Assoluzione? Sì, ma a certe condizioni
Anche il divorziato risposato può accedere alla comunione previa valida confessione. Ma ci deve essere un vero pentimento e il fermo proposito a non proseguire nel peccato. Vale a dire interrompere il secondo rapporto o, se non è possibile per obblighi maturati, viverlo in castità.
Nell’ultima puntata abbiamo visto che i divorziati risposati versano in uno stato di vita oggettivamente incompatibile con la recezione dell’Eucarestia. È dottrina della Chiesa di diritto divino.
Ma la misericordia di Dio come si sa è infinita e dunque non esiste nessun peccato che non possa essere rimesso. Anche il divorziato risposato può quindi accedere alla comunione previa valida confessione. E qui sta il punto: il penitente affinché riceva una confessione valida, cioè una confessione che realmente esplichi i suoi effetti, deve avere in sé delle disposizioni necessarie. Come insegna la teologia sacramentale, perché una confessione sia valida occorre innanzitutto che il penitente sia contrito di cuore, cioè provi il dolore dei peccati commessi. Il dolore del peccato significa pentimento del peccato. Chiaro è che se il divorziato non si duole per nulla del suo secondo matrimonio, non lo riterrà nell’intimo del cuore un peccato e Dio può perdonare solo quelli che riconoscono di aver sbagliato.
Altra condizione indispensabile, oltre alla penitenza, è il proposito fermo. È questione di logica elementare: se il divorziato ritiene che la convivenza con la sua seconda moglie è un peccato e se ne duole allora non potrà che decidere di rompere il legame con questa donna e ritornare con il coniuge abbandonato. È l’applicazione fedele di quanto insegnato da Cristo quando si rivolse all’adultera: “Va’ e non peccare più” (Gv 8, 11).
Su queste condizioni ecco cosa dice la Chiesa proprio in riferimento ai divorziati risposati. Catechismo della Chiesa Cattolica: “La riconciliazione mediante il sacramento della Penitenza non può essere accordata se non a coloro che si sono pentiti di aver violato il segno dell'Alleanza e della fedeltà a Cristo, e si sono impegnati a vivere in una completa continenza” (1650).
Familiaris Consortio: “La riconciliazione nel sacramento della penitenza - che aprirebbe la strada al sacramento eucaristico - può essere accordata solo a quelli che, pentiti di aver violato il segno dell'Alleanza e della fedeltà a Cristo, sono sinceramente disposti ad una forma di vita non più in contraddizione con l'indissolubilità del matrimonio” (84).
Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa: “La riconciliazione nel sacramento della penitenza — che aprirebbe la strada al sacramento eucaristico — può essere accordata solo a coloro che, pentiti, sono sinceramente disposti ad una forma di vita non più in contraddizione con l'indissolubilità del matrimonio” (226).
Il documento della CEI “La pastorale dei divorziati risposati e di quanti vivono in situazioni matrimoniali difficili” è poi chiarissimo: “Ma come può essere celebrato il sacramento della Riconciliazione se nei divorziati risposati manca, per il perdurare di un'unione che non è nel Signore, la volontà di conversione e di penitenza? Non manca chi afferma: c'è stata, sì, una decisione colpevole all'inizio del nuovo Matrimonio civile, ma di questa colpa come di tutte le altre è possibile pentirsi, ed anche più volte. Perché, allora, non poter essere riconciliati? In realtà, la conversione necessaria per la Riconciliazione esige che il peccatore penitente dica, non solo ‘mi pento del mio peccato’, ma anche ‘propongo di non commetterlo più’, secondo l'esplicito appello di Cristo: ‘Va’ e non peccare più’ (Gv 8, 11). Ma un simile proposito è di fatto assente quando i divorziati risposati continuano a rimanere in una condizione di vita che è contraria alla volontà del Signore. Come è possibile, nello stesso tempo, scegliere l'amore per Dio e la non obbedienza al suo comandamento?” (26).
