Belgio, arriva l'eutanasia per Alzheimer
a breve l’eutanasia potrà essere offerta come “servizio” anche ai minori e chi è affetto da Alzheimer. Questa è la proposta di legge presentata di recente dal Partito socialista e che con buona probabilità passerà in Parlamento.
L’esempio si adatta bene alla stagione: se fate rotolare una palla di neve a valle questa diventerà una valanga. E’ quello che sta accadendo in Belgio. Nel 2002 il Parlamento belga confeziona una bella palla di neve sull’eutanasia rendendola legittima, ma solo a “beneficio” dei maggiorenni. Poi negli anni la palla di neve è arrivata sino a valle trasformandosi in slavina: a breve l’eutanasia potrà essere offerta come “servizio” anche ai minori e chi è affetto da Alzheimer. Questa è la proposta di legge presentata di recente dal Partito socialista e che con buona probabilità passerà in Parlamento perché già ora ha ricevuto l’appoggio da diversi partiti di destra e dai verdi. "Si tratta di aggiornare la legge per tener conto in modo migliore di alcune situazioni drammatiche, di storie estremamente dolorose (...) di fronte alle quali non possiamo restare senza risposta", ha spiegato il presidente del Partito socialista Thierry Giet. L’inferno è lastricato da buone intenzioni, tra le quali spiccano quelle pietose.
Il Belgio è l’ennesimo esempio di un teorema ormai verificato innumerevoli volte sul piano pratico: legittimate una pratica iniqua recintandola con infiniti paletti e vedrete che tempo qualche anno questi paletti uno alla volta salteranno tutti.
Ciò che è successo in Belgio, dove già una persona su cento muore per una pratica eutanasica, è un fenomeno sociale e culturale che nasce e si sviluppa intorno ad alcuni principi cardine del pensiero mortifero di carattere squisitamente eugenetico.
Primo: tu vali se sei sano. Se non lo sei ti scartiamo con l’aborto o con la diagnosi pre-impianto se concepito in vitro. Se invece sei già venuto al mondo siamo sempre in tempo a ricorrere all’eutanasia.
Secondo: tu vali non solo se dai prova di essere sano, ma anche se ci confermi che almeno sai fare qualcosa, che produci. Si chiama funzionalismo: la dignità di un essere umano è valutata a seconda delle sue abilità. Va da sé che il feto e il vecchio affetto da demenza senile poco valgono. Anzi: tolgono alla società delle risorse umane, di tempo ed economiche preziose.
Il tema era stato già trattato da Riccardo Cascioli in un suo articolo dell’agosto 2011 apparso sulla Bussola dal titolo “La morte ti fa generoso”. Scriveva Cascioli in merito ad un pezzo pubblicato sul New York Times a firma di David Brooks: “il nostro autore spiega che una parte importante del deficit [USA] è dovuto proprio a questo tentativo di allungare la vita da malati. Secondo Brooks, il male del nostro tempo è quello di non saper guardare in faccia la morte, così spendiamo ingenti somme di denaro pubblico per prolungare di qualche giorno, settimana, mese o anno una vita che ormai non ha più senso perché condotta comunque in malattia. Solo i pazienti di Alzheimer, dice Brooks, nel 2005 sono costati alle casse dello Stato 91 miliardi di dollari, e nel 2015 quella spesa sarà più che raddoppiata, a 189 miliardi, per poi raggiungere 1 milione di miliardi annui nel 2050. ‘Ovviamente – dice Brooks – non taglieremo i malati di Alzheimer mandandoli a morire da soli, su una collina. Mai useremo la coercizione per far morire anziani e malati. Ma è difficile pensare seriamente di ridurre la spesa sanitaria se le persone e le loro famiglie non cominciano ad affrontare la morte e i loro doveri verso i viventi’.”
Qui Brooks preconizza uno sviluppo – anzi: un’involuzione – della coscienza collettiva che a breve pensiamo si realizzerà in Belgio, Paesi Bassi e altre nazioni ormai sulla breccia da anni nelle pratiche eutanasiche. Ci riferiamo alla transizione culturale dal “diritto a morire” al “dovere morire”. Dovere che si fa pressante se, come un ospite ormai poco gradito, non togliamo il disturbo quando ormai siamo diventati per vecchiaia o malattia solo un vuoto a rendere. Insomma: si parla tanto di sostenibilità ambientale, perché non applicare il concetto anche alla vita delle persone?
Passato – perché prima o poi passerà – il principio che la nostra vita è un bene disponibile si arriverà a teorizzare che essendo bene disponibile potrà essere confiscato dallo Stato e potrà essere gettato nella spazzatura per il bene nostro o per quello dell’intera società. E poco importa se non saremo d’accordo, oppure, come nel caso dei minori e dei malati di mente, se non potremo né essere d’accordo né essere dissenzienti. Il passaggio sarà quindi dal principio di autodeterminazione inteso in senso assoluto – decido io della mia vita – al principio dell’eterodeterminazione: decidono i miei familiari, parenti, amici della canasta o lo Stato se la mia vita è per me o per la società ancora bene prezioso e utile. Fantasticherie? Non crediamo. E’ già successo e da noi. La Cassazione permise a Beppino Englaro di staccare la spina alla figlia perché egli agiva nel “best interest” dell’incapace. Fu lui a decidere, non certo Eluana.
Il calcolo dell’utilità della mia vita verrà dunque fatto tra pochi anni non solo tenendo conto della mia situazione particolare ma in vista del bene collettivo. E quindi porte aperte agli indici economici più importanti per capire se il gioco vale la candela, se c’è un qualche guadagno sociale nel tenere in vita chi come un parassita ci toglie risorse. PIL, spread, Iva, debito pubblico, età pensionabile, inflazione, costo del denaro e tassi di disoccupazione saranno le voci da inserire nel registratore di cassa della vita sostenibile. Tutto questo su un piatto della bilancia e sull’altro un povero vecchio di 83 anni che non riconosce più da tempo né figli né moglie e non si ricorda ormai da anni nemmeno il suo nome. Secondo voi da che parte si inclinerà il piatto della bilancia?