Anche la dittatura del relativismo è una povertà
Ai diplomatici accreditati presso la Santa Sede, papa Francesco ha ricordato che la povertà è anche spirituale oltre che materiale. E che la pace non è possibile escludendo Dio: per costruire ponti tra gli uomini «è fondamentale il ruolo della religione».
Il 22 marzo Papa Francesco ha ricevuto il Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede per quello che ha definito un primo «scambio di saluti, semplice ma nello stesso tempo intenso, che vuole essere idealmente l’abbraccio del Papa al mondo». L'incontro è stato occasione di importanti precisazioni sulla nozione di povertà cui il nuovo Pontefice ha fatto già diverse volte cenno, che non è solo materiale ma è anche spirituale, e in questo secondo significato deriva dalla dittatura del relativismo e dal tentativo di escludere Dio dalla storia.
Le relazioni diplomatiche che tanti Paesi intrattengono con la Santa Sede, ha detto il Pontefice - quasi tagliando corto su tante polemiche in materia di diplomazia vaticana - sono «un’occasione di bene per l’umanità. È questo, infatti, che sta a cuore alla Santa Sede: il bene di ogni uomo su questa terra!». Per questo il Papa spera di «intraprendere un cammino con quei pochi Paesi che ancora non intrattengono relazioni diplomatiche con la Santa Sede, alcuni dei quali - li ringrazio di cuore - hanno voluto essere presenti alla Messa per l’inizio del mio ministero, o hanno inviato messaggi come gesto di vicinanza».
Papa Francesco ha poi offerto agli ambasciatori quelle che appaiono già come alcune linee-guida del suo pontificato. Anzitutto, il riferimento al nome scelto «pensando a Francesco di Assisi [1182-1226], una personalità che è ben nota al di là dei confini dell’Italia e dell’Europa e anche tra coloro che non professano la fede cattolica». La devozione al santo di Assisi nasce, ha detto il Papa, da diversi motivi, ma certo «uno dei primi è l’amore che Francesco aveva per i poveri». Alcuni degli ambasciatori rappresentano Stati che hanno relazioni non facili con la Chiesa ma almeno il Pontefice spera che «possiate constatare la generosa opera di quei cristiani che si adoperano per aiutare i malati, gli orfani, i senzatetto e tutti coloro che sono emarginati, e che così lavorano per edificare società più umane e più giuste».
Ma, ha detto Papa Francesco con una precisazione molto importante per intendere bene il suo costante richiamo ai poveri, «c’è anche un’altra povertà! È la povertà spirituale dei nostri giorni, che riguarda gravemente anche i Paesi considerati più ricchi. È quanto il mio Predecessore, il caro e venerato Benedetto XVI, chiama la “dittatura del relativismo”, che lascia ognuno come misura di se stesso e mette in pericolo la convivenza tra gli uomini». Ecco dunque «una seconda ragione del mio nome. Francesco d’Assisi ci dice: lavorate per edificare la pace! Ma non vi è vera pace senza verità! Non vi può essere pace vera se ciascuno è la misura di se stesso, se ciascuno può rivendicare sempre e solo il proprio diritto». Non c'è pace nella dittatura del relativismo.
«Uno dei titoli del Vescovo di Roma - ha continuato Papa Francesco - è Pontefice, cioè colui che costruisce ponti, con Dio e tra gli uomini. Desidero proprio che il dialogo tra noi aiuti a costruire ponti fra tutti gli uomini». Ponti che partono dalla sua stessa esperienza, che il Papa ha voluto ricordare: una famiglia italiana, una vita spesa nella lontana Argentina.
Anche qui, però, subito è stata offerta una precisazione importante: per costruire ponti «è fondamentale anche il ruolo della religione. Non si possono, infatti, costruire ponti tra gli uomini, dimenticando Dio», così come «non si possono vivere legami veri con Dio, ignorando gli altri». Questa seconda affermazione inquadra il dialogo con le altre religioni e culture nella cornice del bene comune, e in questo senso il Papa ha salutato nuovamente i musulmani e i non credenti.
«Lottare contro la povertà sia materiale, sia spirituale; edificare la pace e costruire ponti».
E un terzo punto:«il nome di Francesco insegna un profondo rispetto per tutto il creato, il custodire questo nostro ambiente, che troppo spesso non usiamo per il bene, ma sfruttiamo avidamente a danno l’uno dell’altro». Tre linee guida del pontificato, in continuità con Benedetto XVI - cui anche il tema ecologico non era affatto estraneo - ma con lo stile personalissimo e caloroso del Papa argentino.