Atto di riparazione e digiuno, la lezione di don Lino
Don Lino Viola, l'ormai famoso parroco di Gallignano che ha respinto i carabinieri che gli volevano far interrompere la messa, ha fatto un atto di riparazione per il sacrilegio compiuto e ha chiesto alla sua comunità di unirsi con un digiuno il prossimo 30 aprile. Una bellissima risposta a quanto accaduto, e una lezione ai vescovi mercenari.
Ginocchia piegate e schiena dritta: è l’immagine RX di don Lino Viola, l’ormai famosissimo parroco di Gallignano. La schiena dritta l’ha mostrata a tutto il mondo, di fronte ad uno sceriffo improvvisato, pieno di boria (e di ignoranza), che voleva fargli interrompere la Messa. E anche di fronte ad un sindaco che non si era reso conto che Gallignano non è paese della Repubblica Popolare Cinese, per quanto ci si stia dando da fare per assumerne le modalità “disciplinari”.
Le ginocchia piegate le vediamo in questo video, che lo riprende mentre sabato 25 aprile, accompagnato da due parrocchiani, prega davanti al Signore per riparare al sacrilegio di domenica 19 aprile.
Un atto di riparazione bellissimo, come non lo si udiva più da tempo: «In questo momento prima di celebrare sull’Altare il Sacrificio del Tuo Figlio voglio a nome della comunità presente e di quella che vive nelle nostre case riparare l’irruzione immotivata e sacrilega delle forze dell’ordine». Insieme al divino Sacrificio, don Lino offre «l’espiazione della Vergine Tua Madre di Villavetere – un piccolo santuario mariano nelle campagne di Gallignano - dei nostri Santi Patroni San Pietro e Sant’Imerio», espiazione offerta per «riparare al tuo onore divino conculcato».
Sacrilegio, espiazione, offerta del Sacrificio: robe dell’altro mondo!
Ma non è finita. Don Lino ci ricorda che è Lui, il Signore, il primo ad essere stato offeso dalla sacrilega azione dello sceriffo, incurante di essere entrato nella casa di un Altro, degna progenie di quelle guardie del tempio richiamate proprio nell’atto di riparazione: «Siete usciti come contro un brigante con spade e bastoni per catturarmi» (Lc. 22, 52), una delle frasi pronunciate da Gesù più strabordanti di mestizia e dolore. E poi ancora il richiamo al tradimento di Giuda ed una richiesta che, da sola, ristabilisce l’ordine dell’obbedienza: «Padre amatissimo [...] conservaci fedelissimi nella Tua obbedienza e nel Tuo servizio fino alla morte quando potremo entrare nella Tua Casa dove Tu vivi col Figlio e lo Spirito Santo per tutti i secoli dei secoli. Amen».
Il 25 aprile, don Lino ha mostrato una libertà sconosciuta a quelli che vanno in giro per il carnevale comunista, quella libertà di offrire se stessi per espiare il male presente nel mondo; a questa vera libertà ha richiamato la sua comunità, chiedendole di unirsi all’atto di riparazione con un digiuno indetto per giovedì 30 aprile.
A questo digiuno ci uniremo in molti, perché quello che è accaduto il 19 aprile non riguarda soltanto la piccola comunità di Gallignano, ma la Chiesa universale. E tutti i veri cristiani, veri nonostante le proprie miserie, sentono come proprio l’oltraggio lì perpetrato. Lo dimostrano i tanti messaggi di sostegno inviati a don Lino e le numerose telefonate di solidarietà fatte da persone che hanno riconosciuto nella sua ferma e mansueta resistenza un atto di vera libertà, ma soprattutto un atto veramente degno di un ministro di Dio.
«Mi hanno chiamato pure tutti i Vescovi francesi», spiega don Lino. «Il mio rammarico è stato di non avere avuto la solidarietà del mio vescovo». Un dolore grande per un sacerdote che all’obbedienza, quella vera, ci tiene. E la lealtà con monsignor Antonio Napolioni è stata totale, perché don Lino non ha ricusato un confronto aperto e sincero con lui: «Ci siamo parlati a lungo, io gli ho spiegato che ho solo fatto il mio dovere, ma lui mi ha risposto col silenzio».
Da quanto abbiamo appreso, sono stati diversi i sacerdoti che hanno provato a scuotere il proprio Vescovo, a fargli capire che forse era il caso di prendere una posizione un po’ più comprensiva nei confronti della presa di posizione di don Lino. Nessuno pretende che mons. Napolioni diventi improvvisamente un vescovo battagliero, ma almeno che faccia presente che, forse, entrare armati in una chiesa con atteggiamento pretenzioso non si addice propriamente al bon ton, questo sì. Invece niente. Silenzio.
Un silenzio colpevole, che rivela molte cose, come un brano di quindici secoli fa spiega: «Non si può conoscere con sicurezza se uno è un vero pastore o un mercenario, se le circostanze non impongono delle urgenti necessità. Quando tutto è in pace, generalmente, sta alla custodia del gregge tanto il pastore quanto il mercenario, ma quando il lupo assale, si comprende con quale animo ciascuno custodiva il gregge». Così San Gregorio Magno, nell’omelia tenuta proprio la domenica del Buon Pastore.
«Questo assalto del lupo – continua con un’attualità impressionante – si verifica quando qualcuno, ingiusto e ladro, si mette a opprimere i fedeli e gli umili. Allora colui che sembrava pastore, ma non lo era affatto, abbandona le pecore e fugge, timoroso del pericolo che gli potrebbe sopraggiungere e per nulla disposto a resistere all’ingiustizia. La sua fuga non consiste nel portarsi in un altro luogo, ma nel sottrarre l’aiuto, nel vedere l’ingiustizia ed accettarla, protetto dal proprio silenzio».
Al mercenario, Gregorio applica le parole con cui Dio, attraverso il profeta Ezechiele, rimproverava i molti, troppi falsi profeti: «Voi non siete saliti sulle brecce e non avete costruito alcun baluardo in difesa degli Israeliti» (Ez. 13, 5). Che cosa vuol dire “stare sulla breccia”? «Battersi sulla breccia significa – conclude San Gregorio – opporsi con la libera voce della ragione ad ogni potere che tenta di imporsi con l’ingiustizia».
Meditate, vescovi, meditate.