Archiviazione per Lupi, ennesima vittima del giustizialismo
La vicenda Lupi è l’occasione per tornare a riflettere sul barbaro uso dello strumento delle intercettazioni e sul cortocircuito che in Italia spesso si crea tra giustizia e informazione. La selezione politica la fa sempre più spesso il duo Procure-mezzi di informazione ed è questa una delle sconfitte più cocenti della democrazia.
Nel marzo 2015 fu costretto a dimettersi da Ministro delle infrastrutture. Il tritacarne mediatico-giudiziario non gli aveva lasciato scampo. Maurizio Lupi, lui come tanti altri, prima e dopo quella data, rimase vittima di una giustizia smaniosa di usare la ghigliottina e di guadagnare le prime pagine dei giornali.
Anche nel suo caso è finito tutto in una bolla di sapone. Lupi fu accusato per una intercettazione interpretata male. Ecco perché il Procuratore aggiunto di Milano, Eugenio Fusco e il pm Carlo Scalas hanno chiesto e ottenuto l’archiviazione di tutti gli otto indagati di uno stralcio dell’inchiesta Grandi opere, trasmessa nel 2016 per competenza dalla Procura di Firenze.
In quell’inchiesta, peraltro, Lupi non era indagato. Tuttavia, pressato dai media e dall’allora premier Matteo Renzi, che non vedeva l’ora di liberarsene, fu costretto a uscire di scena. Cuore dell’inchiesta era una ipotizzata turbativa d’asta da 25 milioni a fine 2013 nell’aggiudicazione alla Sic-Società italiana costruzioni dei lavori in Expo 2015 per Palazzo Italia. Emerse il nome dell’allora esponente del Nuovo centrodestra di Angelino Alfano poiché il gip nell’ordinanza citò anche un Rolex e un abito sartoriale che gli sarebbero stati regalati per ingraziarselo. Nelle carte dell'inchiesta, il suo nome compariva due volte, in relazione a suo figlio Luca: per una telefonata con Incalza (“deve venirti a trovare mio figlio”, diceva il ministro) e per un Rolex da diecimila euro regalato da un indagato a suo figlio per la laurea.
Lupi si dimise anche per evitare che il fango mediatico travolgesse suo figlio e la sua famiglia. Ora gli rimane più che altro tanta amarezza. Il suo è l’ennesimo caso di gogna mediatico-giudiziaria che finisce per condizionare la vita politica e quella delle istituzioni rappresentative. «Quando l'inchiesta venne alla luce –dichiara- finì su tutte le prime pagine, sembrava che avessero scoperto una nuova Cupola, mi ricordo anche la puntata di Report ...Invece quando hanno archiviato tutto ne ha parlato solo il Corriere fiorentino. Ma così va il mondo”.
Certo si sa che è così. Le notizie eclatanti vengono sparate in prima pagina, ma quando si rivelano delle bufale vengono occultate nelle pagine interne o addirittura ignorate. Il sensazionalismo è quello della condanna, per compiacere il popolo a caccia di capri espiatori. Quando invece la situazione si rivela molto diversa da come appariva all’inizio, la gente nel frattempo si è dimenticata e nell’agenda dei temi da affrontare i giornali e gli altri media virano su altro.
Intanto, però, il calvario di una persona e della sua famiglia non è risarcibile, non solo in termini di carriera politica ma anche di lesione reputazionale e di immagine.
Fa sorridere in questo caso anche la reazione di Matteo Renzi, su Facebook. All’epoca era premier e fu tra quelli che costrinse Lupi a lasciare il dicastero perché non voleva che ad essere trascinato nel vortice delle polemiche fosse l’intero esecutivo. Oggi, per ottenere il palcoscenico, ribadisce solidarietà allo stesso Lupi. Un capolavoro di cinismo politico quello dell’ex sindaco di Firenze, che nel 2016, va sempre ricordato, annunciò che avrebbe lasciato la politica in caso di sconfitta al referendum costituzionale del 4 dicembre, salvo poi cambiare idea ed essere incredibilmente oggi l’ago della bilancia di un esecutivo giallorosso.
«Maurizio Lupi – scrive Matteo Renzi su Facebook – era il ministro delle Infrastrutture nel mio governo. I giornali pubblicarono sue intercettazioni e in molti gridarono allo scandalo. Lupi era totalmente estraneo alla vicenda ma decise di dimettersi lo stesso anche per assicurare tranquillità alla sua famiglia che venne gettata nel tritacarne mediatico. Dissi pubblicamente che ero fiero di aver lavorato con Lupi, che gli esprimevo la mia vicinanza e che il tempo gli avrebbe reso giustizia. Oggi scopriamo che l’indagine nella quale Lupi venne intercettato, indagine aperta allora dalla procura di Firenze, finisce con l’archiviazione. Non troverete questa notizia in evidenza nei gazzettini del giustizialismo italiano, nei talk show, sui social, no. Tutti fingono di aver dimenticato l’onda di piena dell’odio sui social, le sentenze su Twitter, le aggressioni verbali. Tutti oggi fischiettano facendo finta di nulla davanti all’ennesimo scandalo che scandalo non era. A distanza di quattro anni rinnovo a Maurizio la mia stima e la mia amicizia. E spero che questa vicenda aiuti tutti a riscoprire il senso della parola garantismo. Un abbraccio doppio a tutta la famiglia Lupi», ha concluso Renzi.
Parole che non fanno una grinza, ma che provengono da chi, all’epoca, non difese per nulla Lupi e oggi invoca il garantismo solo perché si trova in imbarazzo per le inchieste che riguardano i suoi genitori.
Le accuse a Lupi apparvero subito risibili. Tutto si basava su una intercettazione di Stefano Perotti, uno degli indagati, sugli appalti per il Palazzo Italia di Expo 2015: frasi che per i pm fiorentini erano la prova di un'asta truccata, e che invece i loro colleghi milanesi interpretano nel modo opposto. La vicenda Lupi è l’occasione per tornare a riflettere sul barbaro uso dello strumento delle intercettazioni e sul cortocircuito che in Italia spesso si crea tra giustizia e informazione. La selezione politica la fa sempre più spesso il duo Procure-mezzi di informazione ed è questa una delle sconfitte più cocenti della democrazia. Chiamasi circo mediatico-giudiziario.