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TRANELLI IDEOLOGICI

Altro che droga leggera: ecco i nuovi effetti della cannabis

Gli studi concordano nel dire che l'uso della marijuana è dannoso e può avere effetti devastanti e irreversibili sulla psiche. Persino l'ultima relazione del Senato sulle tosicodipendenze deve ammettere il problena. A confermarlo anche Inghilterra e Canada, dove il bilancio sociale è disastroso.

Vita e bioetica 18_02_2017
Cannabis

Continuano imperterriti Saviano e i suoi compagni di battaglia a strumentalizzare la vicenda di un ragazzino, fragile e disperato che si è suicidato dopo essere stato scoperto con 10 grammi di hashish, per spingere alla legalizzazione della droga. La tesi del testimonial italiano della marijuana libera è che il proibizionismo incrementa il traffico illegale e quindi l’abuso di sostanze da lui definite "pesanti" (come se ce ne fossero di leggere), mentre fumare canne non farebbe poi così male, anzi terrebbe lontano da altre droghe. Peccato che i dati mondiali smentiscano sia l’innocuità degli spinelli sia il passaggio da questi ad altre sostanze.

Come si scorge fra le righe dell’ultima relazione del Senato relativa allo stato delle tossicodipendenze, pubblicata alla fine del 2016, dal 2000 a oggi i ricoveri per droga in generale sarebbero diminuiti, ma la classe di età fra i 15-24 anni “registra un aumento dell’ospedalizzazione nel periodo di osservazione” con “più frequenti ricoveri per consumo di oppioidi” a cui seguono quelli per “consumo di cocaina e quelli per cannabis, amfetamine e altre sostanze psicostimolanti”. Per quanto riguarda i presi in carico dalla giustizia minorile si parla di un aumento di quasi duemila adolescenti in un anno: del “totale di 3.647 (…) 1.198 risultano essere i soggetti presi in carico per la prima volta”. Inoltre diminuisce sempre la “fascia di età d’inizio del consumo”. E, scrive chiaramente il Senato smentendo chi definisce la cannabis una droga “leggera”, a questo fenomeno della droga precoce si associano l’incremento e “l’evoluzione verso disturbi di natura psichica (…). Tra le varie sostanze stupefacenti, i cannabinoidi risultano essere le sostanze maggiormente assunte”. Non solo, perché la relazione parla persino della doppia diagnosi di dipendenza dalla droga associata a disturbo mentale come di un “fenomeno rispetto al quale si registra un aumento negli ultimi anni”.

Sebbene i dati siano parziali, poiché non tutte le strutture di presa in carico hanno inviato le proprie relazioni, da quelli a disposizione emerge che nel 2015 presentavano “almeno una patologia psichiatrica 8.305 soggetti”, pari “al 6,2 per cento dei soggetti in trattamento presso i Ser.D”. Di questi “il 61,7 per cento è affetto da disturbi della personalità e del comportamento, il 20,7 per cento da sindromi nevrotiche e somatoformi, l’11,1 per cento da schizofrenia e altre psicosi funzionali, il 2,6 per cento da depressione e l’1,6 per cento da mania e disturbi affettivi bipolari”. La relazione non specifica se la droga sia la causa del disturbo, se ne sia l’effetto oppure se l’una aggrava l’altro, ma il fatto che “il principio attivo tetraidrocannabinolo (THC)” è di circa “il 9-10 per cento”, quando solo una ventina o decina di anni fa si aggirava intorno al 3-5 per cento, ha già portato diversi esperti a sottolineare la potenza degli effetti sul cervello. Persino la non sospetta International association for Canabinoid medicines (a favore degli oppiacei ad uso palliativo) per voce del suo direttore esecutivo, Franjo Grotenhermen, ha dovuto ammettere che “l'uso di cannabis può essere un fattore di rischio per lo sviluppo di schizofrenia, un tipo di psicosi. Oggi si presume che la cannabis raddoppi il rischio (o aumenti il rischio di 2 volte) se molto utilizzata in adolescenza” , aggiungendo che “in una revisione di sette studi longitudinali sull'associazione tra uso di cannabis e schizofrenia, i ricercatori hanno trovato che gli individui che hanno fatto uso di cannabis avevano un aumento del rischio di psicosi o sintomi psicotici del 41 per cento rispetto ai soggetti che non avevano mai fatto uso di cannabis”. E sebbene “alcune persone affette da schizofrenia possono automedicarsi con la cannabis per trattare alcuni dei loro sintomi, soprattutto quelli negativi. Tuttavia vi è una crescente evidenza da studi epidemiologici a lungo termine che la cannabis abbia un ruolo causale”.

Ma veniamo ai dati inglesi, tanto gravi che nel 2007, a dieci anni dalla campagna per la liberalizzazione della droga (vinta nel 2004), il quotidiano liberale The Independent aveva fatto retromarcia: “Se solo dieci anni fa avessimo saputo quel che avviene oggi non avremmo di certo promosso (la legalizzazione ad uso personale, ndr)”.  Le scuse erano seguite a una pubblicazione dello stesso anno della rivista scientifica Lancet, che nel 2006 aveva rilevato 22 mila ricoveri per uso di cannabis, di cui il 50 per cento era composto da minorenni. All’ammissione seguì il commento di un importante psichiatra del London Institute Psychiatry, Robin Murray, il quale chiarì che su 250 mila pazienti con disturbi mentali ben 25 mila non si sarebbero mai ammalati se non avessero fumato marijuana. Nel 2013 il Sistema sanitario nazionale ammise che in sette anni i ricoveri di ragazzi sotto i 18 anni sono aumentati del 50 per cento, insieme alla crescita di abuso di cannabis fra i giovanissimi: circa 200 ricoverati su 13.581 avevano meno di 12 anni.

Sempre nel 2013 l’International Narcotics Control Board, l’organo che contrasta il narcotraffico e la diffusione di droghe per conto delle Nazioni Unite, spiegò che la marijuana “non solo dà dipendenza, ma può anche colpire alcune funzioni mentali fondamentali, il quoziente intellettivo, le performance accademiche e lavorative, e compromettere l’abilità alla guida”. In Colorado, invece, dove nel 2012 la droga fu legalizzata in nome della battaglia contro il narcotraffico, ma in realtà con lo scopo di aumentare gli introiti dello Stato tassando le sostanze (soldi che poi si perderanno con l'indebolimento crescente delle nuove generazioni), le cifre oltre ad indicare un’impennata nell’abuso fra adolescenti e di ricoveri indicano anche un'impennata degli incidenti stradali. A rivelarlo è stato Tom Gorman, autore dello studio intitolato Rocky Muntain Hidta del 2016, spiegando che il numero di giovani che usa cannabis in Colorado cresce del 20 per cento di anno in anno e che se prima del 2009 i morti per incidenti stradali sotto effetto di marijuana erano il 10 per cento del totale, nel 2015 si è raggiunto il 21 per cento. Gorman concluse: “Il trend generale (…) è totalmente negativo, sia riguardo agli accessi in pronto soccorso e ai ricoveri a lungo termine sia agli incidenti”, perché “ogni volta che una sostanza viene legalizzata, la conseguenza immediata è un numero sempre crescente di chi ne fa uso”.