"Avvenire", ormai è solo ideologia
Davanti a casi di distruzione della famiglia e di bambini resi oggetto di desideri e vizi si dice che bisogna adoperare il discernimento, non giudicare ma accompagnare. Per la questione dello ius soli, invece, il discernimento non è ammesso. Siamo al rovesciamento dell'insegnamento della Chiesa.
Avvenire di domenica scorsa ha stupito i lettori con una copertina apposita per spingere politicamente per l’approvazione della legge sullo ius soli. Una copertina che avvolgeva il giornale come si fa per i grandi eventi o per le grandi battaglie. Completava il quadro un editorialone del direttore. Qualsiasi cattolico che avesse delle perplessità di qualsiasi genere su questo disegno di legge è stato così indotto o a temere di non essere cattolico oppure a non rinnovare l’abbonamento ad Avvenire. In ogni caso la copertina divideva i cattolici, sia tra di loro che rispetto ad Avvenire. Ne valeva la pena?
Che interesse ci può essere ad appoggiare in modo così intransigente una legge problematica, che divide gli italiani; che contrappone ricchi e poveri perché sono questi ultimi a sopportare maggiormente il peso dei disguidi di una immigrazione incontrollata; che molti osservatori responsabili e competenti hanno mostrato essere contraddittoria e ricca di sviluppi impropri; che rappresenta la ciambella di salvataggio per un gruppetto di dirigenti del partito di maggioranza e che, soprattutto, non chiama in causa nessun principio assoluto della morale e della Dottrina sociale della Chiesa? Qui di “non possumus” non ce n’è nessuno.
Appena aperto il giornale, il lettore si sarà chiesto: ma perché ad Avvenire non hanno fatto una copertina simile quando il Parlamento, sopportando per due volte la fiducia di questo governo che ora vuole lo ius soli, e quindi senza esame e senza discussione, ha approvato la legge Cirinnà che di principi assoluti della morale naturale e della Dottrina sociale della Chiesa ne negava almeno un centinaio? Perché Avvenire non ha fatto una copertina del genere quando è stata staccata la spina del ventilatore al piccolo Charlie Gard, che era innocente e che in quel modo veniva ucciso (non “moriva”, veniva ucciso), aprendo così un possibile abisso di malvagità legalizzata? Perché Avvenire non fa una copertina di questo genere ogni anno, nella ricorrenza dell’approvazione della legge 194 sull’aborto legale, in virtù della quale sono stati uccisi in Italia sei milioni di bambini nel seno delle loro madri? Non sarebbero anche questi degli atti di fiducia verso il carattere “contagioso” della nostra civiltà, cui Tarquinio si è appellato per lo ius soli?
L’ideologia consiste nel proporre una parte come il tutto. Un suo caso particolare consiste nel proporre ciò che è relativo alle situazioni e al giudizio prudenziale come assoluto e vincolante. Spingere al rompete le righe sulle questioni morali assolutamente negative e, al contrario, imporre di serrare i ranghi su questioni che possono stare anche altrimenti è ideologia. Ciò che non si dovrebbe mai fare, oggi si può fare; ciò che si può fare, oggi non si può più fare? Il cattolico che contrasta le pretese ciniche e narcisistiche dei “nuovi diritti” deve sentirsi in colpa, come il cattolico che nella legge sullo ius soli vede troppe carenze e soprattutto una accoglienza priva di identità. Si vuole che chiudiamo gli occhi, sia sulle conseguenze disastrose delle nuove leggi della neo borghesia “illuminata”, sia sul fatto che la legge sullo ius soli non regge ad un esame veramente realistico.
Viviamo in un tempo in cui la cosa peggiore sembra quella di essere “divisivi”. Nelle parrocchie non si può parlare di aborto o di gender, di ideologia omosessualista o di perversioni insegnate a scuola. Non se ne può parlare perché – si dice – sono temi che dividono la comunità. Nelle diocesi non si apprezzano le prese di posizioni pubbliche dei cattolici e le loro iniziative contro il nuovo umanesimo disumano perché sarebbero divisive. Per non produrre divisione ci si imbavaglia spesso, al punto che chi dovrebbe insegnare non insegna. Perché allora Avvenire può dividere la comunità e per di più su un tema di per sé non divisivo? Dei termini su cui dovremmo essere tutti d’accordo non si può parlare perché sono divisivi, sui temi per i quali possiamo legittimamente avere pareri diversi, se ne parla come se fosse obbligatorio l’accordo. Per evitare la divisione si finisce per farla sul nulla. Usare il tema del pericolo della divisione quando si vuole è pure ideologico.
Davanti a casi di distruzione della famiglia e di bambini resi oggetto di desideri e vizi si dice che bisogna adoperare il discernimento, non giudicare ma accompagnare. Per la questione dello ius soli, invece, il discernimento non è ammesso. Spesso i fedeli sono lasciati soli su questioni fondamentali di morale e di fede e si chiedono tra sé perché mai chi di dovere nella Chiesa non li confermi e non li sostenga in battaglie che fino a ieri erano considerate assolutamente doverose e meritorie. Poi, invece, si sentono spinti e confermati su questioni politiche, importanti sì ma non fondamentali ed esenti da valutazioni a carattere assoluto, anzi di stretta attualità politica.
Davanti a operazioni di questo tipo, da un lato viene da pensare che ci sia qualche “calcolo politicante”, per riprendere una espressione del direttore di Avvenire, dall’altro che siamo davanti a cambiamenti di prospettiva portati avanti senza spiegarli ai fedeli. Quando l’assoluto diventa relativo e il relativo assoluto, quando il fondamentale diventa marginale e il marginale fondamentale, quando si chiama alle armi non per il vero nemico … significa che è in atto un forte cambiamento del quadro generale.
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