Bataclan, il processo, ma Allah non è tra gli "imputati"
La discutibile linea adottata dalla magistratura francese all'inizio del processo per la strage del Bataclan: si guarderà alle storie personali e familiari dei terroristi, ma niente per quel che riguarda la loro fede, l’islam. La giustizia agisce come se l’ambiente religioso in cui si sono formati Salah Abdeslam e i suoi complici non avesse avuto alcun impatto sulla loro radicalizzazione.
L’hanno battezzato “il processo del secolo”. Le Figaro ne racconta le udienze in diretta: è il dibattimento contro i terroristi che colpirono Parigi, il 13 novembre del 2015.
C’è un elemento, però, che è stato definito “stupefacente” dai commentatori parigini. Nel processo del Bataclan, dopo le giornate dedicate alle vittime ai parenti delle vittime, da pochi giorni sono iniziate le udienze dedicate agli imputati. L’elemento di novità, e che fa discutere, è la linea adottata dalla magistratura: si guarderà alle storie personali e familiari dei terroristi, e ci sarà spazio anche per analizzare il loro profilo psicologico, ma niente per quel che riguarda la loro fede, l’islam. La corte ha infatti deciso di non affrontare l'islamismo che i terroristi hanno rivendicato, quando, quel famoso novembre del 2015, morirono circa centocinquanta persone e si contarono oltre quattrocento feriti.
Ma chi sono gli imputati? Iniziato l’8 settembre, il processo conta venti imputati alla corte d'assise speciale di Parigi. Salah Abdeslam è l’unico membro del commando jihadista ancora in vita. L’unico imputato di cui la storia sta raccontando le dichiarazioni.
Francese, trentenne, figlio di immigrati marocchini, cresciuto a Molenbeek, la culla del terrorismo islamico nel cuore di Bruxelles. Era intimo amico di Abdelhamid Abaaoud, quello che è considerato la mente degli attenti del 2015. Davanti alle immagini dei suoi compagni in armi tra le fila dello Stato Islamico, tra cui suo fratello Brahimi, che aprivano il fuoco contro i parigini del caffé La Belle Equipe, uno dei luoghi simbolo del 13 novembre, uccidendo 21 persone, ha detto che, “quelle immagini, prese fuori contesto, sarei il primo a condannarle, ma se le contestualizziamo, non posso condannarle”. Ai giudici ha introdotto così la tesi già esposta, quando ha dichiarato che gli attentati sono stati una risposta all’intervento della Francia contro l’Isis in Iraq. Quindi, mera reazione contro i civili a quella che lui, e il suo gruppo terroristico islamico, consideravano un’aggressione bella e buona.
Ha spiegato, poi, che vivere secondo i valori occidentali è contro la sua etica. E anche per questo sono state uccise centotrenta persone.
Pochi giorni fa una nuova udienza del processo. Le Figaro racconta in diretta il processo presso il tribunale dell'Île de la Cité, a Parigi. L’ultimo atto ha visto gli investigatori illustrare chi erano Samy Amimour, Ismaël Mostefai e Foued Mohamed-Aggad - il trio vero protagonista dei fatti del Bataclan -, le attività dei fratelli Clain. Ed è da questa udienza che è emersa con chiarezza la linea dell’accusa: niente islam, conta il profilo psicologico. Riavvolgiamo il nastro. I fratelli Clain sono la coppia che rivendicò gli attentati e che morirà nel 2019: le loro gesta sono state celebrate direttamente da Abu Bakr al-Baghdadi - ex califfo dell’autoproclamato Stato islamico. Originari della Réunion e cresciuti a Tolosa, nel quartiere Mirail, sono gli autori dell’audio di rivendicazione degli attacchi di Parigi da parte dell’Isis.
In quell’audio spiegarono che gli obiettivi per colpire “la città della perversione e dell’abominio” furono stati scelti “minuziosamente”. Jean-Michel, uno dei due, canta il “nasheed” - canto di invocazione della tradizione islamica - che apre e chiude il messaggio. Fabien, conosciuto come Omar, è il più famoso dei due, perché la sua storia di radicalizzazione s’è intrecciata con il jihadismo in Europa. Ricostruendola, si incontrano nomi noti (Mohammed Merah, l’attentatore di Tolosa), predicatori celebri (Farouk Ben Abbes e Hakim Benladghem), il Belgio (dove i fratelli Clain soggiornarono per un periodo nel 2003, frequentando il gruppo belga-tunisino di Murielle Degauque, morta nel novembre del 2005 in un attentato suicida a Baghdad), e il Bataclan. Fabien voleva colpire la sala concerti già nel 2009, perché i proprietari erano ebrei.
