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URANIUM GATE

Altro che "Russiagate"! Gli affari loschi russi dei Clinton

La Clinton, quando era segretaria di Stato, nel 2010 consentì l'acquisto di un quinto dell'uranio americano da parte dei russi. Un esponente della Rosatom russa finì poi in manette nel 2015. Solo ora emerge un quadro ancora più fosco, al cui confronto il "Russiagate" di Trump è una passeggiata.

Esteri 21_10_2017
Vladimir Putin e Hillary Clinton

L’FBI sapeva che certi trafficoni russi, alcuni nei quali poi finiti in manette, stavano manovrando in maniera losca per accaparrarsi quote rilevanti di un bene strategico qual è l’uranio americano. Lo sapeva dal 2009, prima ancora che nel 2010 Hillary Clinton, allora Segretario di Stato, armeggiasse, lautamente ricompensata, in modo da consentire a quegli stessi ambienti trafficoni di aggiudicarsi addirittura un quinto della produzione americana di uranio. Lo sapeva perché sin dal 2009 ha infiltrato un informatore nell’industria nucleare russa. Lo sapeva ma ha lasciato fare, tacendo a Congresso, commissioni parlamentari e cittadini. Lo sapeva e il ministero della Giustizia dell’Amministrazione retta da Barack Obama ha nascosto tutto.

Lo sapeva e adesso il Senate Judiciary Committee ha chiesto da un lato all’avvocato Victoria Toensing, che assiste l’ex informatore dell’FBI, di sentire direttamente l’anonimo testimone, dall’altro a una decina di ministeri allora convolti nella cessione dell’uranio ai russi di dire se sapessero che l’FBI sapeva, onde accertare se pure altri pezzi del governo americano si siano resi complici dell’occultamento d’informazioni essenziali nonché, se tutto verrà accertato, dello scenario di corruzione che ha finito per alienare un pezzo strategicamente rilevantissimo dell’industria nazionale.

Lo rivelano le inchieste svolte da John Solomon e da Alison Spann sul quotidiano telematico The Hill, nonché da Sara A. Carter per l’agenzia stampa Circa. Notizie dirompenti che però la stampa italiana di fatto non sta dando. Il retroscena è noto. Ne parlò nel 2015 l’insospettabile The New York Times, ne hanno poi parlato libri, come Clinton Cash di Peter Schweizer (HarperCollins, New York 2015), divenuti anche docu-film virali e persino fumetti. Iniziando nell’ottobre 2010 e concludendo le operazioni nel 2013, la società mineraria canadese Uranium One, da cui appunto dipende un quinto dell’uranio statunitense, è stata acquisita dalla Rosatom, l’ente di Stato russo per il nucleare, con l’indispensabile permesso del governo americano che fu concesso all’unanimità dal Segretario di Stato Clinton e dalle 14 agenzie governative afferenti al Comitato sugli investimenti esteri negli Stati Uniti (CFIUS) in cui sedeva anche Hillary. Quel permesso fu salutato nel rapporto annuale stilato dalla Rosatom nel 2010 come uno di più «sorprendenti eventi» dell’anno, grazie al quale la Russia poteva iniziare «l’estrazione di uranio negli Stati Uniti». Per rendersi conto del quadro basta del resto ricordare che un uomo come Vadim Mikerin, legato al Cremlino, capo del braccio americano della Rosatom, la Tenam, creata nel 2010, collettore di una tangente-trappola tesagli nel 2009 dall’FBI tramite il suo famoso infiltrato, alla fine del 2015 è stato condannato da un tribunale americano a 48 mesi di prigione per riciclaggio di denaro.

Nel frattempo la “Clinton Foundation” rimpinguava le proprie casse grazie a donazioni per 145 milioni di dollari provenienti da ambienti interessati alla transazione, tra cui il leone canadese degli affari minerari Frank Giustra (che fa parte del Board della Foundation e che con Bill Clinton ha girato diversi Paesi ricchi d’interesse minerario), oltre a compensi da nababbo versati a Bill Clinton per conferenze: un suo discorso di un’ora e mezza tenuto a Mosca il 29 giugno 2010 ‒ proprio nel 2010, pochi mesi prima del famoso permesso governativo americano ‒ fu pagato mezzo miliardo di dollari dalla banca russa Renaissance Capital, legata al Cremlino, banca che agl’investitori consigliava l’“Uranium One” che di lì a poco la Rosatom avrebbe acquisito.

Stando a The Hill, c’è però pure dell’altro. Uno stretto collaboratore dei Clinton, che vuole restare anonimo, dice che lo scopo vero del viaggio-conferenza di Bill a Mosca a fine giugno 2010 non era l’Uranium One, cioè una botta e via, ma qualcosa di ben più strutturale: l’apertura della via degli affari con gli oligarchi russi a beneficio di un loro parente approfittando del ruolo istituzionale di Hillary.

Ora, credibile che mentre il Segretario di Stato e un pool di agenzie governative vendevano un quinto dell’uranio americano ai russi, mentre la “Clinton Foundation” si arricchiva, mentre Bill guadagnava come un Paperon de’ Paperoni per pronunciare quattro parole a Mosca, mentre l’FBI registrava tutto da tempo decidendo poi di mettere in galera gente legata alla Rosatom a cui Hillary aveva ceduto il famoso uranio, mentre tutto questo accadeva Obama non si accorgesse di nulla?