Ambiente, i "verdi" sono il problema non la soluzione
L'ideologia verde dà la risposta sbagliata ai problemi ambientali. E purtroppo gode di un sorprendente consenso anche in ambito cristiano. Ad uscire da questa subalternità culturale aiuta il magistero di Benedetto XVI, soprattutto nella Caritas in Veritate.
L’Unione Europea potrebbe, non meno degli Stati Uniti, liberarsi o comunque ridurre drasticamente la propria dipendenza dalle importazioni di energia attingendo alle grandi riserve di carbone e di gas da scisti (shale gas) di cui la Germania e la Polonia dispongono. Materie prime energetiche che, grazie alle tecniche odierne, possono venire estratte senza affatto compromettere l’ambiente.
Il cosiddetto riscaldamento globale della Terra non solo da quindici anni sta rallentando ma la sua origine antropica non è minimamente provata, come viene ripetutamente ribadito da scienziati di fama internazionale quali tra gli altri Antonino Zichichi e Carlo Rubbia. Ciononostante, in un’epoca di crisi complessiva delle economie più sviluppate, per contrastarlo si stanno spendendo miliardi di dollari in iniziative che al riguardo sono comunque inutili. La storia dimostra infatti che la temperatura del globo non è stabile; e che più volte ha fatto registrare variazioni sensibili in epoche nelle quali l’impatto della presenza dell’uomo sull’ambiente era irrisorio rispetto a quello di altre forme di vita e di altre presenze fisiche, dalle foreste equatoriali alle eruzioni vulcaniche.
Tutte le informazioni di cui disponiamo confermano che, da quando l’uomo esiste sulla Terra, il rapporto tra popolazione umana e risorse disponibili ha fatto registrare sempre e solo squilibri di breve periodo. A medio termine, come anche negli ultimi cento anni, la situazione si è sempre riequilibrata. E il modo più efficiente e umanamente meno costoso per riequilibrarla consiste nel tirare la leva dello sviluppo e non quella del blocco demografico, le cui conseguenze perverse sono evidenti.
La reintroduzione artificiale, anche al di fuori di riserve naturali specificamente gestite, di grandi carnivori selvatici (lupi, orsi ecc.) sulle Alpi, sui Pirenei e altrove nell’Europa occidentale sta provocando gravi danni all’allevamento all’aperto e sta compromettendo la presenza umana nelle terre alte e nelle pianure meno abitate: ossia in ambienti dove, a fini di equilibrio generale dell’insediamento dell’uomo in Europa, tale presenza andrebbe non solo mantenuta ma anzi notevolmente aumentata. E anche la proliferazione incontrollata di ungulati (cervi, caprioli, cinghiali) sta già in molte circostanze causando seri danni sia alla pastorizia che all’agricoltura.
Tutto questo induce a concludere che la risposta dei “verdi” al problema dell’ambiente va considerata ormai come una vera e propria emergenza storica. Con la sua ispirazione neo-pagana e con il suo impianto autoritario post-marxista la cultura politica “verde” non dà alcuna risposta efficace ai problemi dell’ambiente, ma anzi li aggrava. La responsabilità dell’uomo verso l’ambiente ovviamente aumenta di pari passo all’aumento delle sue capacità tecniche, ma l’adeguato esercizio di tale responsabilità non passa affatto attraverso la pretesa anti-umanista secondo cui l’uomo, reo di sfuggire alla selezione naturale, sarebbe perciò un elemento di squilibrio, un intruso nella natura. Oggi siamo senza dubbio di fronte a eccessi di manipolazione industriale dell’ambiente e ad eccessi di industrializzazione dell’agricoltura e dell’allevamento. La via d’uscita da tali eccessi passa però per un raffinamento della cultura tecnica, che implica innanzitutto il moderno ricupero di antiche sapienze e di antichi artigianati; ma non per un ritorno (peraltro impossibile) al neolitico.
Varrebbe la pena di domandarsi in forza di quali meccanismi psicologici la filosofia “verde” goda di un influsso che va molto al di là dei ristretti ambienti che ad essa specificamente si riferiscono. Siamo di fronte a un ricatto morale che funziona ampiamente trovando fra l’altro nei media uno spazio gigantesco. Non su questo vogliamo tuttavia soffermarci qui bensì su qualcosa che specificamente ci sta più a cuore: il sorprendente consenso che queste filosofie raccolgono anche in ambiente cristiano. Troppo della rinnovata attenzione cristiana per l’ambiente si dimostra subalterna a culture dominanti di ben altra matrice. Lo si è visto di recente, anche in occasione dell’annuale giornata per la custodia del Creato, tutte le volte che alla parola “custodia” si è dato un contenuto passivo quanto basta per farla diventare un calco dell’idea pagana di natura come Madre Terra/Pancha Mama, entità divina impersonale, statica e tendenzialmente intoccabile dall’uomo.
