Ambrogio, il maestro che guidò Agostino alla Bellezza
Anno 384 d.C., Agostino arriva a Milano grazie all’aiuto del pagano Quinto Aurelio Simmaco che vorrebbe opporlo ad Ambrogio. Ma sarà proprio il santo vescovo celebrato oggi, saldo nella fede in Gesù Cristo e grande conoscitore delle Scritture, a guidare Agostino a scoprire quella “Bellezza tanto antica” che il giovane filosofo non era ancora riuscito a trovare.
Chiesa di San Marco, a Milano. Nel presbiterio, vicino all’altare neoclassico, sulle pareti laterali vi è un grande affresco, eloquente, magnifico per colori e forme: è la “Disputa di Sant’Ambrogio e Sant’Agostino” (1618), eseguito da Camillo Procaccini. In quelle figure, in quei personaggi un intero universo teologico, potremmo quasi dire. La raffigurazione pittorica ci parla della disputa nata dal diverso approccio di Ambrogio e Agostino verso la lettura delle Sacre Scritture. Se, infatti, Agostino era un manicheo e interpretava le Scritture solo “alla lettera”, Ambrogio spiegava che queste possono anche essere lette in forma allegorica.
L’“incrocio” dei due giganti della fede è una testimonianza di una Chiesa salda nella Tradizione dei Padri. Guardare a loro è come guardare alle proprie origini. Agostino e Ambrogio: l’uomo alla ricerca “della Bellezza tanto antica” e l’uomo della strenua difesa di Cristo. È l’Ambrogio, saldo nella fede, che scrive simili forti parole che potrebbero bene - nel nostro presente - prendere le prime pagine dei quotidiani: “Perciò impara anche tu a levare la tua voce per Cristo, quando feroci lupi ne assaltano l’ovile, impara a tener pronta nella tua bocca la parola, perché non sembri che tu, come un cane muto mantenendo un silenzio imputabile a tradimento, abbia abbandonato il posto di guardia affidato alla tua fedeltà”.
Ambrogio, dottore della Chiesa, certo. Ma soprattutto vescovo di Milano. Città immensa, ricca di storia e fede. E, sempre la metropoli meneghina, compare come “circostanza” (non di poco conto, certamente) per il battesimo di Agostino. Quello stesso Ambrogio che sarà cardine per la vita del santo di Ippona: “Rigator meus”, lo chiamerà. Ambrogio è maestro. Ambrogio vive un periodo travagliato dell’Impero romano, percorso da correnti di pensiero diverse e con rigurgiti di paganesimo. Il santo del 7 dicembre, in tutto questo panorama, si palesa come baluardo estremo del Cristianesimo contro ogni avversità.
Le biografie dei due santi si intersecano, si in-crociano. È necessario scriverlo staccato: in-crociano, perché nella Croce entrambi trovano la loro vocazione. Croce vuol dire per loro soprattutto scrittura e studio, insegnamento. E se Ambrogio - nelle sue famose prediche - affascinerà Agostino, sarà proprio grazie alla sua arte oratoria. Agostino veniva da studi giuridici e non poteva non rimanere colpito dalla “favella” e - soprattutto - dal “contenuto” di queste “orazioni cristiane” che Ambrogio elargiva al popolo di Dio milanese. Agostino trovò semplicemente in Ambrogio quello che cercava: la fede in Gesù Cristo, cioè la gioia piena e l’appagamento totale che aveva sempre cercato. Agostino - grazie ad Ambrogio proprio - riesce a trovare la “Bellezza tanto antica”, amata tardi. Ma - ed è l’importante - raggiunta, amata.
Il battesimo di Agostino avviene nella notte di Pasqua del 387 dopo Cristo. Quella solenne liturgia si inserisce in un panorama delicato che Ambrogio, vescovo, stava vivendo: è un evento che si incastra sul crinale di due epoche. Da una parte vi era un mondo antico sullo stato del collasso, con l’Impero in fase di sgretolamento tra congiure di palazzo e guerre; dall’altra parte vi era un mondo “nuovo” che si affacciava, tra trasformazioni sociali ed economiche.
Nel 384, grazie all’aiuto del prefetto di Roma Quinto Aurelio Simmaco, su raccomandazione dei manichei, Agostino era riuscito ad ottenere la cattedra di retorica a Milano, “metropoli” di circa 130.000 abitanti, sede della corte imperiale della Dinastia Valentiniana. Agostino, come funzionario pubblico, incontra il vescovo Ambrogio per una visita di cortesia. Ambrogio lo accoglie con affetto e gentilezza. Sarà il primo di una serie di incontri tra Agostino, che era non credente, e il “suo” vescovo. È l’inizio dell’inizio (il gioco di parole diviene quasi spontaneo) dell’Agostino credente, del fedele, del “ricercatore di Verità”. “Qui incontrai - scrive Agostino - il vescovo Ambrogio, noto a tutto il mondo come uno dei migliori”, così scrive Agostino nelle sue Confessioni al capitolo 5. Nulla più.
Il grande merito di Ambrogio, “esperto conoscitore degli insegnamenti cattolici” (Confessioni, capitolo 6) è quello di aver ridato fiducia ad Agostino: gli prospetta spazi enormi e possibilità inesplorate di ricerca dopo le deludenti esperienze intellettuali manichee di Cartagine e Roma. Artefice indiscusso di questo passaggio cruciale esistenziale e di fede del futuro vescovo di Ippona è proprio Ambrogio. È lui a divenire per il giovane un punto di riferimento. Sempre nel capitolo quinto delle Confessioni, Agostino ci descrive così gli incontri con il maestro Ambrogio: “Frequentavo assiduamente le sue istruzioni pubbliche non però mosso dalla giusta intenzione: volevo piuttosto sincerarmi se la sua eloquenza meritava la fama di cui godeva, ovvero ne era superiore o inferiore (...). La soavità della sua parola mi incantava. Era più dotta, ma meno gioviale e carezzevole di quella di Fausto quanto alla forma; quanto alla sostanza però, nessun paragone era possibile: l’uno si sviava nei tranelli manichei, l’altro, Ambrogio, mostrava la salvezza del mondo nel modo più salutare”.
Il fascino delle parole di Ambrogio sulla Parola aveva fatto il suo effetto, aveva dato alla Chiesa il suo frutto. Ambrogio, diveniva - con la semplicità dell’“incontro”, della riunione in Cristo - maestro eloquente di un altro maestro delle parole, Agostino. È questa la storia anche di un’amicizia, di un’unione così complessa (sotto l’aspetto teologico) ma al contempo così semplice (sotto l’aspetto umano), che - a distanza di secoli - affascina ancora oggi qualsiasi studioso di storia della Chiesa.