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DIVORZIO "CATTOLICO"

Avvenire sposa il divorziato Sala usando Amoris Laetitia

Le esternazioni del sindaco di Milano, Giuseppe Sala, sulla sua vita di credente e il commento del giornale dei vescovi sono un esempio del triste stato di confusione seguito all’Esortazione apostolica Amoris Laetitia. L'esortazione di Papa Francesco lascia aperte tutte le strade. Ormai se ne parla per slogan. 

Editoriali 31_12_2019

Le esternazioni del sindaco di Milano, Giuseppe Sala, circa la sua vita di credente e il commento di Luciano Moia su Avvenire di sabato 28 dicembre scorso sono un esempio del triste stato di confusione seguito all’Esortazione apostolica Amoris Laetitia di papa Francesco. Sala nei giorni scorsi ha rivelato a Repubblica di assistere ogni domenica alla Santa Messa e di sentirsi a disagio al momento della comunione per non potervisi accostare.

Esternazioni discutibili a seconda delle sensibilità, ma legittime. Di per sé Sala si è limitato ad esprimere un disagio “essendo divorziato e in uno stato che non mi consente di accostarmi al sacramento”. Luciano Moia su Avvenire sfrutta l’intervento e sostiene che se una “persona seria e preparata” come Sala si sente a disagio, allora la strada per “trasformare in consapevolezza diffusa” le indicazioni di Amoris Laetitia è ancora lunga e bisogna affrettarne la percorrenza, affinché non solo Sala ma anche persone molto meno serie e preparate di lui non si sentano più a disagio, perché dopo Amoris Laetitia non si deve più sentirsi a disagio. Moia ci ricorda quanto sostenuto dall’Esortazione: nessuno deve sentirsi condannato in eterno; anche i divorziati risposati devono poter fare un cammino; tale cammino può concludersi con l’accostamento ai sacramenti come dice la nota 351.

Ormai di Amoris Laetitia si parla per slogan, dando per assodato ciò che non è. Quindi è bene fare con calma il punto su alcuni particolari. Prima di tutto la situazione di Giuseppe Sala, il quale ha divorziato tre volte. Lo ricordo non per fare del moralismo, ma chiedendomi se una situazione simile rientri in quelle contemplate da Amoris Laetitia. Agli occhi di qualunque osservatore distaccato, se una persona che ha divorziato tre volte e intende continuare a convivere more uxorio nella nuova relazione può ricevere l’assoluzione in confessionale e accostarsi alla comunione, significa che la Chiesa ha approvato il divorzio cristiano. Anche tra i comuni osservatori dei fatti di Chiesa si annidano persone “serie e preparate” in grado di fare questo semplice ragionamento. 

Persone “serie e preparate” si trovano anche tra quei credenti che, posti davanti non per volontà loro, alla separazione coniugale intendono rimanere fedeli a quella che essi considerano l’unica loro consorte per la vita, ossia la moglie che li ha abbandonati. Amoris Laetitia di costoro non parla, nelle diocesi sono tenuti alla larga perché potrebbero rappresentare un elemento implicito di giudizio (di discriminazione, come si dice oggi) nei confronti dei divorziati risposati. Non ammettere i divorziati risposati alla comunione non significa “condannarli per sempre”, come la retorica e nemmeno Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, che pure non li ammettevano alla comunione, li consideravano tali. Condannati e abbandonati sono piuttosto gli “Sposi per sempre” che intendono rimanere fedeli alla moglie che se ne è andata con un altro. Per costoro la Chiesa non ha più nulla da dire se non dichiarare la loro stupidità, date le nuove vie che nel frattempo si vogliono battere.

Fa bene Moia a dire che Amoris Laetitia chiede che i divorziati risposati facciano un cammino. Ma dimentica di ricordare che non dice come si dovrà concludere questo cammino. In questo modo Amoris Laetitia lascia aperte tutte le strade, che diventano così tutte legittime. Compresa la conclusione tramite il semplice giudizio di coscienza personale, per la cui soluzione non c’era bisogno di una Esortazione apostolica e a Sala basterebbe dire che faccia come vuole e, quando si sentirà “pronto” in coscienza, si accosti al sacramento della comunione, anche se non è garantito che la cosa potrà riuscire a togliere il “disagio” da lui reso pubblico.

Quanto alla nota 351, essa non legittima nulla e non può essere citata quale testo che dichiarerebbe la liceità dell’accostamento alla comunione del divorziato risposato anche se non cessa la convivenza more uxorio. Il cardinale Caffarra, sempre così corretto e garbato quando parlava del papa e della Chiesa, ha osservato: “Sarebbe stato assai strano che il papa avesse introdotto un cambiamento di una disciplina secolare, ritenuta fondata sulla Dottrina, in una nota che, a domanda di un giornalista sull’aereo in ritorno da Lesbo, ha detto di non ricordare nemmeno”. Per quanto riguarda il merito – come ha fatto notare Stephan Kampowski – ammesso che sia possibile la presenza della grazia nelle persone in situazioni oggettive di peccato data la carenza di responsabilità delle stesse, nel caso dell’adulterio “la situazione di peccato non è soltanto oggettiva ma anche pubblica, e per giunta, a differenza di altri peccati, è in diretta contraddizione con il significato stesso del sacramento dell’Eucarestia”.

Se a porre un problema è il sindaco di Milano il problema non cambia. Il “disagio” è molto ampio oggi nella Chiesa ed è soprattutto il disagio di chi non pensa che sia possibile dire con i giochi di parole che le cose della vita di fede possono stare anche in modi diversi e perfino contraddittori.