Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Santa Cecilia a cura di Ermes Dovico
L'ESORTAZIONE DEL PAPA

Ansia di dottrina? Almeno conoscere il Catechismo...

L'esortazione del Papa ai giovani e l'ansia da dottrina. Non bisogna separare la dottrina dalle esperienze di vita. Ma è decisivo orientarsi tra certezza e ipotesi, tra assoluto e relativo, altrimenti i giovani con poche nozioni diventeranno dei fondamentalisti. Il Catechismo ha il merito di condensare il tutto. Conoscerlo aiuta a valutare il mondo sotto una luce cristiana. Il giovane che strimpella accordi scritti sotto le parole non sa leggere la musica. Al massimo andrà a Sanremo, ma non diventerà mai musicista.

Ecclesia 05_04_2019

«(...) scarso cervello, scarsa morale, spaventosa / chiaroveggenza: è il vero figlio del tempo nostro». Così Guido Gozzano († 1916) in Totò Merùmeni descrive se stesso, in realtà barando al gioco perché era tutt’altro che “scarso cervello”, dal momento che il titolo della poesia è una voluta storpiatura di Heautontimorùmenos, una commedia di Terenzio († 159 a.C.), storpiatura che permette ai dotti di capire lasciando i burini a ridere fuori della porta. Leggendo l’invito: «Plachiamo l’ansia di trasmettere una gran quantità di contenuti dottrinali» nella formazione cristiana dei giovani (Romano Pontefice Francesco I, Esortazione apostolica Christus vivit del 25.3.2019, n. 212), mi sono venuti in mente i versi di Gozzano, solo che a “scarsa morale” ho sostituito “scarsa dottrina”, generalmente di sicuro effetto per assicurare una conseguente “scarsa morale”. Il rischio - non l’intenzione - è che questo sia il tipo di giovane che salta fuori da una formazione del genere.

In realtà non si può valutare un documento a partire da una frase e nel contesto la frase non solo sta in piedi, ma è pienamente accettabile. Infatti prosegue così: «E, soprattutto, cerchiamo di suscitare e radicare le grandi esperienze che sostengono la vita cristiana». L’invito esorta dunque a non separare la dottrina dall’esperienza di vita, in primis - questo lo dico io anche se lì non è scritto - l’intensità della preghiera liturgica e personale. Può infatti accadere che «dopo aver provocato nei giovani un’intensa esperienza di Dio, un incontro con Gesù che ha toccato il loro cuore, vengono loro proposti incontri di “formazione” nei quali si affrontano solo questioni dottrinali e morali: sui mali del mondo di oggi, sulla Chiesa, sulla dottrina sociale, sulla castità, sul matrimonio, sul controllo delle nascite e su altri temi. Il risultato è che molti giovani si annoiano, perdono il fuoco dell’incontro con Cristo e la gioia di seguirlo, molti abbandonano il cammino e altri diventano tristi e negativi». Si può discutere sulla esemplificazione degli argomenti, ma è vero che l’accrescimento dottrinale per essere armonico deve inserirsi in una intensità di vita: «Tra i dogmi e la nostra vita spirituale c’è un legame organico» (CCC 89).

La frase in oggetto - come altre del Romano Pontefice Francesco I - rischia tuttavia di essere strumentalizzata isolandola dal contesto con una ermeneutica e una prassi indebite. Per questa ragione è opportuno cercare di capire che cosa potrebbe significare avere pochi o non troppi contenuti dottrinali in testa e non affliggere i giovani - solo loro? - ad averne troppi.

Limitarsi ad avere in testa e nel cuore contenuti brevi è una condizione cristiana che vanta un certo numero di testimonianze e che san Tommaso d’Aquino ha ribadito: «Il Verbo dell’eterno Padre, che nella sua immensità comprende in sé tutte le cose, per richiamare all’altezza della gloria divina l’uomo danneggiato dai suoi peccati, volle farsi breve assumendo la nostra brevità e non deponendo la sua maestà. E perché nessuno fosse scusato da comprendere e far propria la dottrina della parola celeste, a vantaggio di quanti sono occupati (propter occupatos) rinchiuse la dottrina dell’umana salvezza in un breve compendio, proprio quella stessa dottrina che per gli studiosi aveva trasmesso diffusamente e con chiarezza nei diversi volumi della santa Scrittura» (Compendium Theologiae I,1). Da quel che segue si evince anche che Gesù ha compendiato la preghiera in una formula breve - il Padre nostro - e ha rinchiuso l’attività morale nel precetto dell’amore. Dunque per essere buoni e santi cristiani basta poco e non è necessario laurearsi alla Facoltà Teologica di Milano: se così fosse dovremmo ripetere l’angosciata domanda dei discepoli a Gesù: «Allora, chi può essere salvato?» (Mt 19,25).

Nasce però la domanda: se evitiamo una grande quantità di contenuti, quali scegliere e quali trasmettere nella formazione dei giovani e di tutti i cristiani? Che cosa sono il non troppo o il poco? Difficile stabilirlo, ma i criteri potrebbero essere tre.

1. La tendenza alla completezza, cioè pochi contenuti ma che assicurino l’integrità d’insieme del dato cristiano. E qui cominciano le difficoltà perché se si pensa al Credo nicenocostantinopolitano, questo testo non accenna all’Eucaristia (era funzionale ad assimilare le verità per accedervi). E poi si possono ignorare gli ultimi due dogmi mariani dell’Immacolata e dell’Assunta? Dunque il Credo più queste “cosette”. L’Esortazione apostolica cerca di formulare alcuni contenuti brevi in questo senso dal n. 112 in avanti: “Un Dio che è amore. Cristo ti salva. Egli vive. Lo Spirito dà vita”. Tuttavia il Credo è più breve, molto più breve...

