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CON IL LOCKDOWN

Aumento di violenze domestiche, spose-bimbe e lavoro minorile

Gli effetti del COVID-19 sull’economia e sulla vita sociale si misureranno nei prossimi mesi, ma ci sono conseguenze che sono in parte già tangibili e riguardano il destino di milioni di bambine, adolescenti e donne. In Europa l’Oms ha rilevato un aumento della violenza interpersonale. Il reddito di molte famiglie è sceso sotto la soglia di povertà, perciò aumentano anche il lavoro minorile e i matrimoni imposti alle bambine.

Attualità 17_06_2020
Matrimonio di minorenne

Gli effetti del COVID-19 sull’economia e sulla vita sociale si misureranno nei prossimi mesi. Si ipotizzano danni nell’insieme elevati, sebbene variabili a seconda degli stati e delle aree geopolitiche. Per ora tuttavia si tratta di stime approssimative: oltre al fatto che mancano dati precisi su fattori decisivi, molto dipende dall’andamento della malattia e dalle iniziative decise dai governi e dagli organismi internazionali, in campo economico prima di tutto. Ma ci sono conseguenze della pandemia che sono in parte già tangibili, documentate, e riguardano il destino di milioni di bambine, adolescenti e donne.

I centri, le associazioni, le linee telefoniche per donne vittime di violenza e abusi sessuali hanno registrato ovunque dall’inizio del lockdown un aumento dei casi denunciati. Questo, secondo la Aha Foundation e l’Unfpa, il fondo per la popolazione delle Nazioni Unite, è dovuto principalmente a due fattori: la sospensione o la riduzione dei programmi di prevenzione e assistenza e le tensioni causate dalla forzata segregazione aggravate da difficoltà economiche.

In Europa l’Oms ha rilevato un aumento delle chiamate d’emergenza per denunciare violenze domestiche a donne e bambini e in generale un incremento sensibile della violenza interpersonale. In Ucraina, ad esempio, nelle prime due settimane di chiusura le chiamate al numero telefonico nazionale contro la violenza domestica sono salite di oltre il 25 per cento. Nel Kosovo, riporta l’Unfpa, l’aumento dei casi di violenza registrati è stato del 17 per cento, quasi tutti denunciati in centri urbani.

Dati ancora più preoccupanti provengono dagli altri continenti. In America Latina l’allarme riguarda soprattutto Messico e Brasile. In Africa le richieste di aiuto per violenze domestiche sono cresciute dappertutto nonostante la maggiore difficoltà per le donne di mettersi in contatto con centri e associazioni. In Kenya, ad esempio, dopo che è stato imposto il coprifuoco dalle 19.00 alle 5.00, le denunce sono aumentate del 34 per cento. Nei paesi asiatici in cui è stato possibile raccogliere informazioni, violenze domestiche e molestie sessuali risultano in crescita, con un particolare significativo: l’elevato numero di donne che denunciano violenze domestiche per la prima volta. In Bangladesh, secondo una indagine svolta dalla Manusher Jonno Foundation nel mese di aprile, su 4.249 donne vittime di violenza domestica, 1.672 era la prima volta che venivano picchiate dal marito. “Le donne che subiscono violenza per la prima volta da parte di famigliari – spiega Arpita Das che lavora per la fondazione – danno la colpa al lockdown. Dicono che i mariti sono sempre più frustrati a causa della mancanza di rapporti sociali”.

Chi non aveva mai picchiato la moglie prima della pandemia non è detto che smetterà di farlo al termine dell’emergenza. Oltre tutto i problemi economici di decine di milioni di persone non si risolveranno. Tanti che hanno perso il lavoro resteranno disoccupati o dovranno adattarsi a lavori meno remunerativi. Milioni di famiglie di ceto medio in tutto il mondo sono in serie difficoltà. Il reddito di molte è sceso sotto la soglia di povertà e potrebbero non risollevarsi.

Dove il valore e il rispetto della persona umana dipendono dallo status sociale e ancora non si riconosce l’esistenza di diritti umani universali, la vita e la volontà di donne e bambini sono tenute in minor conto. Per questo sopravvivono, ostinatamente praticate, istituzioni nate per disporre della loro esistenza in funzione del bene collettivo, così come veniva inteso e tutelato nelle società arcaiche basate su economie di sussistenza. Una di queste istituzioni è il lavoro minorile. Si calcola che un aumento della povertà di un punto percentuale genera un aumento del lavoro minorile di almeno lo 0,7 per cento. Una ricerca ha calcolato che se si verificasse una contrazione dell’economia mondiale del 5 per cento, le persone in estrema povertà salirebbero a 85 milioni; se fosse del 10 per cento i nuovi poveri sarebbero 180 milioni. Dal 2000 il lavoro minorile è diminuito costantemente, ma Organizzazione internazionale del lavoro e Unicef ritengono che i risultati ottenuti potranno essere del tutto cancellati o quasi in poco tempo. Per i minori che già lavorano, la crisi economica può significare più ore di lavoro o il peggioramento delle condizioni lavorative, spesso già pessime. I minori che lavorano sono circa 152 milioni: 64 milioni femmine e 88 milioni maschi. Quelli impiegati in attività pericolose sono 72 milioni.

Per le bambine e le adolescenti la crisi COVID-19 significa inoltre il rischio di essere costrette a un matrimonio imposto. Dall’inizio dell’emergenza i matrimoni precoci sono aumentati in molti paesi africani e asiatici. Per una famiglia significa una bocca in meno da sfamare e, dove è previsto il pagamento del prezzo della sposa, una somma di denaro provvidenziale. La chiusura delle scuole ha facilitato le cose anche nei paesi in cui l’età minima del matrimonio è la maggiore età. Tra i tanti casi riportati, l’agenzia The new humanitarian racconta quello di Inna, una ragazzina del Camerun di 16 anni data in moglie ad aprile a un allevatore di bestiame di 55 anni: “Mio padre diceva che invece di mangiare il suo cibo e occupare spazio in casa sua era meglio che mi sposassi. Mi ha detto che il mio biglietto per il paradiso era il matrimonio non la scuola”.

Le stime come si è detto sono molto approssimative. Tuttavia l’Unfpa avanza l’ipotesi che nei prossimi anni circa 13 milioni di bambine e adolescenti in più, rispetto alle previsioni pre-COVID-19, saranno costrette a un indesiderato matrimonio prematuro.