Altro che Spirito, Müller smaschera i sette peccati sinodali
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La Terza Persona della Trinità presa a pretesto per promuovere un'agenda progressista, minando la fede e l'unità della Chiesa. L'ex prefetto della Dottrina della Fede stigmatizza i tentativi di spacciare le spinte eterodosse per presunte "ispirazioni" dall'alto.
Dopo il siluro alla lista dei peccati inventati dal Sinodo sulla sinodalità (vedi qui), il cardinale Gerhard Ludwing Müller, ex Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, torna alla carica denunciando i sette peccati dello stesso Sinodo contro lo Spirito Santo: «“Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese” (Ap 2, 11). È questo il passo delle Scritture spesso chiamato in causa per giustificare una cosiddetta “Chiesa sinodale”, concetto che contraddice se non totalmente, almeno parzialmente, la comprensione cattolica della Chiesa»; passo sventolato anche per promuovere un'agenda progressista che comporta «un rovesciamento di 180 gradi» della dottrina, della liturgia e della morale della Chiesa cattolica.
Questo è il tenore di un articolo pubblicato il 22 novembre scorso, sul sito della rivista statunitense First Things, nel quale Müller smaschera il tanto decantato “ascolto dello Spirito”, rivelandone gli intenti sovversivi: «la diretta comunicazione tra lo Spirito Santo e il Sinodo viene invocata per giustificare concessioni dottrinali arbitrarie», come, per esempio, «il “matrimonio per tutti”, funzionari laici alla guida del “potere” ecclesiastico, l'ordinazione delle diaconesse come premio della battaglia per i diritti delle donne». Ed è precisamente questo progetto di voler conciliare «l'insegnamento della Chiesa con una ideologia ostile alla rivelazione e con la tirannia del relativismo», perseguito dietro una presunta ispirazione divina, a costituire il peccato contro lo Spirito Santo stigmatizzato dal Signore Gesù dei Vangeli, che San Tommaso spiega essere niente meno che «l'impugnazione della verità conosciuta […] per peccare con maggiore licenza» (Summa Theologiæ II-II, q. 14, a. 2).
L'elenco dei sette peccati contro lo Spirito Santo mette il dito non solo nella piaga del Sinodo, ma di tutte quelle iniziative ispirate a correnti ideologiche ed eterodosse che da molto tempo si sono accasate nella Chiesa a causa di uomini e donne in carne ed ossa, i quali, più o meno in buona fede, le hanno cavalcate e promosse. È dunque un peccato contro lo Spirito Santo – spiega il Cardinale – quando la terza persona della Santissima Trinità viene confusa con «l'anonima numinosa divinità degli studi religiosi comparati» e con tutte «le utopie politiche, dal comunismo al transumanesimo ateo». Lo Spirito divino è lo Spirito di Cristo, che ci ricorda e fa penetrare tutto quanto egli, il Verbo eterno incarnato, ha insegnato; ogni “nuova rivelazione” o una pretesa migliore comprensione della verità che rivendichi di migliorare ed oltrepassare l'insegnamento del Signore non proviene dallo Spirito. Gesù Cristo è «la piena verità di Dio», al di fuori della quale non v'è salvezza: per questo «non c'è a priori alcun nuovo approfondimento scientifico (in linea di principio sempre fallibile) che possa modificare le verità della rivelazione soprannaturale e della legge morale naturale (sempre infallibili per la loro natura intrinseca)». Nemmeno il Papa lo può fare, perché, come insegna la costituzione dogmatica Dei Verbum (n. 10), il suo ufficio non è al di sopra della Parola di Dio, ma al suo servizio. Pensare ad una evoluzione della rivelazione in questi termini erronei è la seconda forma del peccato contro lo Spirito Santo.
Dai primi due “peccati” discendono altre gravi colpe: vescovi e teologi peccano contro lo Spirito quando sostengono pubblicamente il Papa solo quando egli fa affermazioni gradite alle loro «preferenze ideologiche». La difesa della legge morale naturale è un dovere imprescindibile di ogni cristiano e dei pastori e deve diventare criterio «per giudicare le (sempre fallibili) leggi dello Stato»; senza questo giudizio «il potere politico scivola nel totalitarismo, che calpesta proprio quei diritti umani che devono formare le basi di ogni società democratica e di ogni stato costituzionale». La Chiesa e il suo insegnamento non possono essere subordinati «agli obiettivi e alle finalità di un progetto di salvezza mondano, sia esso la neutralità climatica eco-socialista o l'Agenda 2030 delle “elite globaliste”».
Il cardinal Müller stigmatizza anche le presunte “ispirazioni” dello Spirito che di fatto minano l'unità della Chiesa e la sua natura apostolica. Peccato contro lo Spirito Santo è infatti la promozione di quella decentralizzazione che si traduce nel consegnare «all'arbitrarietà e all'insipienza delle conferenze episcopali locali» l'unità della Chiesa che riposa sull'insegnamento della retta fede; è questa fede, «presentata nella dottrina infallibile della Chiesa» a dover guidare il discernimento, e non obiettivi di sapore politico ed ideologico. Ed «il criterio oggettivo della fede cattolica è l'ortodossia, opposta all'eresia (e non la decisione soggettiva di voler preservare piuttosto che cambiare aspetti culturali contingenti)». L'arbitrarietà è divenuta anche il “criterio” della designazione di vescovi e sacerdoti, come della loro deposizione o dimissione dallo stato clericale, dimenticando «i criteri oggettivi per le misure disciplinari» come «l'apostasia, lo scisma, l'eresia, una depravata condotta morale, una vita gravemente non spirituale e l'evidente incapacità di assolvere l'incarico».
Di fronte all'evidente e incessante sbriciolamento della fede cattolica e dell'unità della Chiesa, il cardinale Müller continua a denunciare la gravità della situazione, ben consapevole che la strada da percorrere è quella già segnata da San Paolo: opporsi a viso aperto ai propri fratelli nell'episcopato «che non si comporta[va]no rettamente secondo la verità del vangelo» ed anche al successore di Pietro, perché «evidentemente aveva torto» (Gal 2,14.11). Nessun calcolo umano su quanto ciò possa servire e nessuna illusione sulla gravità di una situazione che vede i dissolutori del Vangelo ai più importanti posti di “comando” della Chiesa. Davanti ai nostri occhi, conclude il Cardinale, dobbiamo avere sempre questo motto: «meglio andare in esilio cinque volte con Sant'Atanasio piuttosto che fare la più piccola concessione agli Ariani».
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