Sulla stessa frequenza d’onda un altro documento della CEI dal titolo “Direttorio di pastorale familiare per la Chiesa Italiana”: “Non si mancherà, infine, di proclamare l'esigenza del pentimento e della conversione: essi devono portare ad un reale cambiamento della condizione di vita e si pongono, per ciò stesso, come premessa insostituibile per la riconciliazione e la piena comunione sacramentale con la Chiesa” (199). E più avanti citando anche il documento “La pastorale dei divorziati risposati e di quanti vivono in situazioni matrimoniali difficili”: “Solo quando i divorziati risposati cessano di essere tali possono essere riammessi ai sacramenti. È necessario, perciò, che essi, pentitisi di aver violato il segno dell'alleanza e della fedeltà a Cristo, siano sinceramente disposti ad una forma di vita non più in contraddizione con l'indissolubilità del matrimonio o con la separazione fisica e, se possibile, con il ritorno all'originaria convivenza matrimoniale, o con l'impegno per un tipo di convivenza che contempli l'astensione dagli atti propri dei coniugi. Infatti, ‘qualora la loro situazione non presenti una concreta reversibilità per l'età avanzata o la malattia di uno o di ambedue, la presenza di figli bisognosi di aiuto e di educazione o altri motivi analoghi, la Chiesa li ammette all'assoluzione sacramentale e alla Comunione eucaristica se, sinceramente pentiti, si impegnano ad interrompere la loro reciproca vita sessuale e a trasformare il loro vincolo in amicizia, stima e aiuto vicendevoli. In questo caso possono ricevere l'assoluzione sacramentale ed accostarsi alla Comunione eucaristica, in una chiesa dove non siano conosciuti, per evitare lo scandalo’ ” (220).
In ultimo citiamo la “Lettera ai vescovi della Chiesa cattolica circa la recezione della comunione eucaristica da parte di fedeli divorziati risposati”, indirizzata all’episcopato tedesco da parte della Congregazione per la Dottrina della Fede: “Per i fedeli che permangono in tale situazione matrimoniale, l'accesso alla Comunione eucaristica è aperto unicamente dall'assoluzione sacramentale, […] In tal caso essi possono accedere alla comunione eucaristica, fermo restando tuttavia l'obbligo di evitare lo scandalo” (4).
La Chiesa però tiene in debito conto delle responsabilità morali e giuridiche che possono essere nate dal secondo vincolo: ad esempio la nascita di un figlio e le relative responsabilità nell’educarlo e nel mantenerlo. In casi come questi la Chiesa chiede al divorziato risposato di mantener fede a questi obblighi morali ma vivendo accanto alla seconda coniuge come tra fratelli, cioè escludendo i rapporti sessuali. Il fedele si potrà poi comunicare ma evitando lo scandalo (ad es. recandosi ad una Messa dove nessuno lo conosce).
Sul punto così scrive la Familiaris Consortio: “Ciò comporta, in concreto, che quando l'uomo e la donna, per seri motivi - quali, ad esempio, l'educazione dei figli - non possono soddisfare l'obbligo della separazione, «assumono l'impegno di vivere in piena continenza, cioè di astenersi dagli atti propri dei coniugi» (Giovanni Paolo PP. II, Omelia per la chiusura del VI Sinodo dei Vescovi, 7)” (84).
In modo simile la Dichiarazione del Pontificio Consiglio per i testi legislativi “Circa l’ammissibilità alla santa comunione dei divorziati risposati”: “Non si trovano invece in situazione di peccato grave abituale i fedeli divorziati risposati che, non potendo per seri motivi - quali, ad esempio, l’educazione dei figli - ‘soddisfare l’obbligo della separazione, assumono l’impegno di vivere in piena continenza, cioè di astenersi dagli atti propri dei coniugi’ (Familiaris consortio, n. 84), e che sulla base di tale proposito hanno ricevuto il sacramento della Penitenza. Poiché il fatto che tali fedeli non vivono more uxorio è di per sé occulto, mentre la loro condizione di divorziati risposati è di per sé manifesta, essi potranno accedere alla Comunione eucaristica solo remoto scandalo” (2). In merito invece alla possibilità di ricongiungimento con il primo coniuge – l’unico e vero coniuge – si chiede solo l’intenzione e lo sforzo di farlo – posto che non sussistano le condizioni che suggeriscano invece la separazione - perché il reale rappacificamento tra i due dipende anche dal secondo coniuge. Fino a quel momento si chiede comunque la continenza di vita.Assoluzione