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Jihad

Ancora lontana la verità sugli attentati del 2019 nello Sri Lanka

Ancora lontana la verità sugli attentati del 2019 nello Sri Lanka

Il 21 aprile del 2019, giorno di Pasqua, nove jihadisti suicidi fecero scoppiare delle bombe in tre chiese gremite di fedeli, due cattoliche e una evangelica, e in tre alberghi della capitale dello Sri Lanka, Colombo. Morirono da 250 a 290 persone, i feriti furono centinaia. Gli attentati vennero rivendicati dal National Thwwheed Jamaat, un gruppo jihadista locale affiliato all’Isis, lo Stato Islamico. Le indagini avevano subito portato a ritenere che i servizi segreti fossero stati informati da colleghi indiani della minaccia e fossero quanto meno colpevoli di negligenza. Ulteriori indagini svolte da una commissione d’inchiesta incaricata di accertare i fatti avevano portato nel 2021 ad accusare alcuni alti funzionari della polizia, dell’intelligence e della difesa e l’allora presidente del paese, Maithripala Sirisena, di grave negligenza per non aver cercato di impedire gli attentati. Adesso però, inaspettatamente, l’attuale presidente, Ranil Wickremesinghe, ha annunciato l’istituzione di una nuova commissione d’inchiesta, una iniziativa che la Chiesa cattolica del paese ha denunciato come una mossa dilatoria, l’ennesima, per non arrivare alla verità. “La nuova commissione è guidata dal giudice in pensione A. N. J. de Alwis – ha dichiarato durante la conferenza stampa tenutasi nei locali della diocesi padre Cyril Gamini Fernando, portavoce dell’arcivescovo di Colombo Albert Malcolm Ranjith Patabendige Don – ma si tratta di un’inutile perdita di tempo. Il governo dovrebbe semplicemente attuare le raccomandazioni avanzate dalla precedente commissione presidenziale, guidata dal giudice della Corte Suprema Janak de Silva”. Padre Gamini, riporta l’agenzia di stampa AsiaNews, ha messo in dubbio, in particolare, la logica che sta dietro alla decisione di affidare alla nuova commissione il riesame della condotta dello State Intelligence Service e del Chief of National Intelligence. Nel gennaio dello scorso anno, infatti, la Corte Suprema aveva già ordinato ai vertici di queste due istituzioni – Nilantha Jayewardena e Sisira Mendis – il pagamento di un risarcimento rispettivamente di 75 milioni e 10 milioni di rupie. Altre indagini sono superflue, sostiene la Chiesa  “Che cosa c’è da indagare ancora? – domanda padre Gamini – il governo esamini piuttosto che cosa hanno fatto di quelle raccomandazioni i leader che si sono succeduti nel Paese da allora”.