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IMMIGRAZIONE

Amato propone l'asilo economico. Ma gli emigranti non sono poveri

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Dall’inizio dell’anno sono arrivati in Italia più di 133mila emigranti illegali. Tutti o quasi hanno chiesto asilo, ma solo a pochi viene riconosciuto. Giuliano Amato chiede di riconoscere "asilo economico" a chi "scappa da carestia e fame". Ma è uno scenario che non esiste.

Politica 03_10_2023
Giuliano Amato

Dall’inizio dell’anno sono arrivati in Italia più di 133mila emigranti illegali. Tutti o quasi hanno chiesto asilo sostenendo di essere in fuga da situazioni di estremo pericolo, ma, ormai lo sanno tutti anche chi non vuole ammetterlo, la maggior parte degli emigranti illegali non scappano da niente, chiedono asilo come espediente per non essere respinti. Se i dati degli anni precedenti saranno confermati, solo una piccola percentuale otterrà lo status di rifugiato: nel 2022 è stato concesso al 13% degli emigranti, in altri anni anche a meno.

Tuttavia nel 2022 il 12% dei richiedenti ha ottenuto protezione sussidiaria e il 19% protezione speciale. In tutto quindi sono tanti gli irregolari a cui è stato consentito di rimanere, pur non meritando lo status di rifugiato, e questo in parte per considerazioni umanitarie, ma soprattutto perché le commissioni territoriali incaricate di vagliare le richieste e più ancora i giudici che esaminano i casi di chi, respinto, ricorre in Cassazione, spesso, inspiegabilmente, accettano le giustificazioni più disparate e inverosimili.

Di fatto, così facendo, incoraggiano altre persone a partire. A questo pensava il primo ministro Giorgia Meloni quando il 2 ottobre ha detto che “persino un pezzo di Italia fa tutto il possibile per favorire l’immigrazione illegale” rendendo più difficile il lavoro del governo. “Sono rimasta basita – ha aggiunto – di fronte alla sentenza del giudice di Catania che con motivazioni incredibili (“le caratteristiche fisiche del migrante, che i cercatori d'oro in Tunisia considerano favorevoli allo svolgimento della loro attività”) rimette in libertà un immigrato illegale, già destinatario di un provvedimento di espulsione, dichiarando unilateralmente la Tunisia Paese non sicuro (compito che non spetta alla magistratura) e scagliandosi contro i provvedimenti di un governo democraticamente eletto”.

Il premier si riferiva a uno dei tre tunisini da poco sbarcati in Italia per i quali non è stato convalidato il trattenimento nel centro di prima accoglienza di Pozzallo. Degli altri due, uno chiede asilo perché in Tunisia le cure sanitarie sono a pagamento e l’altro perché la sua fidanzata è morta durante il primo tentativo, fallito, di arrivare in Italia e i suoi genitori lo vogliono uccidere ritenendolo responsabile.

Del “pezzo di Italia che vuole favorire l’immigrazione illegale” da ieri fa parte anche Giuliano Amato che, intervistato dal quotidiano la Repubblica, ha dichiarato: “non è ammissibile sul piano dei diritti umani che si accolgano i perseguitati dei regimi e si respinga chi scappa da carestia e fame. La conseguenza è che tutti dichiarano di essere perseguitati politici, mentre moltissimi in realtà sono perseguitati dalla fame”. Per rimediare, Amato propone che l’Europa riconosca lo status di “rifugiato economico”.

È vero, effettivamente, che nessuno giustifica il suo ingresso illegale in Europa dicendo di scappare da carestia e fame. Però non è, come sostiene Amato, perché in Europa non è previsto lo status di rifugiato per chi ha fame, ma perché è insostenibile dichiararsi “perseguitati dalla fame” quando viaggiare illegalmente, specie affidandosi a organizzazioni criminali come fanno quasi tutti, costa migliaia di dollari, anche più di 10mila per chi arriva dai paesi dell’est asiatico.

Chi sopravvive a stento non ha così tanto denaro. Ma non ha neanche bisogno di andare lontano per cercare aiuto perché riceve assistenza lì dove si trova. Anche nelle situazioni più difficili, all’insorgere di una emergenza – che sia dovuta a un conflitto o a fattori climatici avversi – subito intervengono le Nazioni Unite, con le loro agenzie (Wfp, Oms, Unicef, Unhcr…) che hanno sedi in tutto il mondo, e le organizzazioni umanitarie, che sono decine di migliaia. Si formano convogli che trasportano generi di prima necessità e personale specializzato, si allestiscono centri di assistenza, se necessario campi profughi attrezzati. L’Unhcr, l’Alto commissariato Onu per i rifugiati, sostiene di essere in grado, entro 72 ore dal verificarsi di una emergenza, di mobilitare in qualsiasi parte del mondo una equipe di operatori capaci di prestare i primi soccorsi.

I problemi sono tanti, a partire dai capitali, sempre più difficili da reperire perché le situazioni di crisi si moltiplicano e perché si dice “comunità internazionale”, ma il grosso dei contributi arriva sempre dagli stessi, pochi donatori: Stati Uniti, Unione Europea, paesi occidentali, che finanziano agenzie Onu e Organizzazioni non governative e forniscono aiuti agli Stati in difficoltà. Tra gli ostacoli da superare, in Africa spesso ci sono le infrastrutture inadeguate o inesistenti: strade e piste rese impraticabili dalla pioggia e dalla scarsa manutenzione, ponti crollati, linee ferroviarie danneggiate, mancanza di energia elettrica. Dove si combatte, a volte i rischi diventano tali da costringere a sospendere temporaneamente gli interventi, che però riprendono appena possibile. In certi casi il problema è riuscire a convincere i contendenti, con pressioni diplomatiche e tanto, tanto denaro, ad aprire dei corridoi umanitari, così vengono chiamati i percorsi resi sicuri grazie alla momentanea sospensione dei combattimenti per consentire il transito ai convogli carichi di aiuti o di persone da mettere in salvo. Tutto in qualche modo si risolve, ma non il problema più difficile che è la corruzione, l’avidità spietata di chi arriva a sottrarre gli aiuti destinati ai suoi stessi familiari.

In Etiopia la guerra finita da meno di un anno tra governo e Tigrini, una delle etnie del paese, ha provocato una gravissima crisi umanitaria. Inoltre alcune regioni hanno patito un lungo periodo di siccità e un nuovo conflitto si è aperto ad aprile tra governo e Amhara, un’altra etnia. Milioni di persone dipendono dall’assistenza fornita dalla cooperazione internazionale. Ma per due mesi, giugno e luglio, il World Food Programme dell’Onu e altri donatori hanno sospeso l’invio di aiuti alimentari avendo accertato che erano troppi quelli rubati, che finivano sui mercati locali. Solo ad agosto l’Onu ha ripreso le spedizioni riservandosi di accertarne il buon uso.

Il 19 settembre, per lo stesso motivo – una quantità intollerabile di aiuti alimentari rubati e “male utilizzati” – la Commissione Europea ha annunciato di aver sospeso l’erogazione di ulteriori fondi per aiuti umanitari alla Somalia, paese in guerra dal 1987 e di recente vittima anch’esso di una lunga siccità. La decisione è stata presa dopo che un’indagine delle Nazioni Unite ha rivelato che proprietari terrieri, autorità locali, membri delle forze di sicurezza, operatori umanitari somali erano tutti coinvolti nel furto degli aiuti destinati alle persone bisognose.