Altro che ormoni e bimbi trans, la colpa è degli adulti
Una giornalista spiega sul Nyt la scelta di vestire la figlia da maschio e il figlio da femmina, alcune famiglie seguono il "gender neutral parenting", altre nascondono il sesso dei figli per lasciarli "liberi", mentre alcune marche inventano leggins per maschi e maglie nere con disegni femminili. Eppure si parla di baby-trans da assecondare con farmaci e ormoni.
Si è fatto e si fa un gran parlare per giustificare la decisione di permettere che i bambini con disforia di genere (confusione circa la propria sessualità) siano aiutati, anziché umanamente e psicologicamente e quindi cercando le origini del malessere, tramite iniezioni ormonali atte a bloccarne lo sviluppo sessuale. Si sostiene che sia questa l'estrema ratio per “evitare il suicidio” o le crisi, per cui abbiamo visto una lunga serie di “esperti cattolici” all’interno del Comitato nazionale italiano di bioetica approvare l'utilizzo degli ormoni sui bambini. Ma l’articolo uscito martedì scorso sul New York Times apre uno scenario su di un mondo adulto intriso di un’ideologia per cui il "gender fluid" è ormai una moda se non un vero e proprio credo.
«La gente è abituata a vedere bambini con i ricci…ma non una bambina che indossa pantaloni squadrati verde oliva e una maglietta spessa con una fantasia spaziale come strumento per distruggere il "radar del genere" (che poi sarebbe la capacità di ogni persona di distinguere il sesso altrui, ndr)». A raccontare la sua scelta sul Nyt è la giornalista Sara Clemence.
Tutto, prosegue l'autrice, è cominciato quando «capii che anche nell’epoca dei piloti di caccia femmine e di #MeToo i vestiti dei bambini sono in gran parte ideati per essere pratici, mentre quelli delle bambine sono ideati per renderle belle». Ovviamente, chiarisce Clemence, «non si tratta solo di evitare le ginocchia sbucciate, ma anche il messaggio sottile e scoraggiante che è intessuto negli abiti delle femmine: sei vestita per decorare, non per fare». L’autrice giustamente rivela che i vestiti influenzano la percezione che gli altri hanno di noi e il modo in cui noi vediamo noi stessi, ma anche il nostro comportamento. Un ragionamento ineccepiblie, dato che una gonna lunga, ad esempio, viene difficilmente portata con gli stessi atteggiamenti con cui si tende ad indossare una minigonna.
Ma la giornalista spiega questo per dire cosa? Secondo lei «le divisioni di genere sono una cosa relativamente nuova», peccato che fino a 70 anni fa le donne non portavano nemmeno i pantaloni (furono tollerati dalll'800 solo per alcune mansioni). Eppure, secondo la giornalista sono gli ultimi trent’anni ad aver fatto «emergere questi stereotipi di genere», anche se ora «i genitori hanno cominciato a reagire» e «alcune aziende hanno compiuto degli sforzi per rompere gli steccati del gender». Perciò anche Clemence ha deciso di cominciare «a mescolare i colori “femminili” nel cassetto di mio figlio», che ora, a 5 anni, «ama le paillettes, i fiori».
Come lei il 20 agosto scorso si è schierata la famiglia Rold che ha denunciato la deriva per cui l’insegnante del nido ha detto ai genitori che forse era il caso che la figlia, vestita come un maschio, indossasse abiti un po' più femminili. Alla crociata “gender free” si sono uniti diversi genitori che hanno commentato sul Daily Mail così: «Le mie bambine vengono sempre scambiate per maschi. Non ci interessa davvero. Il 90% dei loro vestiti ha stampe di dinosauri, di astronauti, dello spazio, di robot…Penso che lei abbia solo uno o due capi d’abbigliamento da "ragazza" stereotipati, ma non di più». Un'altra famiglia spiega invece che «quando è nata (la figlia, ndr), ha ricevuto un mucchio di cose “carine” e da “principessa". Per la maggior parte abbiamo gentilmente detto "grazie" e le abbiamo donate ad un centro locale per donne in difficoltà».
Come spiegato persino le marche di vestiti si stanno allineando al pensiero "gender fluid", basti pensare che a luglio l’Independent ha dedicato un lungo articolo alle 10 marche di bambini che stanno cominciando a produrre vestiti “gender-neutral”, come i leggings (un indumento femminile) con stampe maschili o le magliette con stampe femminili ma nere su sfondo grigio.
In realtà c’è anche di più. Ci sono genitori che vestono i figli maschi con gonne e vestitini, pensando così di renderli liberi nella scelta del proprio “genere” (che ripetiamo non esiste, perché esiste solo il sesso biologico): «Vogliamo dare al bambino la libertà di scegliere se essere un maschio o una femmina…non si conforma ancora a uno dei due (sessi, ndr) ora, gli piacciono entrambi…ma chiunque lui sia, deve essere senza che la società gli dica che deve essere in un certo modo», spiega la madre di un bimbo di 2 anni (nella foto in alto).
La coppia sposa il cosiddetto “gender-neutral parentig” che va dal divieto di colori di vestiti che distinguano il sesso dei figli, fino alla scelta di una coppia di svedesi che ha tenuto nascosto a tutti, persino ai parenti, il sesso del figlio perché fosse lui (o lei?) a sceglierlo crescendo, come hanno fatto in Canada anche i genitori di Storm, i cui figli maggiori per ora non si identificano con nessun sesso.
Poi ci si chiede perché i bambini siano confusi, ricorrendo agli ormoni. È chiaro che, senza per forza arrivare a questi estremi, l’incapacità di comunicare ai figli una certezza, di rispettare il proprio ruolo e di vivere secondo la legge naturale inscritta nel cuore dell’uomo (complice un bombardamento ideologico-mediatico di oltre sessant’anni) lascia i piccoli più fragili e confusi, quindi soggetti a riempire i propri vuoti e le proprie confusioni con la nuova moda. Soprattutto se inculcata loro in casa proprio da chi dovrebbe proteggerli dal caos.