Alta tensione nel Golfo, ma nessuno vuole la guerra
Gli iraniani hanno sequestrato la petroliera britannica Stena Impero nel Golfo Persico, rispondendo al sequestro di una loro petroliera a Gibilterra. E nuove forze americane arrivano in loco, anche in Arabia Saudita. Ma un prossimo negoziato diretto Usa-Iran è probabile.
La Stena Impero, la petroliera dirottata dai Guardiani della Rivoluzione iraniani nello Stretto di Hormuz, è da ieri notte nel porto di Bandar Abbas. La nave di proprietà della società armatrice svedese Stena Bulk batte bandiera britannica e il suo sequestro appare una chiara ritorsione per quello della petroliera iraniana Grace 1 catturata il 4 luglio a Gibilterra dai marines britannici.
Gli iraniani hanno sequestrato anche una petroliera battente bandiera liberiana, la Mv Masdar, di proprietà' della Norbulk Shipping, compagnia con sede a Glasgow e un’altra piccola petroliera degli Emirati Arabi Uniti dopo che l’11 luglio i pasdaran avevano fallito nel tentativo di catturare un’altra petroliera britannica salvata dalla fregata Montrose della Marina di Londra.
Il braccio di ferro tra Teheran e Londra è solo l’aspetto più evidente di una progressiva ecalation tra l’asse che unisce anglo-americani, Israele e le monarchie arabe del Golfo contro l’Iran. Un braccio di ferro che ha visto il reciproco abbattimento di droni e l’altrettanto reciproco sequestro di petroliere.
Gli alleati sembrano disposti a tutto pur di mostrare un elevato livello di deterrenza nei confronti di Teheran e della sua minaccia di chiudere lo Stretto di Hormuz in caso di guerra. Lo dimostrano l’invio di altre navi e truppe americane nella regione, l’aumento dei pattugliamenti aerei americani e il ritorno, per la prima volta dal 2003, di militari e mezzi statunitensi sul territorio dell’Arabia Saudita. "Il Re Salman ha accettato di ospitare le forze statunitensi per aumentare il livello di cooperazione, per difendere la sicurezza e la stabilità della regione e per garantire la pace", ha detto ieri una fonte ufficiale di Riad.
Dall’altro lato della barricata l’Iran punta invece a mostrare i muscoli dimostrando di non tenere la guerra e di essere pronto a seminare caos e distruzione nell’intera regione del Golfo Persico. Il segretario del Consiglio iraniano per il Discernimento ha avvertito ieri che l'Iran non si tirerà indietro di fronte al nemico che si tratti di Saddam Hussein, Trump o la Regina Elisabetta. "Non vogliamo la guerra - ha scritto su Twitter Mohsen Rezaei - ma non arretreremo di fronte al nemico.
Il ministero degli Esteri britannico avverte le navi nazionali di tenersi lontane da Hormuz e ha definito il sequestro della Stema Impero "inaccettabile" e ha affermato che "è essenziale mantenere la libertà di navigazione e che tutte le navi possano muoversi in sicurezza e liberamente nella regione". Un commento quasi ironico tenuto conto che la stessa libertà di navigazione dovrebbero averla anche le petroliere iraniane che transitano dallo Stretto di Gibilterra.
Richard Meade, editore della influente pubblicazione Lloyds List, ha affermato che il sequestro di Stena Impero è "probabilmente la più alta minaccia alla sicurezza che abbiamo visto nella regione dalla fine degli anni ' 80" ma la volontà britannica di innalzare l’escalation con l’Iran sembra avere più l’obiettivo di scongiurare iniziative diplomatiche europee tese a sostenere l’export petrolifero di Teheran che a scatenare una guerra nel Golfo.
Dopo che gli USA hanno denunciato l’accordo sul nucleare iraniano imponendo sanzioni a Teheran il regime degli ayatollah ha annunciato che non rispetterà più le limitazioni all' arricchimento dell'uranio concordate con quell'intesa mentre l’Europa si è mobilitata con la Russia per aggirare sanzioni e diktat di Washington. Scarsi i risultati conseguiti dalla Ue (ancora una volta rivelatasi inconsistente e incapace di prendere una posizione netta in una crisi internazionale), al punto che l’Iran ha reso noto ieri che "gli europei hanno dimostrato di non voler pagare per il salvataggio dell'accordo. Fanno solo commenti bellissimi, mentre le parole senza azione non sono accettabili per l'Iran" come ha detto Alairdin Boroujerdi, membro della Commissione per la sicurezza nazionale e la politica estera del Parlamento iraniano.
Da un paio di giorni Teheran sembra voler puntare di nuovo su trattative dirette con gli USA, con l’offerta di maggiori verifiche sul suo programma nucleare in cambio della revoca delle sanzioni. Pochi credono che gli Usa accetteranno ora una simile proposta poiché molti ritengono che il nucleare sia solo un pretesto per cercare di favorire la caduta del regime iraniano strozzando economicamente il paese con le sanzioni e il blocco dell’export petrolifero.
Non a caso nei giorni scorsi gli Stati Uniti avevano fatto sapere di voler creare una coalizione militare internazionale per difendere le petroliere in transito davanti alle acque dell’Iran e dello Yemen, cioè negli stretti di Hormuz e Bab el-Mandeb, lo stretto che congiunge il Mar Rosso con il Golfo di Aden minacciato dai ribelli yemeniti Houthi sostenuti dall’Iran. Non si può però escludere che al di là della politica muscolare, con l’abbattimento nei giorni scorsi di un drone iraniano che sorvolava la flotta statunitense nel Golfo, si celi anche a Washington la volontà di negoziare.
Il presidente Donald Trump ha infatti confermato ieri di aver autorizzato il senatore repubblicano Rand Paul a negoziare con l'Iran. Tutte le opzioni restano quindi aperte e l’escalation della crisi potrebbe aumentare le chanches per l’apertura di nuovi negoziati diretti.
Al tempo stesso le pressioni economiche e militari su Teheran rischiano di aumentare il sostegno popolare a falchi e conservatori rafforzando di fatto il regime.