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Giubileo

Amnistia e indulto, il richiamo del Papa è trascendente

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Nella Spes non confundit, Francesco ha invitato i governi a concedere forme di amnistia o indulto per restituire speranza ai detenuti, fondandosi su quanto dice la Bibbia sul giubileo. Un gesto che richiama quanto accade al peccatore toccato dalla grazia di Dio.

Editoriali 30_12_2024 English Español
Papa Francesco nel carcere di Rebibbia, 26-12-2024 (Vatican Media - LaPresse)

Com’è noto, papa Francesco ha varcato la Porta Santa del carcere romano di Rebibbia in occasione dell’apertura del Giubileo del 2025. Nella bolla pontificia, dal titolo Spes non confundit, con cui ha indetto il Giubileo, Francesco, in merito ai detenuti, scrive: «Propongo ai Governi che nell’Anno del Giubileo si assumano iniziative che restituiscano speranza; forme di amnistia o di condono della pena volte ad aiutare le persone a recuperare fiducia in sé stesse e nella società; percorsi di reinserimento nella comunità a cui corrisponda un concreto impegno nell’osservanza delle leggi».

Il richiamo ha necessariamente carattere universale, è cioè rivolto ai governi di tutto il mondo. Per venire a noi, nel nostro ordinamento esistono proprio i due istituti indicati dal Sommo Pontefice, l’amnistia e l’indulto. L’amnistia (art. 151 del Codice penale e art. 79 della Costituzione) estingue il reato. Invece l’indulto (art. 174 Cp) condona in tutto o in parte la pena inflitta oppure la commuta in un’altra specie di pena. Infine, abbiamo la grazia (art. 174 Cp e art. 87 Cost.) che, potremmo dire, è come un indulto, ma ha valore particolare, ossia riguarda un solo soggetto o più soggetti, ma non tutti i rei. Quindi, in estrema sintesi: l’amnistia cancella il reato, l’indulto e la grazia non cancellano il reato, ma solo la pena, in tutto o in parte.

Gli ordinamenti giuridici che si sono dotati di questi strumenti di clemenza si avvalgono di tali misure in genere per i reati minori e per i più diversi motivi: allentare la tensione sociale e quindi comunicare segni di distensione, riconoscere che una certa condotta non è più considerata a livello sociale penalmente rilevante, svuotare le carceri perché sovraffollate, etc.

La prospettiva del Papa è invece giustamente differente e ha natura trascendente. Continua infatti così la bolla citata sopra: l’invito a concedere l’amnistia o l’indulto «è un richiamo antico, che proviene dalla Parola di Dio e permane con tutto il suo valore sapienziale nell’invocare atti di clemenza e di liberazione che permettano di ricominciare: “Dichiarerete santo il cinquantesimo anno e proclamerete la liberazione nella terra per tutti i suoi abitanti” (Lv 25,10). Quanto stabilito dalla Legge mosaica è ripreso dal profeta Isaia: “Il Signore mi ha mandato a portare il lieto annuncio ai miseri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri, a promulgare l’anno di grazia del Signore” (Is 61,1-2)».

La liberazione dei condannati per un atto di grazia dei governanti è, potremmo così esprimerci, la fotocopia di ciò che accade al peccatore toccato dalla grazia di Dio che viene scarcerato dalla prigione del male perché liberato dal Salvatore. Questa è la speranza del credente e l’anno giubilare è dedicato proprio a questa virtù teologale: nessun peccato, per quanto gravissimo, può condannarci per sempre, purché ci sia il nostro pentimento. Finché siamo in vita c’è la possibilità di un riscatto: Cristo non cancella il reato – l’assassinio, il furto, la menzogna rimangono sempre atti malvagi – ma condona la pena perché espiata da Lui in croce. A noi tocca, seppur in misura minima, partecipare a tale espiazione qui in terra o in Purgatorio, così come ricorda san Paolo: «Completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa» (Col 1,24). Cristo dunque non fa sconti sul male, ma, se noi glielo permettiamo, può farlo sulla sanzione. Senza il Suo sacrificio saremmo stati tutti condannati nell’aldilà all’ergastolo. Ossia: fine pena, mai.

La liberazione dei condannati richiesta dal Pontefice diventa quindi, da una parte, invito concreto per attuare un gesto di equità giuridica che non entra in contraddizione con la virtù della giustizia perché, volendo cogliere la ratio più profonda di questi atti di benevolenza, il reo deve essere meritorio dell’atto di clemenza e dunque deve mostrare di aver già espiato in qualche modo la colpa. Su altro fronte, la scarcerazione dei detenuti diviene simbolo efficace perché potente nel richiamare la condizione di noi tutti, imprigionati nella morsa del peccato e bisognosi che la giustizia divina si chini su di noi mostrandoci il suo volto misericordioso per riscattarci, per risorgere grazie a Cristo a vita nuova, per essere reinseriti non semplicemente nel consesso civile, come potrebbe accadere per gli ex detenuti, ma nella comunità dei santi.

Dunque, l’invito del Papa da particolare assurge a categoria teologica, abbracciando tutta l’umanità e diviene una richiesta a Dio perché sia clemente con noi, aprendo le porte delle nostre celle, aprendoci alla speranza.



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