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IL BELLO DELLA SCUOLA/9

Beautiful Mind: l'amore non si dimostra col metodo scientifico

Girato nel 2001 dal regista Ron Howard, vincitore di quattro premi Oscar, il film A beautiful mind. Una pellicola che affronta l’importanza dell’affettività per un corretto rapporto con la realtà e quello della conoscenza per certezza morale, non solo attraverso il metodo scientifico.

Cultura 25_08_2019
A Beautiful Mind

Questa settimana continuiamo nella proposta di film da vedere per la prima volta o da rivedere in una prospettiva nuova nell’àmbito scolastico. Girato nel 2001 dal regista Ron Howard, vincitore di quattro premi Oscar nel 2002 e di molti altri riconoscimenti, il film A beautiful mind viene spesso proposto nelle scuole per affrontare temi scientifici o per incontrare l’affascinante storia del matematico John Nash (1928-2015), che fin da giovane mise in luce la sua genialità.

In realtà come vedremo, la pellicola permette di affrontare tanti temi di natura diversa: in primis l’importanza dell’affettività per un corretto rapporto con la realtà e nelle circostanze difficili; in secundis i differenti metodi che portano alla conoscenza (non esiste solo il metodo scientifico, ma anche quello della conoscenza per certezza morale).

Entrato all’università di Princeton a diciannove anni nel 1947, Nash pubblicò una tesi brevissima sulla Teoria dei giochi che gli procurò molta fama, un posto di ricercatore al MIT di Boston e una collaborazione con l’esercito come decodificatore. Divenuto docente a Princeton, fu insignito nel 1994 del Premio Nobel per l’economia. La sua vita fu, però, segnata dalla malattia (una grave forma di schizofrenia). L’affetto della moglie Alicia l’ha accompagnato fino alla fine, fino al decesso avvenuto il 23 maggio 2015 all'età di ottantasei anni in un incidente stradale nel New Jersey.

Il film di Ron Howard si basa sulla biografia scritta da Sylvia Nasar che raccoglie alcuni aneddoti e particolari raccontati da matematici che hanno conosciuto John Nash. In Italia il libro è uscito col titolo Il genio dei numeri. Storia di J. F. N. matematico e folle. Il film è così ben raccontato e diretto che lo spettatore non comprende che Nash è malato se non a metà della storia, nonostante il regista inserisca sapientemente nella pellicola molti particolari che sono evidenti sintomi della malattia: tre soli tra i tanti, l’apparizione di Charles sempre accompagnata dal sonoro, la nipotina che non cambia mai età, la scena del biliardo in cui Martin chiede a Nash: “Chi vince, tu o tu?” (intuendo che Nash sta giocando da solo contro se stesso). Lo spettatore inizia, però, ad interpretare correttamente certi particolari solo ad un certo punto del film. Prima tende ad immedesimarsi nella storia di Nash credendo che le sue riflessioni siano veritiere e che le sue paure siano ragionevoli.

Non ripercorriamo ora la trama del film, ma ci soffermiamo sui due temi centrali, sopra richiamati. Ciascun uomo cresce in un rapporto con la realtà e con gli altri. Per questo, in una compagnia umana si possono sostenere anche la sofferenza e la domanda di felicità. Nel film il protagonista per tanti anni vive isolato, senza rapporti con gli altri. In maniera significativa afferma all’università: “Trovare idee originali è l’unico modo per potermi distinguere”. Quando perde al gioco attacca l’avversario: “Non dovevi vincere tu. Il mio gioco era perfetto, la partita è truccata”. Quando viene scippata una donna, invece di preoccuparsi dell’esito del furto, si sofferma sulla possibilità di applicare il fatto alle sue formule. Nash non guarda bene la realtà, o meglio la guarda per ricavare delle leggi, ma non le si rapporta e non le si affeziona. Arriva perfino a teorizzare: “Ci sono attività per cui la mancanza di rapporti personali è un vantaggio”.

Ma s’illude e ben presto si dovrà rendere conto dell’errore. Quando si dimentica di tenere la lezione universitaria, Nash risponde a chi gli chiede le ragioni: “Nessuno ha sentito la mancanza”. In maniera inaspettata la realtà lo sorprenderà. Infatti, una studentessa brillante e avvenente, Alicia, risolve il problema che richiedeva mesi di lavoro e lo invita fuori a cena. In questa situazione inaspettata Nash deve “far prova d’interazione umana e di socializzazione” (per usare le sue parole). Tra i due nasce l’amore.