2. Ciò che tocca più da vicino la persona in situazione, nel senso che, se ci si pone dal punto di vista giovanile, un giovane deve sapere qualcosa sulla vocazione e sul senso della vita e su come operare cristianamente scelte che lo determineranno. Deve poi avere un punto luminoso e semplicissimo sulla castità: l’attuazione delle facoltà sessuali è lecita solo all’interno di un matrimonio sacramentalmente valido, negli altri casi MAI. Certo è un contenuto inferiore alle altezze del Credo, ma se si vacilla qui, pezzo per pezzo comincia a cascare tutto il resto.

3. Qualche luce sul contesto culturale e sociale. I tempi cambiamo e lo sviluppo della scienza nonché della civiltà pone situazioni nuove che bisogna saper cristianamente valutare quali potrebbero essere oggi l’economia, la bioetica, i fenomeni migratori ecc. In realtà la lista degli argomenti del n. 212 tocca proprio alcuni punti caldi di oggi. Il Romano Pontefice Francesco I afferma che sono troppi e noiosi (mi astengo da commenti), ma di fatto nell’insieme ne propone altri come la categoria spirituale di migrazione. Dunque non elimina l’elenco, ma ne riformula gli argomenti.

Per quanto siano pochi, i contenuti di cui sopra sono soggetti ad un altro criterio: un giovane cristiano (anche un adulto e un vecchio) deve saper valutare il grado di certezza e di assolutezza - e per contro il grado di ipotesi e relatività - delle nozioni formative cristiane che possiede. Così deve sapere che non si può mettere in discussione che il mondo è creato da Dio, che Dio è Trinità, che il Figlio è “della stessa sostanza” del Padre, che... mai sesso fuori del matrimonio ecc. Mentre sono relative certe scelte pratiche: ad esempio, se è assoluto che le nazioni ricche devono essere cristianamente aperte a condividere e ad aiutare quelle più povere e a praticare l’accoglienza, nel concreto sui metodi le scelte sono relative e politiche e non una sola, quand’anche fosse sponsorizzata da ecclesiastici. È decisivo, per la maturità, rendersi conto di questa oscillazione tra certezza/ipotesi, assoluto/relativo, altrimenti i giovani con poche nozioni diventeranno dei fondamentalisti.

In pratica tutto sarebbe risolto tornando alla vecchia ricetta: conoscere il Catechismo senza troppo selezionarne i contenuti e senza fissarsi sul “pochi/tanti”, in quanto il Catechismo stesso, oltre che alla completezza, educa anche a distinguere l’assoluto dal relativo, a perseguire l’unità della comunione ecclesiale e a lasciar convivere la pluralità delle scelte concrete.

C’è ancora un equivoco da chiarire: a volte i contenuti vengono tutti relativizzati o ridotti al nulla perché... basta l’amore. “Ama e fai pure quello che vuoi”, si ripete citando a braccio sant’Agostino. Ora ricordo che sant’Agostino, nel Commento alla prima lettera di Giovanni 7,8-11 usa questa espressione per affermare che se il padrone di casa decide di percuotere il figlio o i servi (sì, anche i servi!) per correzione, lo deve fare per amore, tenendo conto che «se poni mente alle persone, la carità colpisce, l’iniquità blandisce» (7,8); e ancora: «non credere di amare il tuo servo, per il fatto che non lo percuoti; oppure che ami tuo figlio, per il fatto che non lo castighi» (7,11). Dunque l’amore non basta e non è vero che l’unica verità è amarsi, anche se tutto quello che facciamo e pensiamo deve sempre radicarsi nella carità. Essere ricchi di amore non dispensa dal sapere quando bisogna intervenire e punire oppure lasciar perdere, non dispensa dal conoscere la natura delle cose e delle persone per collaborare al disegno di Dio senza stravolgerlo (gender), non dispensa dal conoscere il Catechismo ecc.

Concludiamo: di certo secondo il citato n. 212 dell’Esortazione apostolica la crescita dei giovani è insidiata da troppi argomenti che rischiano di annoiarli, per cui diminuiamo gli argomenti mantenendoli sempre in sinergia con un vissuto forte. Però non si può non procedere a una valutazione del mondo attuale in luce cristiana.

Però le esperienze forti non sono solo emozionali e intense: è “forte” anche andare avanti nell’aridità e nelle difficoltà.

Però la riduzione dei contenuti formativi nozionali va mantenuta aperta a un cammino di ulteriore intenso approfondimento per chi può e anzi bisogna far risaltare il fascino di tale cammino. Il che vale a livello tecnico e, tanto per fare un esempio, altro è un giovane che sa strimpellare accordi scritti sotto le parole e altro è un giovane che sa leggere la musica: il secondo potrà diventare un musicista, il primo al massimo arriverà a Sanremo. Nel caso poi di Dio si tratta di conoscere meglio Colui che si ama e dal quale si è amati. San Tommaso d’Aquino all’inizio della Contra Gentiles (I,II,8) scrive che lo studio della sapienza (di Dio) «è il più perfetto perché anticipa la beatitudine eterna, il più sublime perché rende partecipi della similitudine e dell’amicizia di Dio, il più utile perché con esso si giunge al regno eterno, il più giocondo perché in esso non c’è amarezza» e certo... non annoia. Roba da medioevo? Per qualcuno sì. Invece c’è da augurarsi che ci siano molti giovani che desiderino avventurarsi su questa strada e senza la paura di troppi contenuti dottrinali.