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IL CASO

Atletica, mondiali di Londra vittime dell'ideologia gender

Negli 800 metri femminili i primi due posti sono andati ad atlet* affett* da condizioni di intersessualità considerate patologiche dalla medicina, ma che la Federazione di Atletica Leggera è stata costretta ad accettare malgrado i livelli di testosterone paragonabili a quelli degli uomini. Una dimostrazione di quanto sia ridicola l'ideologia gender: a fare la differenza non è la percezione personale.

Sport 16_08_2017
Mondiali Londra, Semenya è prim*

“Vincitrice morale” degli 800 metri femminili ai campionati del mondo di atletica di Londra. Così i commentatori di Rai2 hanno voluto dare un felpato riconoscimento a Ajee Wilson. L’atleta americana è arrivata al terzo posto dietro Francine Niyonsaba, seconda, e Caster Semenya, prima grazie alla decisione di ammettere alle gare femminili atlet* affett* da condizioni di intersessualità considerate patologiche dalla medicina, ma che presentando livelli di testosterone paragonabili a quelli degli uomini, godono di un aiuto ormonale che fa terra bruciata della concorrenza.

Per la Niyonsaba, nonostante il riserbo, le voci parlavano di pseudoermafroditismo, condizione caratterizzata da cromosomi e gonadi maschili, ma genitali esterni femminili, o ambigui. Nel 2011 la Federazione Internazionale di Atletica Leggera (IAAF) aveva stabilito i 10 nmol/litro di testosterone quale soglia da non superare per le atlete, ma dopo il ricorso vinto dall’atleta indiana Dutee Chand nel 2015 davanti alla Corte di Arbitrato di Losanna, secondo cui non vi sarebbero state prove che il testosterone è in grado di recare vantaggi nelle competizioni femminili, i livelli di testosterone non hanno costituito più un problema.

Guarda caso però che in concomitanza con le variazioni dei limiti di testosterone imposto dai regolamenti, le prestazioni della Niyonsaba hanno subito oscillazioni in peggio e poi in meglio di oltre 7 secondi. Alla IAAF la Corte svizzera aveva dato due anni di tempo per dimostrare i vantaggi arrecati nelle competizioni femminili dagli elevati livelli di testosterone, come se il fatto che gli uomini hanno forza e prestazioni maggiori in relazione ai loro ormoni, fosse una cosa da dovere essere provata.

Ricercatori di Monaco hanno appena pubblicato uno studio sul Bristol Journal of Sports Medicine dove le atlete femmine con il terzile più elevato di testosterone libero hanno dimostrato prestazioni superiori rispetto alle colleghe con i valori nel terzile più basso nei 400, nei 400 a ostacoli, negli 800, nel lancio del martello e nel salto con l’asta. Ma la Niyonsaba che ha appena vinto non si limita a stare nel terzile più alto, secondo Sarah Knapton, corrispondente scientifico del Telegraph, il suo testosterone staziona su livelli tre volte più alti della media femminile.

Alla veneranda età di 32 anni, quando ormai la parabola discendente degli atleti è di solito in pieno svolgimento, la Ceka Jarmila Kratochvílová polverizzò il record stabilendo uno stellare 1.53.28, primato che ancora resiste dopo 34 anni. Il fortissimo sospetto del “bombardino” ormonale non ha mai abbandonato quella prestazione. È stata avanzata la proposta di annullare i record stabiliti prima del 2005 perché solo da quell’anno sono divenuti disponibili controlli anti-doping efficienti, una proposta definita dall’ex campione Sebastian Coe oggi a capo della federazione inglese di atletica, “un passo nella giusta direzione”.

Ma perché dovrebbe essere non leale la vittoria ottenuta col sospetto di ormoni farmacologici, se da due anni vi sono medaglie consegnate con la certezza di ormoni naturali? Insomma se a vincere la medaglia d’oro e d’argento siano stati uomini o donne non è dato sapere, certo è che la vittoria delle “maggiorate” ormonali dimostra ancora una volta quanto ridicola sia l’ideologia gender: non è la percezione a fare la differenza, altrimenti l'americana Ajee Wilson, arrivata solo al bronzo, avrebbe di certo usato un guizzo d’immaginazione per il rush finale.