Il problema nella vita non è quello di essere dotati di una particolare intelligenza o di profondere un particolare sforzo per raggiungere la verità. La verità è qualcosa che si trova sul cammino. Per vederla, però, bisogna fare attenzione. Altrimenti non la si nota. Bisogna, quindi, farne esperienza, cioè partire dal proprio io in azione nella vita quotidiana, come quando Nash constata che la studentessa Alicia riesce a risolvere il problema del fastidioso rumore che disturbava la sua lezione, problema per lui irrisolvibile.

Grazie al rapporto con Alicia, divenuta nel frattempo sua moglie, Nash riesce nel tempo (non senza poche difficoltà) ad affrontare la malattia, a sostenere la sofferenza, a superare momenti di prova. È proprio vero quanto sostiene san Tommaso: “La vita dell’uomo consiste dell’affetto principale che lo sostiene”.

La seconda questione centrale del film riguarda l’uomo e la certezza morale. Ci sono diversi metodi di conoscenza: non esistono solo il metodo scientifico o quello logico. Il metodo scientifico è quello sperimentale: procede dalla raccolta di dati empirici, prosegue nell’analisi dei dati, nella formulazione di teorie che devono essere dimostrate e sottoposte a verifica. Il metodo della logica permette di ripercorrere tutti i passaggi in maniera coerente in modo tale che, date premesse veritiere, si possa giungere a conclusioni inoppugnabili.

Non tutto ciò che è certo, evidente, vero può, però, essere dimostrato. La fiducia in una persona non si dimostra con metodo matematico o scientifico o filosofico, ma si basa su una serie d’indizi che ti trasmettono la certezza morale circa il bene che una persona prova per te. Senza certezze morali non si possono costruire rapporti umani veri ed autentici. La certezza morale nasce dalla condivisione e da un’attenzione alla vita dell’altro e dalla capacità di cogliere se ci siano ragioni adeguate per fidarsi dell’altro.  

Rileggiamo uno dei più dialoghi più belli del film in cui Nash cerca di capire come possa verificare e dimostrare l’amore che Alicia prova per lui:

John Nash:    Alicia, il nostro rapporto garantisce un impegno a lungo termine? Perché io ho bisogno di una prova, una sorta di dati empirici, verificabili.

Alicia:            Scusami... Dammi solo un attimo per ridefinire il mio concetto puerile di rapporto amoroso. Una prova... Dati verificabili... Okay. Allora... Quanto è grande l'universo?

John Nash:    Infinito.
Alicia: Come lo sai?

John Nash: Perché tutti i dati indicano che è infinito.

Alicia: Ma non è stato ancora dimostrato...

John Nash: No...

Alicia: Tu non l’hai visto...

John Nash: No...

Alicia: Come fai a saperlo con certezza?

John Nash: Non lo so, ci credo e basta.

Alicia: È la stessa cosa con l'amore, penso. Ora, l’unica cosa che tu non sai è se io voglio sposare te.

Sulla certezza morale si basa anche la fede (non solo in àmbito religioso). La fede nell’àmbito religioso è analoga a quella relativa agli altri campi della vita, perché nasce dall’incontro con testimoni credibili: gli apostoli hanno incontrato Gesù e gli hanno creduto; a loro volta molti hanno incontrato gli apostoli, che testimoniavano quanto visto e vissuto con Gesù, disposti addirittura alla morte, e hanno creduto in loro; dagli apostoli la fede è stata trasmessa ai padri apostolici (che hanno conosciuto direttamente gli apostoli) e, poi, ad altri, di secolo in secolo fino ad arrivare a noi oggi.

È ragionevole credere in una persona se ci sono motivi adeguati, è irragionevole se non ci sono.  Anche la fede o fiducia è un metodo di conoscenza senza il quale non ci sarebbero sviluppo umano e cultura. Ci avvaliamo della conoscenza per fede quotidianamente per conoscere. Conosciamo e diamo attestato di validità a molte informazioni che ci sono state fornite grazie al principio di fede, di fiducia, di credito attribuito a testimoni credibili.

Se uno studente prende appunti e li studia senza verificare la loro attendibilità o veridicità attraverso la lettura del libro di testo, applica il principio di conoscenza per fede, cioè dà credito all’insegnante che parla. Quando parliamo con una persona, gli conferiamo un attestato di credibilità oppure no. Nella quotidianità, nel rapporto con le persone, nella conoscenza più in generale non utilizziamo in primo luogo il metodo scientifico, ma ci avvaliamo della fiducia attribuita ad un testimone fidato.