Alyssa e quel non-pentimento per normalizzare l’aborto
Alla soglia dei 47 anni, l’attrice Alyssa Milano, protagonista del #MeToo, rivela al mondo di aver avuto due aborti, nel giro di pochi mesi, all’età di vent’anni. E rivendica la sua scelta, che assimila a una «cura sanitaria»: come se il bambino fosse la malattia. Spazio anche per il solito attacco alla Chiesa. Il tutto per presentare l’uccisione dei bambini nel grembo come una “scelta” normale.
Ha abortito e non se ne pente, anzi pare andarne fiera. Questo, sintetizzando, il concetto espresso nell’ultima puntata del suo podcast, Sorry Not Sorry, da Alyssa Milano.
Classe 1972, nota ai più per aver ricoperto il ruolo di Phoebe Halliwell nella serie televisiva americana Streghe, negli ultimi anni si è distinta per il suo attivismo femminista: da un lato con il lancio, nel 2017, della campagna social #MeToo, dall’altra con una strenua lotta contro le restrizioni legislative sull’aborto, arrivando persino a promuovere “uno sciopero del sesso”.
Ebbene, qualche settimana fa, alla soglia dei 47 anni, la poliedrica Milano ha ritenuto opportuno rivelare al mondo che all’età di vent’anni, nel giro di pochi mesi, ha abortito due volte, essendo rimasta incinta nonostante stesse assumendo la pillola: «Sapevo che non ero attrezzata per essere una madre e quindi ho scelto di abortire», ha affermato. «Ho scelto. È stata una mia scelta. Ed è stata assolutamente la scelta giusta per me. Non è stata una scelta facile. Non era un qualcosa che volevo, ma era qualcosa di cui avevo bisogno, come accade per la maggior parte delle cure sanitarie».
Parole apparentemente razionali, ma attraverso le quali l’aborto viene giustificato dalle circostanze e diventa addirittura “un bisogno”, una cura medica “salvavita”. Ma quale vita viene salvata e quale “malattia” viene curata? L’oggettività dei fatti dice soltanto che due vite sono state sacrificate in nome dell’autodeterminazione e di una malintesa parità tra i sessi («Non sarei mai stata libera di essere me stessa, e tutto ciò riguarda la libertà. Libertà per le donne di avere l’audacia di essere ugualmente esseri sessuali come gli uomini»). Nessun accenno, inoltre, alle conseguenze fisiche, psicologiche e spirituali di questo atto, che ricadono in maniera diretta sulle persone più strettamente coinvolte, ma indirettamente anche sulla società nel suo complesso.
La Milano prosegue quindi affermando di non aver nessun rimpianto: se nel 1993 avesse scelto di non abortire, la sua vita «sarebbe completamente priva di tutte le sue grandi gioie. […] Non avrei avuto i miei figli, i miei figli belli, perfetti, amorevoli, gentili e curiosi che hanno avuto una madre davvero pronta per loro. Non avrei avuto la mia carriera. Non avrei avuto la capacità o gli strumenti che oggi uso per combattere contro i pregiudizi con tutto il cuore. Non avrei mai incontrato il mio fantastico marito, David, il cui amore costante e incommensurabile mi sostiene». Insomma, nel cortocircuito logico dell’attrice esisterebbero figli di serie A e figli di serie B, portatori di sventura perché concepiti in maniera non intenzionale – almeno nell’ottica del mondo, per cui la vita è nelle nostre mani – e nel momento sbagliato e, nel contempo, la carriera varrebbe molto di più di una vita umana.
Se questo già non bastasse, ecco anche un subdolo attacco alla Chiesa: «Sono cresciuta come cattolica e mi sono ritrovata improvvisamente in conflitto con la mia fede. Una fede che iniziavo a capire consentiva solo agli uomini di prendere ogni singola decisione su ciò che era permesso e su ciò che invece non lo era». È il solito mantra della misoginia della Chiesa, così spesso sbandierata da coloro che, ignari della reale storia delle donne e del ruolo che la religione cattolica ha rivestito nell’affermazione della pari dignità del gentil sesso, affidano la propria visione ai luoghi comuni.
Insomma, con questa dichiarazione della pioniera del #MeToo si va ad aggiungere un altro importante tassello nel processo di normalizzazione dell’aborto, secondo la teoria della Finestra di Overton: con una testimonial di primo piano, in maniera sottile, l’uccisione dei bambini nel grembo materno viene fatta passare come una scelta legittima e priva di conseguenze negative. Anzi, l’aborto diventa addirittura un’opportunità. Peccato solo che si tratti un trampolino di lancio verso il baratro: la speranza, a questo punto, è soltanto che quando le coscienze infarcite di falsi diritti si risveglieranno dal torpore non sia oramai troppo tardi.