«Attacchi in Cile, colpo al cuore del cattolicesimo»
«Le chiese bruciate sono un colpo al cuore dei cattolici: i manifestanti fanno graffiti blasfemi e incitano alla violenza». Il vescovo di Santiago del Cile alla Bussola dopo gli incendi di domenica: «Sarebbe sciocco negare che dentro queste aggressioni contro la Chiesa e contro la religione ci siano anche gli errori della Chiesa e i peccati che abbiamo commesso e di cui proviamo vergogna».
“La violenza è un male e chi semina violenza raccoglie distruzione, dolore e morte. Non dobbiamo giustificare mai la violenza”. Con queste parole, l'Arcivescovo di Santiago del Cile, Mons. Celestino Aós Braco, ha iniziato la sua dichiarazione di condanna contro i violenti attacchi che la Chiesa cilena ha subito domenica scorsa e ha proseguito: “Un anno fa abbiamo subito un’esplosione sociale che ci ha causato così tanto dolore personale e così tanta distruzione materiale che pensavamo sarebbe stata una lezione amara e forte. Ci è costato ricostruire le strutture, ha portato più sacrifici e continui disagi ai più poveri; (da allora, ndA) la vita è diventata più difficile per loro…”.
Il primo santuario ad essere bruciato è stata la Chiesa di San Francisco de Borja, usata regolarmente dalle forze di polizia, dai Carabineros: è stata saccheggiata e alcune delle immagini religiose bruciate per strada. Ore dopo, la violenza ha raggiunto anche la Chiesa dell'Assunta e la sua cupola è crollata, consumata dalle fiamme. Era uno dei più antichi edifici della capitale (è stato costruito nel 1876). Entrambi si trovano nelle vicinanze dell'ormai famosa “Plaza Italia”, dove sono stati saccheggiati anche diversi negozi e perfino un supermercato. Inoltre, sono state attaccate alcune stazioni di polizia della periferia della capitale, tra cui Puente Alto; e 18 carabinieri sono rimasti feriti.
Questi eventi sono stati causati da gruppi di rivoltosi che hanno partecipato a una manifestazione per commemorare il primo anniversario della cosiddetta “esplosione sociale”. Ebbene, c'è chi festeggia che un anno fa, con saccheggi e violenze, è iniziato il percorso di distruzione di quello che era il Paese più prospero dell'America Latina, per sommergerlo nell'incertezza, con un bilancio di più di trenta morti e migliaia di feriti. In tutto ciò, il 25 ottobre, i cileni devono decidere con un referendum se vogliono o meno cambiare la Costituzione.
“I poveri sono i più colpiti. Speravamo che quelle azioni e quelle immagini non si sarebbero ripetute. Azioni violente e immagini di vandalismo che subiamo ancora oggi. Ci dispiace per la distruzione dei nostri templi e di altre proprietà pubbliche; ma soprattutto ci dispiace per il dolore di tanti uomini cileni di pace e generosità. Queste immagini non solo colpiscono e feriscono in Cile, ma colpiscono e feriscono anche persone di altri Paesi e altri popoli del mondo, in particolare i fratelli cristiani”, ha detto l'Arcivescovo, ufficialmente in carica dal 27 dicembre 2019.
Con questi nuovi attacchi, più di 60 templi (cattolici ed evangelici) hanno subito gravi danni. La Pontificia Fondazione Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACS) li ha qualificati come “crimini d'odio”. Considerando i problemi che la Chiesa cilena ha dovuto affrontare nel suo recente passato, la domanda è inevitabile: tutta questa violenza è giustificabile? “Non è possibile giustificare l'ingiustificabile”, ha sottolineato nel comunicato il prelato spagnolo 74enne. La Bussola ha intervistato in esclusiva Mons. Celestino Aós Braco.
Eccellenza, qual è il suo bilancio della situazione della Chiesa in Cile?
I problemi sono vari, ci sono problemi all'interno della Chiesa, all'interno della struttura della comunità cristiana e cattolica, e poi ci sono i problemi sociali, i problemi del Paese. I problemi a livello di Chiesa continuano sempre, perché la missione che il Signore ci dà è quella di annunciare il Vangelo ad ogni creatura e c'è un compito molto grande in Cile, non solo per questo annuncio personale ma anche per cercare di portare il Vangelo alle strutture. Poi, i cristiani (noi), non viviamo in una sfera di cristallo, viviamo in questo Paese e senza dubbio siamo colpiti da tutti i problemi e da tutte le gioie. In questo senso ci troviamo di fronte a forti sfide che dobbiamo cercare di affrontare attraverso il Vangelo.
