Battesimo negato a figli di madri surrogate
La decisione del Santo sinodo della Chiesa ortodossa russa: «La responsabilità dell'educazione cristiana del bambino è dei genitori e dei padrini», se i genitori non si pentono di quanto hanno fatto e dei peccati commessi, niente sacramento.
Il Santo Sinodo della Chiesa ortodossa russa ha di recente pubblicato un lungo documento che tra le altre cose parla di maternità surrogata. Questa pratica, permessa dalle leggi russe, viene definita come "contro natura e moralmente inaccettabile, […] umiliante per la dignità umana della donna, il cui corpo, in questo caso, è considerato come una sorta d’incubatore". Una tecnica di riproduzione che è lesiva "per il bambino stesso che, invece di una madre intera, ne ha due parziali, o meglio nessuna" e dannosa per la società nella quale "si sta perdendo il concetto di famiglia".
Dal piano della valutazione morale il Santo Sinodo passa poi a quello sacramentale: al bambino nato da madre surrogata deve essere negato il battesimo. "Il bambino – spiega il Sinodo - non è responsabile per le azioni dei suoi genitori e non è colpevole del fatto che la sua nascita sia stata associata a una tecnologia riproduttiva condannata dalla Chiesa. D’altra parte la responsabilità dell’educazione cristiana del bambino è responsabilità dei genitori e dei padrini” ai quali è chiesto di pentirsi dell’atto commesso: "si rendano conto che da un punto di vista cristiano – spiega il documento - una tale tecnologia di riproduzione è moralmente riprovevole", altrimenti niente battesimo. Parrebbe che il clero ortodosso butti il bambino con l’acqua… benedetta.
Proviamo a verificare se la decisione del Sinodo eccede per troppo rigore oppure è corretta. Lo facciamo attingendo a documenti di matrice cattolica, la cui validità teologica e pastorale può però essere estesa anche agli ortodossi.
Al fine di amministrare il sacramento ci deve essere fondata speranza che questo produrrà frutto: altrimenti è come piantare un albero consapevoli che certamente morirà a breve. Per dare frutto occorre la cooperazione in primis dei genitori e poi dei padrini (Codice di diritto Canonico, cann. 226, § 2; 774, § 2; 851, n. 2°). Sia i genitori che i padrini infatti devono “cooperare affinché il battezzato conduca poi una vita cristiana conforme al battesimo e ne adempia fedelmente gli obblighi” (can. 872). Se dunque papà, mamma e padrini non riescono a dare garanzie sufficienti che il bambino crescerà secondo i valori cristiani è inutile procedere al battesimo.
Così si esprime la “Pastoralis actio – Istruzione sul battesimo dei bambini” siglata dalla Congregazione per Dottrina della Fede nel 1980 in merito al battesimo richiesto da genitori poco credenti o non cristiani: “La Chiesa, infatti, non può venire incontro al desiderio di questi genitori, se essi non danno la garanzia che, una volta battezzato, il bambino riceverà l'educazione cattolica richiesta dal sacramento; essa deve avere la fondata speranza che il battesimo porterà i suoi frutti. Se le garanzie offerte — ad esempio la scelta di padrini e madrine che si prenderanno seria cura del bambino, o l'aiuto della comunità dei fedeli — sono sufficienti, il sacerdote non potrà rifiutarsi di amministrare senza indugio il battesimo, come nel caso dei bambini di famiglie cristiane. Ma se le garanzie sono insufficienti, sarà prudente differire il battesimo” (30). L’indicazione pastorale ha anche una valenza pedagogica nei confronti dei genitori affinché diano un colpo di reni alla loro vita cristiana e di certo non adombra intenti ricattatori.
Da qui la domanda: genitori che hanno avuto un figlio tramite la pratica dell’utero in affitto – ma anche tramite Fivet – possono dare sufficienti garanzie che il loro pargolo crescerà da vero cristiano? Appare evidente che simile scelta dimostra con i fatti che le idee dei genitori sulla morale sono incompatibili con quelle della Chiesa, cattolica e anche ortodossa. Prova ne è che una condizione per essere ammessi al ruolo di padrino sta nel fatto che il candidato “conduca una vita conforme alla fede e al compito che sta per assumere” (can. 874, § 1, n. 3°). E se questo vale per il padrino, a maggior ragione per i genitori.
Detto in altri termini, è difficile sostenere che chi ha detto sì alla maternità surrogata o più in generale alla fecondazione artificiale sia poi in grado di allevare il figlio secondo miglior dottrina cristiana. E dunque il pentimento esplicito verso questa pratica potrebbe essere giustificato e configurare quel minimum richiesto ai genitori per ammettere il pargolo al battesimo e per superare quella presunzione di inadeguatezza nata dalla scelta di optare per l’utero in affitto o per la provetta (terribile responsabilità dei genitori che si giocano l’eternità dei propri figli). Buon pro faccia ai parroci nostrani questa indicazione proveniente dai “colleghi” russi.
Detto questo però il documento della Congregazione per la Dottrina della Fede appena citato indica anche un’altra strada per far accedere il minore al battesimo, nonostante i genitori non brillino per fede adamantina: “la scelta di padrini e madrine che si prenderanno seria cura del bambino, o l'aiuto della comunità dei fedeli”. I genitori potranno essere anche non adatti ad educare cristianamente il figlio, potranno rimanere fermi nell’idea che la maternità surrogata e la provetta siano pratiche ineccepibili dal punto di vista etico, però se assicureranno che il figlio crescerà sotto le ali cristiane del padrino o verrà inserito in un ambiente religiosamente sano ecco che si potranno per lui aprire le porte del battistero.
Vero, ma difficile da ipotizzare nel concreto, ci pare.