scivolosa pista dei diritti omosex.Poche parole, ma sufficienti a mettere in riga in un sol colpo il centrodestra, la Chiesa cattolica, i Patti Lateranensi e il Papa.
Il Vangelo di Francesca è disarmante: “Cristo ha detto: ama il prossimo tuo come te stesso. Non ha insegnato a fare differenza tra gay ed etero. Ecco, mi piacerebbe se il centrodestra aprisse i suoi orizzonti e affermasse: siamo liberali fino in fondo e non soltanto quando ci interessa o quando ci fa comodo. Va bene rispettare ciò che dice la Chiesa, ma la Chiesa deve rispettare anche la libertà di uno Stato laico e non confessionale, altrimenti si sconfina nella discriminazione di chi non è cattolico”. L’ex velina di Telecafone (ha fatto la gavetta lì) parla a ragion veduta, e cioè “da cristiana, che spesso viene guardata con pregiudizio severo perché al fianco di un uomo che non solo ha cinquant’anni più di me ma è anche pluridivorziato”. Mica poco, ma la sparata di donna Pascale non ebbe l’esisto (da lei) sperato: i giornali non se la filarono e la bomba ebbe l’effetto di un fuciletto caricato a salve. Adesso, grazie al comunicato congiunto con il grande direttore, la macchina mediatica ha cominciato a girare a mille. Prime pagine ecotillons per la regina di Palazzo Grazioli, e pure i complimenti di Vladimir Luxuria che ha subito invitato Marina Berlusconi a fare una capatina al Gay Village più vicino.
Pure a noi tocca occuparci dell’inedito triangolo Berlusconi- Feltri-Pascale, perché la questione se non è seria è certamente drammatica. Per chi ancora ritiene il centrodestra la sola alternativa alla deriva di un Paese sempre più ostaggio di minoranze politiche e culturali. Che da oggi possono contare sul sostegno inatteso di nuovi maître à penser. Come Vittorio Feltri, maestro di penna e imbattibile segugio nel fiutare l’aria che tira. “Quella per il matrimonio gay”, ha comunicato a giornali unificati, è “una battaglia di libertà senza discriminazioni e pregiudizi”. Massì, cari cattolici e “parrucconi” (la definizione è del Giornale già riallineato al nuovo corso arcobaleno) del centrodestra, piantatela con la cagnara sulle briciole che il governo riserva alle famiglie, sui Comuni che tagliano fondi per destinarle alle unioni di fatto, sull’ideologia gender che vorrebbe cancellare mamma e papà dall’anagrafe e fare corsi di accoppiamento sessuale pure negli asili.
Beh, altri erano le battaglie e gli scontri di civiltà cui il miglior Feltri aveva abituato i suoi lettori. Ma oggi la musica è cambiata: Berlusca fa politica nel tempo libero e la crocerossina con obbligo di firma; anche Vittorio non è più quello di una volta. Quello, ad esempio, condannato (dicembre 2011) dal tribunale di Milano a pagare 50mila euro per aver dichiarato in televisione che il fondatore dell’Arcigay "ama i disertori, forse perché scappando offrono le terga”. Oggi invece chiede la tessera e la vuole pure gratis. Infatti, mica s’è pentito delle “stupidaggini omofobe e volgari” (parole sue) che generosamente dispensava ad amici e lettori. Difficile credere alla sincerità della sua confessione, da consumato attore sa che occorre sempre aver un copione di riserva, da interpretare e offrire al pubblico. Lo confessa senza vergogna: “Siccome tutti i giornali avrebbero parlato del Gay Pride, con questa iscrizione abbiamo messo la ciliegina sulla torta”. Ecco, l’Io li fa e poi li accoppia.
E Berlusconi? Certo, è il capo della premiata Filodrammatica di Arcore, ma è anche l’imprenditore che ha fatto della politica una variante del marketing. Per lui contano fatturato e numeri, il resto è importante ma non sufficiente. “One gay, one vote”, deve aver pensato, conciliando così i doveri della comunione degli affetti e i calcoli elettorali. C’è da vedere come reagiranno quei cattolici che lo hanno votato: ma questa è un’altra storia.Intanto, risulta davvero impossibile dimenticarsi di citazioni, aforismi, gaffe e barzellette che hanno fatto del Cavaliere il testimonial imbattibile dello sciupafemmine latino e instancabile defensor dei valori eterosessuali. Come quando, intervenendo sul caso Ruby, s’era lasciato scappare una indiscutibile (a quel tempo) verità: "Meglio appassionarsi alle belle ragazze che essere gay". Ultime perle di un rosario tutto da ridere che non lo ha mai abbandonato. Come ancora diceva che "In Italia sono santificati solo i comunisti e i gay" o che, da presidente del consiglio, gli toccava “occuparsi di infrastrutture e trasporti e non di omosessualità". E che, dopo il terremoto dell'Aquila, intratteneva così i senza tetto radunati nelle baracche: "Ragazzi. se tutto va bene mi sa che veramente ve le porto le veline, le minorenni, altrimenti ci prendono tutti per gay”.
Ma la boutate migliore non è sua, è firmata dall’amico Vladimir Putin che, turbato dai mille guai giudiziari del premier, lanciò il celebre: “Se Berlusconi fosse stato gay, i giudici non lo avrebbero toccato neppure con un dito”. Forse, ha ragione lo scafato zar russo: visto com’è sta messo col processo Ruby, a Silvio conviene davvero buttarla sulla differenza di genere. E allora su matrimonio e diritti gay la linea è quella e non si discute. Dalla Minetti a Cecchi Paone: sì, l’era delle Olgettine è definitivamente tramontata.