Come vive la Chiesa le proteste in Cile?
La verità è che questa realtà ha due settori ben definiti. Ci sono una serie di rivendicazioni, che definiremmo legittime: come non desiderare una migliore distribuzione dei beni? Come non desiderare che la salute sia accessibile a tutti? Come non volere che l'educazione sia migliore? Sono richieste del tutto legittime, ma sono state oscurate dalla violenza. E di fronte alla violenza dimostriamo il nostro rifiuto, non è la via, non è la soluzione. Allora come si vive? Si vive con dolore, perché ogni giorno si deve stimolare alcuni fratelli o sorelle che si accontentano e dicono che tutto va bene. No! Ci sono cose ingiuste e dobbiamo impegnarci, non possiamo restare come spettatori. La passività di alcuni ferisce, ma anche quella violenza fa male. E uno dice, a cosa serve? Cosa si vuole con tutto questo? Siamo convinti che la violenza sia un male, che la violenza generi violenza e non sia la soluzione.
Una violenza che ha toccato direttamente la Chiesa, qual è la sua lettura di questi attacchi?
Abbiamo molti templi bruciati, ma c'erano già dei segni. Vengo dalla diocesi di Copiapó e li hanno bruciato l'immagine della Madonna di La Candelaria, che è la patrona dei lavoratori delle miniere e del popolo di Atacama. È stato un colpo al cuore, direttamente ai cattolici del posto, poiché si tratta di una zona tipicamente mineraria. E in un'altra occasione hanno oltraggiato l'immagine del Cristo che è nel Santuario, ma erano azioni molto isolate. Cosa ci ferisce? Alcuni templi, in particolare, erano di inestimabile valore, ma ci ferisce soprattutto l'attacco di tipo religioso. Fanno graffiti offensivi, che a volte diventano blasfemi e che incitano alla violenza. Ma non solo contro sacerdoti e vescovi, anche contro i credenti. Ovviamente anche l'insulto, l'aggressività, e l'incitamento all'odio sono intollerabili. In Cile abbiamo una norma di convivenza in cui si dice che nessuna persona sarà discriminata a causa della sua condizione sessuale, della sua origine etnica e della sua condizione religiosa. Allora questa non può essere solo lettera morta...
E questi attacchi non potrebbero essere letti come una risposta agli scandali che hanno coinvolto membri del clero cileno? Potrebbe essere un'espressione di rabbia?
Senza dubbio. Nella storia della Chiesa ci sono tanti errori e tanti peccati, però l'errore può essere involontario e senza responsabilità, mentre in realtà il peccato ha sempre una responsabilità. E questi peccati che sono stati commessi, siano essi dovuti ad un cattivo uso del denaro, o ad un abuso di potere, o ad una sessualità disordinata che ha portato all'uso dell'altro, senza dubbio questo lascia una ferita. Quanto dolore dobbiamo sostenere nelle vittime! E ha lasciato molta rabbia nella società, non ho dubbi. Sarebbe sciocco negare che all'interno di questa componente di aggressione contro la Chiesa e contro la religione ci siano siano anche gli errori della Chiesa. Ci sono i peccati che abbiamo commesso, che ci fanno provare vergogna e per i quali abbiamo già chiesto perdono.
In questo scenario, quali sono le sue sfide?
La verità è che non so se le mie sfide possono essere diverse da quelle del Vangelo. Sono un umile servitore di San Francesco d'Assisi, un umile Cappuccino, la cui regola è la vita del Santo Vangelo di nostro Signore Gesù Cristo. E questa è la sfida e il programma per ogni cristiano. Vorrei che ogni uomo e ogni donna in Cile, specialmente di questa diocesi, incontrasse Gesù Cristo, perché sono sicuro che Gesù Cristo porta grazia, salvezza, e felicità. Non si tratta di continuare a mantenere il cristianesimo o la religione come se fosse un’ideologia, parte della moralità o di belle teorie. Gesù Cristo è un essere concreto che è nato dalla Madonna Maria, che è vissuto, che è stato crocifisso e che è risorto. Cristo è per noi la buona novella, la notizia della nostra dignità, la dignità della persona umana che si impara guardando la Croce.