Samy Amimour, Ismaël Mostefai e Foued Mohamed-Aggad sono, invece, i tre terroristi islamisti che hanno attaccato il Bataclan il 13 novembre 2015. Uccisi dalla polizia la sera stessa. All’udienza di pochi giorni fa, il padre di Amimour, ha raccontato che il figlio si era formato alla moschea Blanc-Mesnil e con i video di Bin Laden recuperati in rete.
Tutti e tre erano francesi di nascita. Quella Francia che hanno odiato al punto da volerla distrutta e che hanno lasciato nel 2013 per la Sira, passando per la Turchia. Non si conoscevano prima, si sono incontrati là. E diventati amici, in nome di Allah, per lo Stato islamico giocavano il ruolo di addestratori e reclutatori: terroristi islamici di un livello avanzato. Al-Hasakah, governatorato meridionale della Siria, sarà il luogo dove studieranno l’attentato al Bataclan.
Rientrano insieme in Europa alla fine di agosto 2015. E lo fanno senza difficoltà: seguono la rotta migratoria che porterà più di un milione di immigrati in Europa e la cosa gli consente di evitare qualche controllo in più. Samy Amimour, che era già segnalato dai servizi segreti perché nel 2012 aveva provato a partire per il jihad in Somalia, rientra in Francia senza nessun problemi. La rotta dell’immigrazione, fino ad allora, non era mai stata pressa in considerazione come corridoio del terrorismo. Jean-Charles Brisard, specialista francese di terrorismo, dirà che “il rischio era noto e che tanti terroristi, ancora oggi, si fingono rifugiati”.
I tre appariranno in un video trasmesso via Telegram solo dopo gli attentati, nel gennaio 2016, intitolato “e uccidili ovunque li incontri (gl’infedeli)”.
Nonostante tutto ciò, la giustizia agisce come se l’ambiente religioso in cui si sono formati Salah Abdeslam e i suoi complici non avesse avuto alcun impatto sulla loro radicalizzazione. Come se tutti gli attentati perpetrati negli ultimi dieci anni sul territorio francese non fossero stati compiuti in nome di Allah da persone imbevute d’islam.
“Questi terroristi sono assassini che non hanno niente di religioso, ma vivono solo slogan”, ha detto Mohammed Moussaoui, il presidente del Consiglio francese per il culto musulmano dopo l'atroce assassinio del professor Samuel Paty. Moussaoui, ovviamente, prova a porre una linea immaginaria capace di dividere islam e islamismo. Eppure perché, in tutti questi anni in cui l’islam è entrato ne vocabolario occidentale a forza di attentati, nessuno tra ulama (esperti delle scienze religiose), imam (il capo della comunità islamica), shaykh (maestro di una via mistica), qādī (giudice), muftī (‘ālim abilitato e emettere fatwe), mullah (tutore) ha mai risposto a tutta una serie di domande che risolverebbero diversi dubbi vaghi.
Per esempio: perché la stessa parola, “jihad” indica sia lo sforzo, da intendersi “sulla via di Dio”, come impegno di automiglioramento del credente, che la guerra santa contro gl’infedeli? Perché è quasi impossibile “deradicalizzare” gli islamisti? Chi sono gli unici veri musulmani? Come può il regime talebano affermare di essere il più puro dell'islam? Perché il cambio di religione (apostasia) è condannato violentemente in così tante famiglie musulmane, anche in Europa? Perché una donna che si toglie il velo è subito oggetto di insulti e minacce in Occidente, e rischia la vita dove vige la shari’a? Che piaccia o no, ci sono ancora molte zone grigie che impediscono di affermare che l'islam sia una religione perfettamente pacifica.
Ma soprattutto, come si possono slegare i fatti del Bataclan dall’islam? Qualcuno in Francia sostiene che ne parlerà, poi, forse. Alla fine del processo? E perché? Contro chi è il “processo del secolo”?
“Quello che è successo il 13 novembre è un atto di guerra di incredibile violenza a cui il presidente della Francia ha risposto con lacrime e lamenti. Così facendo, ha umiliato il suo popolo, la sua polizia e il suo esercito, e ha firmato la sua fine. La Francia sta soffrendo e si prepara a soffrire ancora. Spetta ai nostri governanti smentire questa oscura profezia”, ha detto Boualem Sansal, lo scrittore algerino in occasione dell’ultimo anniversario degli attentati del Bataclan.