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LA SENTENZA SUL MARE DI RIMINI

Anche i luoghi possono "sentirsi" diffamati sui social

La condanna del turista che ha apostrofato la costa riminese come mare di m... Se fino a vent’anni fa o anche meno essere offesi on line comportava danni difficilmente sanabili a causa delle numerose falle giuridiche, che impedivano ai soggetti lesi di far valere le proprie ragioni, oggi la giurisprudenza può considerarsi consolidata.

Attualità 24_11_2020

La tutela dei diritti in Rete si muove su un terreno assai scivoloso e non è sempre facile affermare principi uniformi, considerata la vasta tipologia di condotte illecite e l’enorme capacità diffusiva di alcuni strumenti, in particolare i social network.

Capita spesso, infatti, di imbattersi in contenuti di dubbia correttezza e diventa difficile frenarne la diffusione e condivisione, visto che nelle piazze virtuali tutto è pubblico e i meccanismi di imputabilità non sono ancora sufficientemente collaudati.

Tuttavia il diritto dell’informazione ha approntato una serie di rimedi sempre più efficaci che consentono ai singoli, alle imprese, alle formazioni sociali di tutelare i propri diritti, in particolare quello all’onore e alla reputazione.

Se fino a vent’anni fa o anche meno essere offesi on line comportava danni difficilmente sanabili a causa delle numerose falle giuridiche, che impedivano ai soggetti lesi di far valere le proprie ragioni, oggi la giurisprudenza può considerarsi consolidata.

Lo dimostrano le numerosissime sentenze che puniscono i responsabili del reato di diffamazione on line applicando l’art.595 del codice penale, in particolare il terzo comma che prevede la circostanza aggravante per i contenuti veicolati “con altro mezzo di pubblicità” (diverso dalla stampa).

Nel solco di tale orientamento giurisprudenziale si inserisce una recentissima decisione del Tribunale di Rimini, che ha punito un post caustico di un turista milanese quarantenne pubblicato oltre un anno fa (agosto 2019) sulla pagina Facebook di un giornale di Rimini.

I giudici riminesi hanno emesso un decreto di condanna penale per il reato di diffamazione a mezzo social network a carico di un cosiddetto “leone da tastiera”: la condanna è a un mese di reclusione convertita in pena pecuniaria (risarcimento di 1.225 euro più spese legali). La querela era stata presentata da Federalberghi Rimini, in rappresentanza di tutti gli operatori turistici riminesi che si erano sentiti diffamati da quel post. Ora il condannato ha quindici giorni per poter contestare il provvedimento e chiedere che venga celebrato il processo a porte aperte per poter respingere le accuse e far valere le proprie ragioni.

Nelle semplificazioni giornalistiche sembrava che l’autore del post avesse semplicemente apostrofato il mare di Rimini come “mare di m….”, usando un’espressione volgare e colorita volta a criticare la scarsa qualità delle acque marine della Riviera Romagnola. Fosse stato solo quello, sarebbe stato forse eccessivo un provvedimento di condanna, considerata la facilità con la quale insulti smodati e scurrili riempiono le bacheche virtuali di tantissimi organi di informazione, venendo comunemente catalogati come sproloqui ormai privi di credibilità.

Nel caso di specie c’è di più. Con parole volgari e inopportune, nel post vengono attaccati gli operatori turistici locali, dipinti come degli approfittatori, come dei “porci arraffoni”, dei “fannulloni”, che «vogliono arricchirsi a spese dei turisti lavorando solo tre mesi all’anno e sfruttando un mare inquinato, un mare di m…, un mare che sarebbe in realtà una “fogna”!».

Non è stato quindi espresso solo un giudizio di pancia a partire dalla percezione della qualità del mare del luogo, ma in quel post si è messa nel mirino «un’intera categoria di imprenditori turistici (gli albergatori), aggredita con frasi volgari e diffamatorie, che danneggiano non solo la categoria stessa, ma l’intera economia turistica del territorio riminese» (si legge nella querela presentata da Federalberghi Rimini tramite il legale Maurizio Ghinelli).

Questo va precisato perché altrimenti potrebbe insinuarsi il dubbio di una censura inopportuna, di una improvvida limitazione della libertà di manifestazione del pensiero in Rete. Invece in questo caso si parla davvero di lesione gratuita dell’onore e della reputazione di una categoria e della dignità di migliaia di lavoratori che nella Riviera Romagnola portano avanti la macchina della ricettività alberghiera e turistica.

Ecco perché non hanno nascosto la loro soddisfazione per il provvedimento del Tribunale di Rimini il sindaco, Andrea Gnassi e la Presidente di Federalberghi Rimini, Patrizia Rinaldis. Per il primo cittadino la sentenza «è da rimarcare perché tutela la comunità riminese, i suoi operatori turistici, l’amministrazione comunale, che sul risanamento ambientale hanno investito e stanno investendo come nessun altro nel Paese. Quindi, adesso, giù il cappello e rispettate il nostro mare». La Presidente degli albergatori ha invece tenuto a sottolineare che «con la querela non volevamo rivendicare soldi e risarcimenti ma ribadire che qui non tolleriamo che venga colpita la dignità della comunità e dei lavoratori» e ha aggiunto: «La presa di posizione del Tribunale dovrebbe mettere un freno all'utilizzo veramente improprio dei social e ai danni che a città che vivono di turismo possono dare. Ma questo vale per tutto: sui social la libertà di parola e di pensiero non deve andare a ledere la dignità delle persone dei luoghi, dei territori. Sono state usate parole offensive».