Amare le differenze anche nell'unità della Chiesa
In questo mondo così globalizzato, mi pare che si stia affermando sempre di più una speciale paura e cioè la paura per le differenze. Eppure anche dentro la Chiesa occorre amare le differenze che in essa lo Spirito fa nascere. Mentre taluni scambiano le differenze per infedeltà.
Caro direttore,
in questo mondo così globalizzato, mi pare che si stia affermando sempre di più una speciale paura e cioè la paura per le differenze. Ho l’impressione che, visto che si fa fatica ad amare la differenza, la si voglia eliminare, credendo così di risolvere il problema. Ma, come possiamo constatare quotidianamente, il problema non è affatto risolto, soprattutto da quando l’insensatezza dei nichilisti ha preteso di cancellare la presenza di Cristo tra di noi.
Grande è stato l’impegno profuso da questo nichilismo per cercare di cancellare le differenze, che sono una caratteristica di tutto il creato, che è pieno, anzi ricco di differenze. Tante idee, nate da una forte esigenza di giustizia, hanno concentrato ogni sforzo nella direzione appena detta. Le femministe, per esempio, hanno creduto di potere incrementare la dignità originaria della donna gridando la loro uguaglianza con gli uomini, anche per aspetti che finiscono spesso con il renderle quasi ridicole. Non viene salvata la dignità della donna facendole fare la sollevatrice dei pesi alle olimpiadi oppure l’estrattrice di carbone nelle miniere. La donna è uguale all’uomo perché entrambi sono persone create per l’eternità ed amate nella stessa misura. Il problema è amare, non forzare la natura. I teorici del gender, poi, arrivano ad abbattere ogni differenza, anche contro ogni buon senso legato al più elementare dato biologico. Si apre così la via verso un appiattimento relativistico che vorrebbe rendere tutto uguale, cioè tutto banale. Il mondo intero va avanti grazie alle differenze. Il problema, ripeto, è amarle.
Anche dentro la Chiesa occorre amare le differenze che in essa lo Spirito fa nascere. Il Card. Angelo Scola, a Milano, ha espresso una formula sintetica molto efficace per descrivere il problema, quando ha parlato di “pluriformità nell’unità”, dove il punto di partenza è l’unità per la quale Cristo prega nel capitolo XVII di San Giovanni e che costituisce l’unica vera possibilità di testimonianza da parte dei cristiani. Ma dentro questa unità ontologica, pluriformi possono essere le forme con cui si testimonia la stessa sequela di Cristo. Mi pare che ciò non sia abbastanza pacifico, oggi, dentro gran parte della Chiesa. Ho avuto questo pensiero leggendo il capitolo XVI delle “Lettere di Berlicche”, nel quale il maestro-diavolo cerca di far capire al discepolo-diavolo Malacoda che il modo migliore per far perdere la fede al suo “assistito” è quello di disperderlo nella genericità della Chiesa, allontanandolo dalla specifica chiesa da lui frequentata. Il grande C.S.Lewis ci vuol dire che il modo migliore per indurre confusione nei fedeli è quello di abbattere le differenze che, per grazia di Dio, ci sono e convivono dentro la Chiesa per far vivere ad ognuno l’esperienza dell’unità. La nostra non è una unità “comunista” o “leninista”, ma una comunione che mette in risalto, paradossalmente, la libertà (e, quindi, anche la “differenza”) di ognuno. Vedo in atto un certo sport cattolico, che è quello di “scomunicare” chi è “differente”, dimenticando, così, che le differenze sono il frutto della generosità e della creatività artistica del Signore.
Caro direttore, constato che taluni scambiano le differenze per infedeltà, quasi che la Chiesa fosse un partito. Fortunatamente, nella Chiesa c’è posto per tutti coloro che la domenica a Messa recitano con sincerità il Credo. Per amare le “differenze” occorre una sola cosa: la carità.