Diventa perciò importante e anche urgente partecipare al dibattito e alla politica sull’ambiente sulla base di una cultura che ci corrisponda. A questo riguardo emergono innanzitutto le differenze di fondo tra la visione cristiana e la visione pagana della natura come Pancha Mama di cui l’uomo sarebbe solo un elemento indistinto e in ultima analisi disturbante. Nel suo messaggio per la Giornale della Pace del 2007 con la consueta acutezza Benedetto XVI osserva viceversa che «accanto all'ecologia della natura c'è (..) un'ecologia che potremmo dire “umana”, la quale a sua volta richiede un' "ecologia sociale”. E ciò comporta che l'umanità, se ha a cuore la pace, debba tenere sempre più presenti le connessioni esistenti tra l'ecologia naturale, ossia il rispetto della natura, e l'ecologia umana. L'esperienza dimostra che ogni atteggiamento irrispettoso verso l'ambiente reca danni alla convivenza umana, e viceversa».
Due anni dopo nell’enciclica Caritas in veritate egli torna sull’argomento affermando che «ridurre completamente la natura ad un insieme di semplici dati di fatto finisce per essere fonte di violenza nei confronti dell'ambiente e addirittura per motivare azioni irrispettose verso la stessa natura dell'uomo. Questa, in quanto costituita non solo di materia ma anche di spirito e, come tale, essendo ricca di significati e di fini trascendenti da raggiungere, ha un carattere normativo anche per la cultura. L'uomo interpreta e modella l'ambiente naturale mediante la cultura, la quale a sua volta viene orientata mediante la libertà responsabile (…)».
A nostro avviso la pietra angolare su cui costruire una posizione cristiana sulle questioni ambientali non subalterna alle correnti culture neopagane è appunto la Caritas in veritate, la lettera enciclica “sullo sviluppo umano integrale nella carità e nella verità” che nel 2009 Benedetto XVI invia “ai vescovi, ai presbiteri e ai diaconi, alle persone consacrate, ai fedeli laici e a tutti gli uomini di buona volontà”. Ne citiamo qui di seguito a titolo di esempio alcuni passi:
«È necessario che ci sia qualcosa come un'ecologia dell'uomo, intesa in senso giusto. Il degrado della natura è infatti strettamente connesso alla cultura che modella la convivenza umana (…). Come le virtù umane sono tra loro comunicanti, tanto che l'indebolimento di una espone a rischio anche le altre, così il sistema ecologico si regge sul rispetto di un progetto che riguarda sia la sana convivenza in società sia il buon rapporto con la natura».
«Per salvaguardare la natura non è sufficiente intervenire con incentivi o disincentivi economici e nemmeno basta un'istruzione adeguata. Sono, questi, strumenti importanti, ma il problema decisivo è la complessiva tenuta morale della società. Se non si rispetta il diritto alla vita e alla morte naturale, se si rende artificiale il concepimento, la gestazione e la nascita dell'uomo, se si sacrificano embrioni umani alla ricerca, la coscienza comune finisce per perdere il concetto di ecologia umana e, con esso, quello di ecologia ambientale. È una contraddizione chiedere alle nuove generazioni il rispetto dell'ambiente naturale, quando l'educazione e le leggi non le aiutano a rispettare se stesse. Il libro della natura è uno e indivisibile, sul versante dell'ambiente come sul versante della vita, della sessualità, del matrimonio, della famiglia, delle relazioni sociali, in una parola dello sviluppo umano integrale. I doveri che abbiamo verso l'ambiente si collegano con i doveri che abbiamo verso la persona considerata in se stessa e in relazione con gli altri. Non si possono esigere gli uni e conculcare gli altri. Questa è una grave antinomia della mentalità e della prassi odierna, che avvilisce la persona, sconvolge l'ambiente e danneggia la società».
«Il problema dello sviluppo oggi è strettamente congiunto con il progresso tecnologico, con le sue strabilianti applicazioni in campo biologico. La tecnica — è bene sottolinearlo — è un fatto profondamente umano, legato all'autonomia e alla libertà dell'uomo. Nella tecnica si esprime e si conferma la signoria dello spirito sulla materia. Lo spirito, « reso così “meno schiavo delle cose, può facilmente elevarsi all'adorazione e alla contemplazione del Creatore” ». La tecnica permette di dominare la materia, di ridurre i rischi, di risparmiare fatica, di migliorare le condizioni di vita. Essa risponde alla stessa vocazione del lavoro umano (…) La tecnica, pertanto, si inserisce nel mandato di “coltivare e custodire la terra” (…), che Dio ha affidato all'uomo e va orientata a rafforzare quell'alleanza tra essere umano e ambiente che deve essere specchio dell'amore creatore di Dio».
Ci fermiamo qui rimandando alla lettura dell’enciclica come punto di partenza da cui procedere a costruire una posizione sulle questioni ambientali libera dal freno della cultura neopagana. Una posizione di cui c’è oggi più che mai bisogno.