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Nuova svolta

Baby trans? Anche l’Economist denuncia i rischi

L’Economist, sulla base di quanto sta accadendo in varie parti del mondo (dalla Finlandia al Regno Unito, dalla Svezia agli Usa), scrive che i trattamenti blocca-pubertà «sembrano non fare bene, anzi possono risultare dannosi». 

Gender Watch 20_05_2021

Già da mesi le perplessità sui trattamenti ai “baby trans” non si potevano più considerare esclusiva dei cattolici né dei conservatori, ma ora c’è la certezza che così non sia. La svolta arriva da un articolo uscito in questi giorni sull’Economist, eloquente sin dal titolo, che suona così: «Crescono i dubbi sulla terapia per bambini con la disforia di genere». Che si tratti di svolta è provato da almeno due elementi: il primo è il livello della testata, parliamo d’un settimanale di riconosciuta serietà nonché della fonte d’informazione più autorevole in assoluto per i lettori americani; il secondo è la bocciatura contenuta in un articolo in cui, senza troppi giri di parole, si afferma che i trattamenti farmacologici per i baby trans «sembrano non fare bene, anzi possono risultare dannosi».

Chiaramente, l’Economist non scrive cose tanto pesanti a caso. Al contrario, effettua prima una panoramica su quello che è accaduto in giro per il mondo negli ultimi mesi, a partire dallo scorso giugno, quando la Finlandia, sempre con riferimento ai minori affetti da disforia di genere, ha rivisto le proprie linee guida per preferire il trattamento psicologico a quello farmacologico. A seguire, l’articolo ricorda la svolta inglese, avvenuta nel dicembre 2020 quando Keira Bell - una donna di 24 anni che vive col rimpianto d’aver scelto di ‘passare’ al genere maschile da adolescente - ha visto riconosciute le sue ragioni, con la Corte Suprema britannica che ha stabilito che i giovani sotto i 16 anni con disforia di genere non possono dare un pieno consenso informato al trattamento con bloccanti della pubertà, ordinando ai medici di chiedere l’approvazione del tribunale prima di trattare con una terapia medica qualsiasi minorenne con disforia di genere.

Il celebre settimanale poi evidenzia quanto accaduto ad aprile da un lato in Arkansas - dove la prescrizione dei bloccanti della pubertà è stata dichiarata illegale - e, dall’altro, in Svezia, con il  Karolinska Institutet che ha deciso che ai minori di 16 anni con disforia di genere non sarà più consentito l’accesso a somministrazioni di soppressori della pubertà e di ormoni sessuali specifici del sesso desiderato, mentre per pazienti tra i 16 e 18 anni servirà l’approvazione del comitato etico nazionale, previa valutazione della reale cognizione del minore circa le conseguenze della somministrazione e della capacità di esprimere un consenso realmente informato e consapevole.

Ultimata questa fotografia del quadro internazionale - cui si potrebbe aggiungere anche quanto affermato un anno fa dal Royal Australasian College of Physicians che, interpellato dal governo sui trattamenti sui minori trans, ha chiarito che «le prove esistenti sulla salute e sugli esiti dell’assistenza clinica sono limitate» - l’Economist passa alla letteratura scientifica sull’argomento. E lo fa ricordando che «gli studi esistenti hanno suggerito che, senza intervento, la maggior parte dei bambini con disforia del genere finiscono per conciliarsi, da adulti con il sesso natale». Viene inoltre ricordato che «ci sono pure prove che i farmaci possono causare gravi danni», evidenziando che «gli studi sugli animali suggeriscono che i bloccanti della pubertà possono causare danni cognitivi» e che «gli ormoni sessuali incrociati sono stati collegati a malattie cardiache, ictus e sterilità».

Insomma, pur dando notizia di un dibattito ancora aperto, come indubbiamente è, l’Economist mette in luce come il fenomeno dei baby trans e, in particolare, tutto ciò che concerne il blocco della pubertà sia da guardare non con parziale bensì estrema cautela, perché i danni possono essere assai gravi se non, purtroppo, irreparabili. Ora, la domanda è una: dopo un articolo di questo peso internazionale si potrà finalmente avviare un serio dibattito sul tema anche in Italia? O forse, siccome gli influencer dicono che è importante che i bambini diventino «ciò che si sentono» e c’è il Ddl Zan da approvare, bisogna far finta di nulla? La domanda non pare trascurabile dato che, sull’argomento, all’estero oggi i dubbi prevalgono sulle certezze. E sarebbe grave che, sul dibattito sulla disforia di genere per i minori, l’Italia restasse indietro o si facesse bastare le rassicurazioni di qualche ciarlatano.